Il primo mese del 2016 ha registrato un impressionante numero di scomparse nell’ambiente dello spettacolo. Ne ricordiamo qualcuna.
di Massimo Arciresi
Premesso che nel mondo, a causa degli accadimenti geopolitici, c’è già tanto di cui crucciarsi quotidianamente, la morte di un artista più o meno amato genera sempre un’onda emotiva condivisa e riecheggiante, soprattutto nell’era della comunicazione. Di gennaio se ne andarono (in momenti diversi) De André e Gaber, ma il primo mese di quest’anno, più che per gli addii a personaggi legati al mondo della musica (come Glenn Frey degli Eagles), si ricorderà per le numerose dipartite di grandi nomi della settima arte, tra autori e protagonisti (e caratteristi: fra i tanti rievochiamo solo il minaccioso Angus Scrimm della serie horror Phantasm e il grigio Abe Vigoda de Il padrino).
Certo, David Bowie resterà famoso più per i suoi dischi che per i suoi film; tuttavia l’ambiguità che qualificava la sua elegante figura risulta insostituibile al servizio di opere come Miriam si sveglia a mezzanotte, Furyo, Labyrinth, oltre che nel suo esordio L’uomo che cadde sulla Terra e nel cantato Absolute Beginners. Mentre Silvana Pampanini non recitava da tempo ma era sempre pronta a rievocare aneddoti della sua lunga e intensa carriera, tra commedie al fianco di Totò (47 morto che parla) o Sordi (La bella di Roma) o drammi di vaglia (Un marito per Anna Zaccheo di De Santis), il pasoliniano Franco Citti, indimenticabile in Accattone nonché in qualche dissacrante lungometraggio del fratello Sergio (Il minestrone), era lontano dalle scene da meno, per via di condizioni di salute non buone.
Attiva perlopiù in teatro, l’energica Antonella Steni aveva frequentato comunque parecchie pellicole, con leggerezza, come ne Il tigre, o impegno (Bisturi, la mafia bianca). Oscillava a sua volta tra il serio e il faceto (senza mai rinunciare alla profondità dei contenuti) Ettore Scola, fra i registi (e gli sceneggiatori) migliori di tutta la nostra cinematografia (e non solo per ciò che riguarda la sua irripetibile generazione), responsabile di pietre miliari come Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?, C’eravamo tanto amati, Brutti, sporchi e cattivi, Una giornata particolare, La terrazza, La famiglia, portatore di una sguardo e di un’ironia corrosiva di cui sentiamo già la mancanza.
Tornando in Inghilterra (terra natia di Bowie), un’altra assenza di cui rammaricarsi particolarmente è quella di Alan Rickman, raffinato attore all’inizio prestato al cinema per ruoli da antagonista (Trappola di cristallo, Robin Hood – Principe dei ladri), poi da ineguagliabile comprimario (Ragione e sentimento, Michael Collins, la serie di Harry Potter), quindi passato giusto un paio di volte dietro la macchina da presa per lavori di classe quali L’ospite d’inverno e Le regole del caos. Se parliamo di cineasti, non possiamo non citare Jacques Rivette, fra gli ardimentosi recensori dei Cahiers du Cinéma che negli anni Cinquanta, per svecchiare l’ambiente, presero il megafono in mano e inventarono la Nouvelle Vague. Fra i suoi titoli memorabili relativamente più recenti basterebbe menzionare il fluviale La bella scontrosa e il dittico su Giovanna d’Arco. E rimanendo in tema d’immagini che s’imprimono nella mente, non dimentichiamo che ci ha lasciato anche l’abile direttore della fotografia d’origine ungherese Vilmos Zsigmond, che ha illuminato (od oscurato) più volte i set di Altman, De Palma, Cimino, Allen.
È doveroso concludere con Gianni Rondolino, critico e storico di riferimento nell’ambiente, tanto esperto della decima musa da riuscire a far crescere nella sua Torino un festival che oggi è uno dei principali e più attesi del nostro Paese, e a incentivare l’idea dello splendido museo a tema all’interno della Mole Antonelliana. Un altro vuoto difficile da colmare.