Il binomio sport e integrazione razziale passa inevitabilmente dalle strutture preposte, come gli impianti sportivi. In Sicilia, il processo di integrazione attraverso lo sport non è attuabile. Cause? La carenza strutturale su tutta l’Isola
di Luca Licata
“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di unire le persone come altre poche cose al mondo. Parla ai giovani in un linguaggio che capiscono. Lo sport può creare speranza dove prima c’era solo disperazione. E’ più potente di qualunque governo nell’abbattere le barriere razziali. Lo sport ride in faccia a qualunque tipo di discriminazione”.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando Nelson Mandela pronunciava questa frase nei suoi continui momenti di lotta contro l’appartheid in Sud Africa. Ma cosa è avvenuto da allora nel mondo africano? E cosa è avvenuto nei Paesi europei destinati all’accoglienza delle popolazioni africane? In Italia non molto. In Sicilia, terra di transito, ma di prima accoglienza, ancora meno.
E’ recente la notizia che a Palermo, per la prima volta, un ragazzo di 13 anni, originario del Mali, abbia vinto, nei giorni scorsi la propria battaglia legale per essere tesserato da una squadra di calcio palermitana contro il parere della Figc. La Federazione, facendo leva su un regolamento internazionale della Fifa, preposto alla tutela di minori stranieri contro il diffuso fenomeno dei tesseramenti di “giovani promesse” del calcio non adeguatamente protette dal punto di vista sociale e familiare, all’inizio aveva respinto la richiesta di tesseramento. La Federazione, però, era stata condannata dal Giudice Michele Ruvolo della Prima sezione civile del Tribunale di Palermo. Così, il ragazzo ha potuto dare avvio alla sua esperienza di giovane calciatore, disputando la sua prima partita di calcio. Ma ha potuto coronare il suo sogno e il sogno di tanti altri, scopritori di talenti e non, ma, comunque, direttamente coinvolti nell’investimento della giovane promessa, soltanto attraverso incessanti battaglie legali.
Perché è stato necessario ricorrere al Tribunale, quando, proprio per favorire il binomio sport-integrazione, il ministero delle politiche sociali e il comitato olimpico nazionale italiano hanno promosso due anni fa, l’accordo di programma per la promozione delle politiche di integrazione dello sport. Una cooperazione sinergica, volta allo sviluppo di azioni finalizzate a favorire l’integrazione sociale della popolazione straniera attraverso lo sport e a contrastare le forme di intolleranza e discriminazione razziale.
Eppure, il nostro giovane talento, che vive a Palermo con una famiglia affidataria, si è visto negare un diritto ancestrale alle società multicolor.
Palermo, con l’attuale giunta, ha sempre mostrato di essere la città dell’accoglienza e dell’integrazione. Sempre presente con i propri organi rappresentativi a tutte le manifestazioni ufficiali di rappresentanza che vogliono dimostrare la disponibilità e l’apertura all’accoglienza e all’integrazione. E questa del giovane malese è stata l’ennesima occasione. Ma sul piano concreto, cosa dire? Sotto il profilo strutturale, la Sicilia è la regione in cui si registra il più alto tasso di sedentarietà a causa della forte carenza di strutture sportive. Basti pensare che nel resto della Penisola si contano in media 250 strutture ogni 100.000 abitanti, mentre in Sicilia soltanto 100. Se poi consideriamo le strutture realmente operative, il numero scende ancora di più.
Palermo, poi, con la forte aspirazione a diventare Capitale Europea dello Sport 2016 ha, veramente, tutte le carte in regola per sostenere questa ambiziosa candidatura. Pensiamo, per esempio, al Palasport, con il tetto interamente scoperchiato. La piscina comunale continuamente travolta in una raffica di ordini contrastanti di apertura e chiusura. Puoi sapere se è funzionante soltanto andando a constatarlo personalmente. Situazione altrettanto ambigua per il velodromo. Un momento compare e un attimo dopo sembra lasciare posto a un più ambito progetto di stadio tanto agognato da Zamparini. Allo stadio delle Palme, le tribune sono inagibili. Il ‘Diamante’, il campo di baseball, è preda, ormai da anni, di atti vandalici, che lo hanno letteralmente distrutto. Il dramma è che le azioni violente continuano a perpetrarsi, perché continua a mancare il sistema di sorveglianza.
Lo stesso disastro si presenta ai nostri occhi, quando parliamo di strutture preposte all’integrazione razziale. Le strutture sportive, in fondo, rappresentano una parte di esse. Ma nell’ambito dell’integrazione, mancano pure i progetti, personale esperto e qualificato nell’intermediazione internazionale, gli strumenti più idonei a favorire l’inserimento.
Come fa Il sindaco della capitale Europea dello Sport 2016, Leoluca Orlando e il suo esimio assessore alla Cittadinanza Sociale, Agnese Ciulla, presenti ai festeggiamenti del giovane aspirante calciatore africano, ad affermare che un evento come quello che ha coinvolto il ragazzo è un’occasione di festa per lo sport e per la città, perché si è data a questo ragazzo la possibilità di rendere concreto il suo sogno e perché il Tribunale ha riconosciuto che attorno a lui e alla sua vita è stato costruita una rete di supporto personale, emotivo e sociale che vede nel Comune e nella famiglia affidataria il fulcro. Nella famiglia affidataria, senz’altro, ma nel Comune non crediamo proprio. “Palermo – hanno ribadito i due rappresentanti istituzionali – ancora una volta ha mostrato e mostra il suo volto accogliente e la sua capacità di rendere l’accoglienza un fatto concreto. Con questa festa – hanno concluso – oggi abbiamo mostrato che a qualsiasi età l’unica differenza di colore sui campi sportivi può essere quella delle maglie di gioco”.
A prescindere dalle politiche adottate, lo sport, grazie ai valori che lo animano, svolge un ruolo trainante nei processi di integrazione. Come sottolineato dal Consiglio dell’Unione europea, lo sport è fonte e motore di inclusione sociale; l’impegno degli Stati membri nella promozione della partecipazione allo sport è quindi ritenuto fondamentale. Tutte le istituzioni internazionali e locali dovrebbero riconoscere nello sport uno strumento eccellente per l’integrazione delle minoranze e dei gruppi emarginati, che può contribuire in maniera significativa a costruire spirito di appartenenza, stabilità, coesione e pace all’interno delle comunità.
Proprio con questo spirito, è nato nel 2014 l’Accordo di programma fra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il CONI, mirato a costruire una cooperazione per lo sviluppo di azioni finalizzate a favorire l’integrazione sociale dei migranti di prima e seconda generazione e a contrastare le forme di discriminazione razziale e di intolleranza.
Un accordo di cui il Coni Sicilia non conosce neppure l’esistenza.