Dopo anni di dibattiti, la Camera da il via libero alla legge sulle unioni civili. Nasce così la coppia di fatto. Ma cos’è sotto il profilo sociologico la coppia di fatto. Quale la linea di demarcazione che ne traccia il confine storico. Il percorso sociologico che ha portato alla coppia di fatto
di Patrizia Romano
Via libera definitiva della Camera alla legge sulle unioni civili. Un voto storico, che cambia letteralmente i connotati della famiglia. Nasce, così, dopo ampi dibattiti politici e giuridici, la ‘famiglia di fatto’. Una componente che, in realtà, è sempre esistita, ma che, per la sua posizione giuridica nel sistema dei rapporti di diritto privato, introduce una serie di problematiche che travalicano il profilo strettamente giuridico, rispondendo a istanze di varia natura; prima tra tutte, quella sociologica. Ed è proprio sull’aspetto sociologico nella coppia di fatto che vorremmo soffermare la nostra attenzione.
In un paese di stampo cattolico, come il nostro, il concetto di famiglia si plasma prevalentemente sul ruolo preminente svolto dalla dottrina cattolica. Ovviamente, ogni tentativo di allontanarsi dal concetto di famiglia rispondente ai canoni della Chiesa o dello Stato non trova unanimi consensi. E’ questo, fondamentalmente, ciò che apre queste profonde divergenze sociali apre attorno al fenomeno.
A parte l’influenza esercitata dal pensiero cattolico, il tema della famiglia, intesa quale formazione sociale intermedia tra lo Stato e l’individuo, tende a considerare le formazioni sociali e fra queste la comunità familiare come tutelate nei confronti dello Stato e degli altri gruppi sociali con ciò trascurando le posizioni del singolo all’interno del gruppo.
Nel senso più naturale possibile, il termine famiglia indica, di fatto, l’unione di due partners che hanno scelto di vivere la propria vita insieme, senza la formale consacrazione con il patto matrimoniale.
Comunque e qualunque siano i valori della coscienza sociale, non è più possibile, nell’attuale società, penalizzare o ignorare l’esistenza di rapporti che si concretizzano in una comunione spirituale e materiale di vita non fondata su un atto formale.
Nel corso di questi ultimi decenni, sono emerse nuove forme di relazioni familiari che reclamano un riconoscimento sul piano sociale e sul piano giuridico.
Nell’attuale momento storico, la ricerca sociologica propende a porre quale cellula di base dell’organizzazione sociale, soltanto la famiglia fondata sul matrimonio, che rappresenta un organismo istituzionalizzato e ben definito nei suoi contenuti giuridici, sociali e culturali.
Sul piano sociologico, dunque, la famiglia, nel senso delineato, esiste solo ove ricorrano tre condizioni: una relazione di reciprocità fra persone che stanno fra di loro in rapporti di coppia stabile; la presenza del matrimonio, quale atto giuridico solenne da cui discendono diritti e doveri; la convivenza quotidiana nella condivisione degli aspetti materiali e spirituali del rapporto e nella predilezione delle relazioni sessuali pressoché esclusive che ne consentono la riproduzione.
Nella società odierna, sempre più votata a concedere ampio spazio alle preferenze e ai comportamenti dei singoli, le tendenze evolutive della famiglia non possono essere avulse dalle influenze sistemiche. La rapidità delle trasformazioni delle strutture socio-economiche e delle condizioni di vita ha sottoposto l’istituto familiare a un processo evolutivo che ne ha alterato la fisionomia.
Nell’antichità e nell’epoca classica, la famiglia era basata su una sorta di equazione tra il concetto di famiglia e quello di economia che, in quel momento è domestico-familiare.
Nel 1700, invece, comincia a svilupparsi una trasformazione di tali elementi che condurrà l’economia ad uscire dall’ambito familiare-domestico per unirsi a quello pubblico e politico, dando così origine all’economia politica.
Le trasformazioni sociali e culturali portate avanti dai vari movimenti per i diritti civili hanno successo quando la società riesce a negoziare concettualmente la nuova realtà sociale che avanza.
Il matrimonio è un concetto antropologico complesso, che in tutte le culture sancisce una differenza tra unioni legittime e unioni illegittime.
Anche nelle culture in cui è ammessa la poligamia, il matrimonio sancisce questa distinzione, dando diritti differenti, per esempio, a mogli e concubine.
