Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Michele Perricone trent’anni di teatro privilegiando le scuole

di Pippo La Barba

Estraneo ai circuiti commerciali, Michele Perricone da parecchi anni si dedica quasi esclusivamente agli spettacoli nelle scuole inculcando nei ragazzi amore per il teatro.

 

di Pippo La Barba

Il 6 agosto scorso al Teatro Vito Zappalà di Mondello ha festeggiato i suoi trenta e pIù anni di attività artistica. Per  l’occasione ha interpretato la parte del protagonista di “Gnuri”,  testo di Marcello Maniscalco. E’ un salto all’indietro del tempo nella memoria collettiva della città di Palermo, dove  l’assessore preposto, in nome di un falso progresso, vieta  l’uso delle carrozzelle. L’attività teatrale di Perricone si articola in tappe ben scandite. Appena uscito dai tre anni della Scuola Teatès  a cui si era iscritto nel 1981, nel 1984 fu Lollo Franco a scoprirlo, ingaggiandolo per lo spettacolo “Il giullare,”nel quale interpreta cinque parti, testo scritto dal giornalista Antonio Maria Di Fresco. Quindi è la volta di Paride Benassai, che in quel periodo era subentrato a Nino Drago nella conduzione del Piccolo Teatro di via Pasquale Calvi a Palermo. Perricone esordisce al Piccolo Teatro con Aspettando Palermo, scritto dallo stesso Benassai. Nei primi anni 90 si dedica al cabaret, stabilendo un fortunato sodalizio al Teatro Madison con Ninni Picone. Dal 2000 svolge quasi esclusivamente attività nelle scuole, puntando sempre su autori contemporanei e limitando al massimo il costo dei biglietti. Per i più piccini, Con…Fabulando,” favole di Fedro e dintorni con testi di Marcello Maniscalco..

Oltre a “Gnuri,”un’altra piece che verrà rappresentata, oltre che nelle scuole, anche al Teatro Crystal di Palermo, è “Ciavuru,” scritta da Giovanni Barrile. E’una metafora del tempo presente, in cui tutti siamo impegnati in una rincorsa affannosa di non si sa che cosa, trascurando rapporti e sentimenti, dei quali abbiamo perso per l’appunto “u ciavuru.”

Ho posto a Michele Perricone alcune domande. Come prima cosa gli ho chiesto cosa è per lui il teatro.

Per me il teatro è vita, io vivo di teatro perché mi piace, faccio cinema quando mi chiamano. Però il mio non è mai stato un lavoro di routine; ho voluto rimanere a Palermo anche quando mi sono trovato in difficoltà economiche.

Michele Perricone

Il teatro per te è una scuola di vita?

Dico di sì, senza voler essere retorico. Quando, giovanissimo, siamo nei primi anni ottanta, mi sono avvicinato casualmente per fare un qualsiasi lavoro a questo mondo, sono stato al Piccolo Teatro di via Pasquale Calvi imparando a fare tutti i lavori necessari per far funzionare la macchina teatrale. Debbo dire che tutto quello che ho “rubato”mi è tornato utile in seguito. Certo non sognavo di diventare attore.

Cosa è stato per te Nino Drago?

E’ stato il padre che non ho avuto, perché il mio vero padre mi ha abbandonato nell’infanzia. Mi ha insegnato ad andare avanti, a non aver paura di fronte alle difficoltà. Quello del Piccolo era un teatro di protesta, Nino Drago ha rivoluzionato il teatro a Palermo, lo ha portato fuori, nei quartieri, negli scantinati, gli ha tolto la patina di perbenismo e di esteriorità senza contenuti. 

E l’esperienza del teatro nelle scuole cosa ti ha dato?

Mi ha dato tanto, il rapporto con i ragazzi è bellissimo. Gli dico sempre: fate quello che vi va di fare.  Io voglio fortemente che abbiano questo contatto con il teatro, quando non hanno i soldi per il biglietto vado a prenderli io stesso e li porto alla spettacolo.

Il tuo rapporto con i figli?       

Splendido. I due maschi hanno frequentato l’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico, Paride ha già terminato l’Accademia e lavora a Teatro a Roma, invece, Gabriele è al 2° anno della stessa Accademia. Certo li ho mantenuti agli studi. Però nel 2007 mi sono trovato in gravi difficoltà economiche e mio figlio Paride, che aveva appena vinto un premio nell’ambito del Teatro Festival al Nuovo Montevergini di Palermo con lo spettacolo “Pruvulazzu”mi consentì di utilizzare il testo (purchè non me lo rovini, mi disse) e così con centinaia di repliche nelle scuole potei risalire la china.

 

 

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