In Sicilia, l’agricoltura rappresenta il settore economico primario, nonostante tutto, deve fare i conti con una serie di difficoltà ingenti, che vanno dalla produzione alla commercializzazione. Radiografia di un settore ricco di potenzialità, ma in crisi. Ne parliamo con Giovanna Castagna, presidente regionale Cia Sicilia
di Patrizia Romano
L’agricoltura è l’attività più antica nella storia dell’uomo e, nello stesso tempo, quella più indispensabile perché ci fornisce da vivere. E tale si è mantenuta nel corso dei secoli, soprattutto in quei territori a vocazione agricola. In Sicilia, l’agricoltura rappresenta il settore economico primario e concorre alla formazione del Pil regionale, Prodotto Interno Lordo, per il 4,2 per cento: il doppio rispetto a quello nazionale. La provincia in cui si registra la maggiore vocazione agricola è la provincia di Ragusa, dove il valore aggiunto pro capite sfiora il 17 per cento. A Ragusa, seguono le province di Palermo e Siracusa con un indice del 14 per cento.
Negli ultimi anni, però, l’indice del valore aggiunto nell’agricoltura siciliana è sceso in picchiata. Questa flessione è stata, come media regionale, del – 4,3 per cento, con punte che hanno sfiorato il – 8,9 per cento in provincia di Caltanissetta, – 7,3 nella provincia di Siracusa e – 6,5 nella provincia di Catania: le province più colpite. In controtendenza si è, invece, registrata la provincia di Trapani, che ha registrato un indice lievemente positivo, pari all’1,1 per cento.
I motivi che stanno alla base della pesante alterazione sono tanti e tra i più svariati. Primo tra questi, la flessione della domanda interna legata all’impoverimento dei siciliani, fenomeno che ha ridotto vistosamente i consumi e, di conseguenza, ha provocato un calo del 5 per cento dei prezzi al consumo. Il comparto agricolo è diventato, quindi, un settore decisamente poco remunerativo. A questo, potremmo aggiungere il semi fallimento del Piano di sviluppo rurale, Psr. E poi, ancora, una spesa incontrollata e incontrollabile. Anche le condizioni meteo hanno svolto un ruolo determinante. L’andamento climatico ha inciso negativamente sulla qualità delle produzioni agricole.
Agricoltura in Sicilia – La crisi
Alla crisi agricola squisitamente siciliana, però, fa da contraltare un elemento che rende impossibile dare una chiara e lineare chiave di lettura a tanta crisi, che diventa inspiegabile alla luce del fatto che l’assessorato regionale all’Agricoltura detiene la parte più consistente del bilancio della Regione siciliana. Cioè, è quella parte dell’amministrazione che dispone di ingenti finanziamenti europei del Psr, Programma di Sviluppo Rurale dell’Isola: 2 miliardi Psr 2007/2014; 2,2 Psr 2014/2020. A questi si aggiungono altri tanti fondi per il rilancio dell’agricoltura in Sicilia, come le risorse Ismea nazionali e regionali, fondi strutturali europei a cui si aggiungono le misure introdotte dalla Legge di stabilità 2016, tra tutte il taglio di Imu e Irap per gli operatori del settore. Queste risorse, finalizzate, dunque, a sostenere la produzione, l’innovazione e il sostegno alla crescita economica e civile delle aree rurali, non sempre seguono un percorso facile da tracciare. Un limite importante allo sviluppo del settore è legato alla commercializzazione dei prodotti tipici siciliani. La tendenza più spontanea è sempre stata quella di legare la produzione alle caratteristiche territoriali. Questa tendenza, da una parte, valorizzerebbe la tipicità territoriale del prodotto, dall’altra spingerebbe il turismo. In Sicilia, la commercializzazione dei prodotti agricoli non segue né l’una né l’altra direzione.
Le tante soluzioni applicate nell’ambito della commercializzazione non sempre hanno dato i risultati desiderati.
Nel settore vitivinicolo, per esempio, la soluzione cooperativa delle cantine sociali non ha costituito una risposta adeguata alle nuove tendenze del mercato. Gli stessi limiti si riscontrano nella trattazione commerciale delle produzioni tipiche siciliane, dal pistacchio di Bronte al pomodorino ciliegino di Pachino, dall’oliva nocellara del Belìce all’arancia rossa. Limiti, comunque, legati ai protocolli produttivi assunti da tutti i produttori.
Quando parliamo di crisi e di difficoltà del comparto, si parla pure di burocrazia e di difficoltà di accesso al credito, reso spesso difficilissimo dalle banche, che impongono a chi vorrebbe fare investimenti condizioni inaccettabili. Il credito è fondamentale, soprattutto per le start-up, ma anche per far sopravvivere le nostre imprese. Purtroppo la nostra Regione non ha mai dato grande importanza al comparto agricolo, sia in termini di innovazione che di vera e propria cultura.
