Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Giancarlo Giannini travolto da raro talento

di Massimo Arciresi

 

Attore ineguagliabile, Giancarlo Giannini ha oggi una sfilza di progetti tra l’Italia e l’estero. Proponiamo un’intervista inedita di qualche tempo fa.

di Massimo Arciresi

Alcuni personaggi del mondo dello spettacolo si portano appresso un’aura riconoscibile, che non li abbandona mai. Dominano la conversazione, sottolineando all’occorrenza veementemente ciò che sta loro più a cuore. E non è un segreto il fatto che Giancarlo Giannini, uno che, oltre a recitare con estrema, mimetica professionalità con autori, divi e dive di statura elevata, ha occasionalmente scritto, diretto, prodotto i suoi lavori, appartenga a questa categoria; però una chiacchierata con lui è, in più, divertente: se il suo cellulare squilla (e capita spesso), si ferma e garbatamente ti dice: “Scusa, è Hollywood”, come se non ci avesse a che fare davvero! I caratteri, esistiti o inventati, che ha interpretato in una lunghissima carriera iniziata negli anni ’60, passata, come capita ai migliori, attraverso l’accademia, il teatro, la tv (show, sceneggiati, fiction), sembrano albergare contemporaneamente in lui, facendo capolino attraverso inflessioni improvvise (in romano, in napoletano, in catanese; ma lui è spezzino). Un performer completo (con studi da perito elettronico), in grado di oscillare tra il registro più intimista e drammatico e la comicità caricaturale pura, passando per il grottesco, genere che gli è particolarmente caro grazie a Lina Wertmüller, con la quale ha inanellato otto film. giancarlo_giannini

A Palermo un paio d’anni fa l’attore tenne una masterclass al Centro Sperimentale di Cinematografia, incontrando poi il pubblico nel cinema in cui si proiettava la sua seconda regia (26 anni dopo Ternosecco), curiosamente intitolata Ti ho cercata in tutti i necrologi, storia di un impiegato di un’agenzia di pompe funebri (con il volto dello stesso Giannini) che per estinguere un debito di gioco accetta di fare da preda ai suoi creditori, muniti di fucile e pronti a ucciderlo.

Come mai tanto tempo prima di tornare dietro la macchina da presa, cercava un soggetto che le piacesse o intanto qualche altro progetto è sfumato?

«Il tempo intercorso per me non è importante. Non è che se uno fa il regista una volta poi lo deve fare per sempre. In questo caso mi piaceva la storia, una storia di gente che si fa sparare, vera… Nun me crerono, ma chill’è vero…! Me l’avevano raccontata, m’era rimasta impressa; scrissi un racconto e poi decisi di farne un film. Naturalmente con dei cambiamenti, mettendo molta azione, ho parlato della reincarnazione… Mi si rinfaccia che non sia realistico. Ma non deve esserlo! Non ho mai fatto film realistici, io! Ho sempre inventato partendo dalla realtà. Perché, Mimì metallurgico è realistico?!»

A proposito: lei ha dato vita a tantissimi personaggi di varia provenienza, e pur essendo ligure ha avuto molta fortuna come siciliano…

«Ma sì, io “nasco” qui come ‘Mimì metallurgico’. Sapevo poco della Sicilia. Ci avevo recitato, in teatro, ma senza fermarmici troppo. Dovendo fare un personaggio molto siciliano, mi son fatto un viaggio di tre mesi da solo. Ho scoperto una Sicilia meravigliosa, andando nei paesini, d’estate, fotografando delle cose bellissime, campi di grano, bambini, facce straordinarie… E poi ho portato tutto in Mimì. Anche allora qualcuno disse: “È troppo esagerato!” Ma scusa, c’è uno stile consapevole: tre punti al di sopra della realtà. Poi ha avuto successo, quindi son tornato, ho fatto tanti film, come Paolo il caldo, e dopo anche altri in cui ero siculo ambientati in posti diversi, come Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto

E ha affrontato tantissimi generi: persino il western, se pensiamo a Blood Red, arrivato in Italia solo in tv (con il titolo Legami di sangue).

«Lì c’era una giovane Julia Roberts, che faceva mia figlia… E pensa che venne presa soltanto perché era la sorella del protagonista, Eric Roberts. Provai a far notare quanto già fosse brava, ma non mi diedero retta e se la fecero scappare. Scoprii anche il regista Ang Lee. Incontrai in America questo cinesino di Taiwan, aveva fatto un corto, che ancora conservo. Gli feci scrivere una sceneggiatura per lavorare insieme. Una storia carina che non s’è mai realizzata perché nessuno credeva che lui fosse un grande… Non vengo creduto!»

Fra i numerosi registi con cui ha lavorato, mi dà un ricordo di Elio Petri?

«Petri era un grande amico mio, abbiamo fatto insieme Buone notizie. Mi chiamò una notte: “Senti, voglio fare un film con te, vieni a casa mia”. E mi raccontò questa storia, molto complicata. E io dissi: “Beh, ’o facimmo”. Glielo produssi pure, e fu il suo ultimo film. Uno veramente in gamba.»

E di Rainer Werner Fassbinder, per il quale ha recitato in Lili Marleen, che mi può dire?

«Un enfant prodige, un folle, una persona timidissima. Con lui si girava in fretta. Riprendeva i dettagli durante le scene, per evitare di doverli montare in seguito. Però, geniale nella costruzione dell’immagine! Era un pazzo, uno che amava il cinema, faceva tutti gli storyboards, prediligeva Douglas Sirk… Un genio! Beh, o nasci genio o nasci come me, e ti devi inventare le cose che devi fa’, giorno per giorno.»

 

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