Classe 1993, la giovanissima e talentuosa cantautrice palermitana Giulia Catuogno, sa benissimo cosa vuole fare nella sua vita e non intende rinunciare al desiderio di cantare e di dare così forma, attraverso la sua personale arte dei suoni, ai suoi pensieri, alle sue riflessioni, di parlare per mezzo delle note, di comunicare qualcosa a chi la ascolta, accompagnata dal pianoforte, suo fedele compagno di avventura.
di Daniela Giangravè
Ci diamo appuntamento alle 11 del mattino e ci accomodiamo “Al caffè”, all’interno proprio del teatro Massimo, uno dei templi più belli della musica, e sorseggiando fresche bevande estive comincia la nostra intervista.
Giulia Catuogno
Il tuo primissimo approccio, la scintilla che ha fatto scattare in te questa voglia di fare musica a quando risale?
Il primo approccio risale alla mia infanzia dal momento che sin da bambina la dimensione del canto, dell’esibizione, dello scrivere testi è sempre stata parte di me. Anche nelle stesse recite a scuola sceglievano me quindi il tutto è sempre stato molto naturale. Mio papà non è musicista, è un avvocato ma canta e di conseguenza sono cresciuta con questo esempio e con questa attitudine. Senza ombra di dubbio il primo approccio è stato quello familiare. Il passo decisivo è stato quando, a nove anni, ho messo le mie dita sui tasti del pianoforte, me ne sono innamorata, ho cominciato a studiarlo e non ho mai smesso. Il grande input di scrivere canzoni è stato sicuramente ascoltare autori e cantautori come De Andrè e a seguire tutti gli altri della vecchia scuola come De Gregori, Jannacci, Vecchioni, Tenco, tutta la scuola genovese, cantautori inglesi come Cohen e francesi come Brel e Brassel.
Il contatto con questa musica mi ha stimolata e mi ha formata e si vede l’impronta. Chiaramente il mio tipo di musica è legata al mondo del pop, pop-rock, al mondo di un suono moderno, una nuova canzone italiana perché siamo pur sempre nel 2016 ma le radici sono assolutamente quelle. È bello ed è giusto prendere dal passato ma guardando sempre al futuro perché non si può restare indietro.
In una dei tuoi ultimi testi “Vivi, c’hai la vita, deficiente!” c’è pure un piccolo accenno a questa tematica delle morti in mare infatti. In quali altre canzoni c’è un riferimento più forte?
Sì, esatto. “Vivi, c’hai la vita, deficiente!” è una delle mie canzoni più recenti. Con questa ho partecipato quest’anno a “Musicultura”. È una canzone che parla di vita, il tema delle morti in mare lo sfiora appena perché si sottolinea il fatto che la vita bisogna viverla e si chiede anche di rivolgere un pensiero a tutti coloro che si mettono dentro una barca e cercano la vita al costo della vita stessa. Nel mio spettacolo “La kultura della vita” c’erano varie canzoni, un po’ più vecchiotte, per così dire, e proprio “Lacrime”, affronta questa tematica. Ancor di più l’affronta il testo che ho scritto come autrice, “La barca”, cantato da un mio amico, Andrea Vincenti, e qui si chiede all’ascoltatore di immedesimarsi, e perché no, c’è anche la pretesa di una riflessione da parte di chi ascolta.
Anche con “Damasco” c’è un messaggio molto forte da questo punto di vista…
“Damasco” ha fatto anche parte del repertorio de “La kultura della vita”. Avevo 17 anni quando l’ho scritta e racconta della rivoluzione siriana; parla sopratutto di questo ragazzo che deve correre, non deve fermarsi e deve lottare per la libertà. Qui il risvolto e l’impegno sociale c’è perché c’è anche una dura critica nei confronti dei dittatori e nei confronti della gente che fa la guerra ma che non sta dentro la guerra, non muore in prima persona. Ribadisco che per me la musica deve avere un ruolo, non un ruolo politico, ma che possa trasmetterti qualcosa e non rimanere una canzonetta da cantare.
C’è un testo dei tuoi a cui sei particolarmente affezionata?
In realtà sono affezionata un po’ a tutte le mie canzoni, tutte hanno per me una loro bellezza, un loro fascino, senza con questo voler sembrare presuntuosa. Sicuramente un testo a cui sono molto affezionata è “Vivi, c’hai la vita, deficiente!”. Dico questo perché è nato dalla vita, un po’ come tutti. Questo in particolare perché è una canzone che fondamentalmente ti dice: “smettila di farti massacrare dal dolore e inizia a vivere!” È una canzone che parte dalla vita, non da pensieri metafisici, astratti. È dedicata anche ad una persona e in quel momento stavo male pure io.
Hai mai pensato di partecipare ad un talent visto che sembra che sia più facile, forse, far carriera? Che cosa ne pensi al riguardo?
Io dico sempre questo a proposito di talent: non esistono cose negative totalmente così come non esistono cose positive in senso assoluto. Tutto può essere negativo e positivo. Io credo che la musica, come appena detto, sia un percorso fatto di formazione. Il prossimo anno mi laureerò in pianoforte. È tanto che studio e quindi studiare la musica è basilare. Studiare e formarsi infatti perché serve alla carriera musicale così come per qualsiasi altra carriera.
Il talent show come punto di arrivo può essere utile. Poi la scelta di farlo o non farlo è una cosa che dipende dal genere di musica che si fa, se si può prestare di più o meno a questo tipo di format.
Il prossimo tour quando è previsto?
Alcune date sono previste in Sicilia e probabilmente andremo nel sud Italia, ovvero in Calabria e in Puglia, e poi chissà, magari anche al nord. Vedremo quello che verrà!
Sarà senz’altro un’estate di scrittura, tante nuove canzoni, si lavora a nuove cose e poi ovviamente a nuovi progetti perché non si finisce mai di creare. Finito un disco, si pensa già all’altro.