L’altro duro colpo all’agricoltura siciliana viene inferto dalla pesante crisi in cui versano i Consorzi di bonifica; quegli enti di diritto pubblico che curano l’esercizio e la manutenzione delle opere pubbliche di bonifica, come, per esempio, gli impianti destinati all’attività e alla tutela del patrimonio ambientale e agricolo. Per il loro funzionamento, tra costi di gestione dell’attività e del personale, è stato stimato un fabbisogno superiore agli 80 milioni di euro, a fronte di uno stanziamento della Regione di soli 35 milioni di euro. Questa discrepanza ha determinato, da una parte, il mancato pagamento degli stipendi e, dall’altra, la paralisi delle attività di manutenzione delle reti idriche consortili e delle operazioni di distribuzione.
I problemi si sono aggravati in seguito all’ultima finanziaria dello scorso anno, che ha ridotto pesantemente il contributo regionale sugli emolumenti destinati al personale dei Consorzi. Fino al 2020, la somma è destinata a ridursi ulteriormente, fino a essere del tutto soppressa. I Consorzi non sono in grado di finanziarsi autonomamente e le quote versate dagli agricoltori non bastano. Attorno ai Consorzi di Bonifica ruotano più di 2 mila e 100 dipendenti con un costo che si aggira intorno ai 50 milioni di euro, con oltre 130 milioni di debiti e di contenziosi in atto.
“L’intero sistema dei Consorzi di Bonifica della Sicilia – dichiara Rosa Giovanna Castagna, presidente regionale di CIA Sicilia, Confederazione italiana agricoltori – rischia di scoppiare. I consorzi sono pieni di debiti che aumentano di continuo, non hanno le risorse necessarie a garantire la normale attività e, come se non bastasse, sono soggetti a subire innumerevoli procedimenti risarcitori. Bisognerebbe – prosegue – fermare l’aumento delle tariffe irrigue operate dai Consorzi di Bonifica e l’esecutività dei ruoli consortili in atto. Per il comparto agricolo, i nuovi costi e le spese da affrontare sono diventati insostenibili -. I direttori dei Consorzi di Bonifica aumentano a dismisura i ruoli irrigui, scaricando sugli agricoltori una gestione dissennata che rischia di affossare la migliore agricoltura di qualità di cui la Sicilia vanta la primogenitura. La situazione – conclude – peggiora nel momento in cui, di fronte a un quadro del genere, si propone il taglio dei trasferimenti delle risorse ai Consorzi di Bonifica più di quanto previsto dalle normative. È necessario revocare l’articolo 47 della legge Regionale n. 9/2015 nella parte in cui si prevede il disimpegno finanziario della Regione Siciliana fino al pareggio di bilancio dei Consorzi a decorrere dal 2021”.
C’è anche un aspetto giuridico, che mette in difficoltà il settore. Un terzo dell’economia illegale fa capo al comparto agroalimentare.
“Si consumano molti reati al giorno che interessano un grande numero di agricoltori – afferma Giovanna Castagna -. Il controllo della filiera alimentare va dalle campagne agli scaffali dei supermercati: si parte dall’accaparramento dei terreni agricoli fino ad arrivare ai supermercati, passando per tutta la filiera. La mafia cerca affari e il comparto agricolo e agroalimentare è oggi tra i più appetibili. Un altro aspetto chiave nel contrasto all’illegalità – sottolinea il presidente Cia – è rappresentato dal fenomeno del lavoro nero. Arma naturale contro il lavoro nero è certamente l’appartenenza delle imprese al mondo associativo. Ma è ancora più ampio il panorama entro cui inquadrare la lotta al sommerso, che passa dal sostegno reale all’impresa, che deve trovarsi nelle condizioni di potere operare entro i termini di ciascuna regola senza veder mortificato il proprio lavoro” – conclude -.
A prescindere dagli innumerevoli problemi che ruotano attorno al settore, l’agricoltura rappresenta una forma di lotta sociale per la garanzia di un presidio di legalità e per una più dignitosa forma di lavoro e di reddito. Questo principio offre lo spunto per parlare di agricoltura sociale: un’opportunità per dare valore e dignità al lavoro agricolo. “L’agricoltura sociale – riprende il presidente della Cia Sicilia – offre l’opportunità di estendere il modello di Welfare dei diritti a tutti i cittadini poiché mira ad accorpare bisogni, identità, tutele e istanze di libertà, a prescindere dalle loro più o meno elevate abilità”. L’agricoltura sociale migliora la qualità della vita della popolazione locale. “Aumenta il potere attrattivo di un territorio – aggiunge – e, al contempo, sperimenta pratiche di sostenibilità sociale, ambientale ed economica con il superamento dell’assistenzialismo per un welfare delle opportunità e delle responsabilità”.