Un ritratto ricordo di Mario Nicosia, testimone della strage di Portella, avvenuta il primo maggio del 1947 a Piana degli Albanesi. Uomo carismatico che ha vissuto la sua vita all’insegna dell’impegno civile antimafioso
di Rosalba Barbato Di Giuseppe
Lo rivedo attento con gli occhi vispi, con la mano tesa a stringere un’altra mano, il giornale sotto il braccio, i piedi ben saldi e la schiena dritta, il bastone che gli conferiva nobiltà, la stessa che gli ha permesso di iniziare e proseguire il viaggio verso la conservazione della memoria, ponendosi come testimone della strage di Portella delle Ginestre del primo maggio 47′, avvenuta a Piana degli Albanesi, per mano mafiosa, di cui i mandanti però rimangono tutt’oggi ufficialmente ignoti, è infatti definita la prima strage di Stato.
Mario Nicosia era un uomo forte, generoso, che ha trasformato un’esperienza tragica in vissuto cosciente e impegnato, un maestro di umiltà che ha condiviso senza pretendere di insegnare, un eterno giovanotto che ha voluto sentirsi parte di un collettivo che cerca di riarticolare il passato per scioglierne i nodi e tesse nuove relazioni sociali per vivere il presente al meglio.
Un’attivista originale e appassionato capace di incantare in maniera semplice tutti, dal Presidente della Repubblica agli studenti che venivano a far visita al memoriale di Portella. Un amico dei giovani, lucido, schietto, carismatico, ironico. Sempre presente nelle manifestazioni, nelle celebrazioni, nei sit in di protesta.
Ricordo l’emozione delle mie prime timide parole alla villa comunale, in occasione del referendum contro il nucleare, ero stata invitata a dire la mia in qualità di giovane attivista.
Avevo un foglio nella mano tremante, un microfono che a stento riusciva a far sentire la mia voce, e la vista annebbiata, quando alzai lo sguardo trovai i suoi occhi sorridenti e incoraggianti, tutto si fece più chiaro.
Ricordo la determinazione delle mie prime parole al monumento dei Caduti, in occasione dell’anniversario della liberazione, chiesi di parlare delle donne dimenticate della Resistenza, del lascivo fascismo che voleva la donna chiusa tra le quattro mura condannata a vivere una sola dimensione del suo essere: quello di eterna madre.
Ero molto presa dal discorso e non alzai gli occhi se non alla fine, ritrovai il suo sorriso, stavolta soddisfatto, il più bel regalo, il più bel applauso.
L’ultima volta l’ho visto su Rai Storia, mentre raccontava della sua gioventù trascorsa nell’intesa ideologica con i suoi compagni, che lì porto ad unirsi e denunciare tante ingiustizie, di cui la maggiore, la fame sofferta dalla popolazione di Pian durante gli anni 43′ 44′, nonostante la ricchezza dei granai sequestrati. L’impegno civile lo accompagnò per tutto l’arco della sua sua vita. Era una presenza attenta e rispettosa. Mi sembra di risentire la sua voce caratteristica, mite, un pò rauca con una punta argentina.
E’ scomparso il 16 maggio lasciando cordoglio ma soprattutto l’intenzione di far tesoro della sua lezione.
Falem, La Mariù.