Alfonso Gagliardo è un cantautore e un cantastorie. Nato a Porto Empedocle, vive a Palermo.
di Pippo La Barba
Nei suoi spettacoli propone brani originali da lui composti e brani rielaborati della tradizione siciliana (canti d’amore, di lavoro e canti di antiche ballate tratti prevalentemente dalle raccolte di Pitrè, Favara e Salamone Marino). Tra le sue composizioni più conosciute A bedda Sicilia, La partenza, Lassa ca veni dumani, Navicu ‘nmezzu u mari e Vola la varcuzza. Si esibisce con successo da solo o con gruppi in moltepici spettacoli che si svolgono in tutta la Sicilia. Dopo essere stato per anni presidente della commissione giudicante del concorso della canzone siciliana dialettale “Il Paladino”, promosso dall’Associazione Ferroviaria di Palermo A.E.C., nel 2015 ha istituito, insieme al musicista Mimmo La Mantia, il Primo Festival della Canzone Siciliana Città di Palermo dedicato a Rosa Balistreri che si è svolto al Teatro Lelio.
Nell’ambito dell’ultimo Festino in onore di Santa Rosalia, Patrona di Palermo, con “Littra a Santa Rusulia” si inserisce con i suoi canti e cunti in maniera originale nella storia della Santa.
Lo incontro in una zona popolare di Palermo e gli chiedo come è nata la sua passione per la musica folk e le storie.
Nei primi anni sessanta – mi risponde – io ero un ragazzo, mia madre accennava qualche motivo di vecchie canzoni dialettali siciliane, quelle che si cantavano nelle feste, o musiche da ballo incise nei famosi dischi a 78 giri. E così mi ha trasmesso la passione per la musica siciliana.
Cosa ha sortito questa passione?
E’ stata l’inizio del mio percorso artistico. Da questo primo amore sono passato al rock. Poi, a partire dagli anni settanta, sono diventato un cantautore. Negli ultimi dieci anni ho fatto il cantastorie.
Cantastorie si nasce o si diventa?
Io, come ti ho detto, lo sono diventato nel pieno della maturità. Ma anche se si ha una predisposizione innata, lo si diventa comunque. Bisogna acquisire un bagaglio culturale, un repertorio personale. La scuola è quella dei vecchi cantastorie: Busacca, Strano, Santangelo, Nonò Salamone ed altri. E poi si impare la tecnica, che è sempre quella di intercalare la narrazione con il canto. Io ho un mio modo particolare perchè non interrompo la storia con brevi attacchi, ma con interi brani.
Cosa è per te il folklore?
Il folklore è un elemento imprescindibile della cultura siciliana, ci rappresenta in tutto il mondo. Quindi recuperare canti, usi, costumi danze come per esempio la pantomima, che è un canto coreografico tipico della Sicilia, costituisce una grossa operazione culturale.
Qual’ è stata ultimamente la tua esperienza più significativa in campo artistico?
Nell’ultimo Festino in onore di Santa Rosalia, in cui mi sono esibito portando in giro il telo che contiene le storie della Santa. E’ stato entusiasmante cantare e illustrare le immagini in luoghi cult di Palermo, da via Cappuccinelle al Capo (vicino la Chiesa dedicata alla Santa) o nel vicolo Brugnò (di fronte la Cattedrale) rifacendomi ai Canti degli “Orbi”.
Perchè in Sicilia, specialmente tra i giovani, si va perdendo l’interesse per il folklore?
Manca l’informazione. I media non si occupano di questo tipo di musica. In Sicilia i cantastorie in attività saremo in tutto sette, otto… E i gruppi folkloristici si sciolgono anzichè costituirsi. Non è un caso che questa tradizione è ancora viva la dove, per esempio ad Agrigento, ci sono manifestazioni di livello internazionale (la Sagra del mandorlo in fiore), che utilizzano decine di gruppi folk. Di contro il popolino predilige la canzone napoletana, che sta diventando l’unica espressione di sicilianità, mentre la nostra tradizione è un’altra: la jolla, la fasola e la tarantella erano danze di gruppo che si praticavano nelle campagne siciliane dopo il lavoro; poi i napoletani della tarantella hanno fatto il loro simbolo in tutto il mondo.
Cosa si può fare per i i giovani?
Spettacoli nelle scuole, sensibilizzare i ragazzi alla conoscenza dell’immenso patrimonio antropologico, culturale, artistico, dialettale che esiste in Sicilia.
Qual’ è la differenza tra cantastorie e cuntista?
Il cantastorie si esibisce cantando e raccontando: si avvale in genere di una chitarra e di un cartellone in cui sono raffigurati gli episodi di una vicenda di cronaca; il cuntista (o “cuntastori”) opera esclusivamente con i gesti e la voce, in pratica è un attore.
Perchè il cantastorie rimane sempre legato al suo “luogo natìo”?
Perchè ne trae continuamente linfa per la sua ispirazione. Il cantastorie non è come il cantautore, che nasce in genere dialettale, vedi Modugno, ma poi si allarga in altri ambiti. E’ come il poeta dialettale, che non diviene mai un poeta in lingua. In questi artisti l’ispirazione nasce eslusivamente dai luoghi di origine, dai fatti della propria terra. Andare oltre vorrebbe dire snaturarne non solo il ruolo, ma anche l’anima.