Ma capire quale sia la fonte della legittimità è difficile: la filiazione non è più un criterio, perché nella maggior parte delle legislazioni i diritti dei figli nati fuori o dentro il matrimonio sono stati equiparati. Dunque non sono i diritti di procreazione che definiscono il matrimonio. Né lo è la fedeltà reciproca, dato che le culture poligamiche celebrano matrimoni e distribuiscono diritti. Né lo è l’indissolubilità del legame, dal momento che esiste il divorzio.
Insomma, il concetto antropologico di matrimonio non corrisponde a una categoria precisa, ma a una serie di pratiche sociali che hanno tra loro una somiglianza di famiglia. Non c’è un matrimonio ‘vero’, ‘giusto’, o più legittimo degli altri, solo tanti modi diversi di legittimare diversi legami sociali per scopi anch’essi diversissimi uno dall’altro.
Dunque non si capisce perché la legittimazione di un legame sociale tra due persone che sentono il bisogno di sentire questo legame riconosciuto debba fare i conti con tutta una serie di strutture e sovrastrutture.
Non c’è un’unione vera, un’unione giusta. Una coppia senza figli si sente altrettanto legittima di una con figli e un genitore adottivo si sente altrettanto legittimo di un genitore naturale. La questione è adattare il concetto ai nuovi legami sociali che vuole legittimare.
Anche il legame sociale tra persone dello stesso sesso è una realtà che esiste e che non possiamo rinnegare solo in nome del ‘buon senso’ comune.
Ciò che va contro i principi di alcuni non vuol dire che sia ‘contro natura’. Il senso comune non ha nessuna autorità.
Per avere un’idea della metamorfosi che il concetto di famiglia ha subito negli ultimi anni, basterebbe confrontare le definizioni di famiglia contenute in due documenti ufficiali, che in certo modo segnano le tappe di un percorso ancora aperto. Il primo documento è la riforma del diritto di famiglia del 1975, che si rifà al principio contenuto nella Costituzione che definisce la famiglia nei termini di una ‘società naturale fondata sul matrimonio. L’altro documento è un recente decreto presidenziale del 1994, che colloca nel concetto di famiglia un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, la cui unica condizione imprescindibile è la coabitazione delle persone e la residenza nello stesso Comune.
I processi di trasformazione della famiglia, in Italia sono stati meno rapidi rispetto al resto dell’Europa occidentale. In fondo, l’Italia è una nazione caratterizzata da una cultura ‘familistica’ ancora molto legata alle tradizioni.
Coppia di fatto – Come stanno veramente le cose?
Nella realtà, il matrimonio è diventato sempre più fragile e instabile e il rapporto di coppia, sul quale si basa il concetto di famiglia, ha perso a poco a poco di affettività e di importanza.
Di conseguenza, la norma non è più rappresentata da un nucleo familiare stabile, nel quale la coppia genitoriale sviluppa una sorta di divisione di compiti nel processo di socializzazione primaria dei figli, ma è rappresentata da un contesto relazionale fragile, che richiede, quindi, di essere considerato e gestito con modalità nuove.
Diminuiscono sempre più, per esempio, le probabilità che un bambino nasca e rimanga stabilmente con i propri genitori naturali, mentre aumentano le probabilità che egli debba affrontare eventi quali la separazione o il divorzio tra i genitori, l’affidamento a uno di essi, la sostituzione di uno dei genitori con un’altra figura, l’inserimento in un nucleo ricostituito e allargato, e così via. Diventa normale per un adulto avere più di una famiglia, per un giovane rimanere o tornare nella famiglia di origine, per un bambino relazionarsi con due madri o due padri e con fratelli nati da genitori diversi. Sappiamo bene, inoltre, quanto sia diffusa, non solo tra la gente comune, l’idea che un bambino allevato da una coppia omosessuale non possa avere uno sviluppo equilibrato della personalità, e soprattutto non possa maturare un’adeguata identità sessuale, o meglio “di genere. Gli studi dimostrano, invece, che l’eventuale omosessualità dei figli non dipende dal comportamento sessuale dei genitori ma da fattori di natura diversa, semmai più legati alla relazione. Ciò in nome del fatto che non si verificano sostanziali differenze nell’incidenza dell’omosessualità nei figli di genitori omosessuali e nei figli di genitori eterosessuali.
Naturalmente tutto questo risulta evidente da un punto di vista socio-demografico, mentre è più difficilmente accettabile dal punto di vista soggettivo e psicologico da parte di chi si dispone a vivere in coppia.