Il processo di deindustrializzazione in Sicilia negli ultimi anni è stato galoppante. Agli inizi del nuovo Millennio, la Sicilia contava 446 mila imprese, di cui 375 mila 812 attive. Oggi, le imprese attive sono 259.348, su un totale di 279.107 aziende operanti nell’Isola
di Patrizia Romano
L’andamento socio economico siciliano è particolarmente vulnerabile. Nell’ultimo mezzo secolo è andato incontro a continue metamorfosi. Da un modello rigidamente agricolo, che ha caratterizzato l’intero assetto sociale dell’Isola fino agli anni Trenta, siamo passati a un modello quasi industriale, che ha dominato la scena dagli anni Trenta fino agli anni Settanta. Nel corso del ventennio successivo assistiamo, invece, a una trasformazione verso il terziario. Per arrivare al modello attuale dell’informazione multimediale. Trasformazioni, orientate da una serie di cambiamenti culturali.
Nel primo quinquennio del 2000, il Mezzogiorno, e in particolare la Sicilia, è cresciuto di 2 punti in più rispetto al Centro Nord. Sempre negli ultimi cinque anni, si è registrato un aumento del 4,5 per cento pure nel campo degli investimenti. In aumento anche la nascita di nuove imprese che si attestano intorno alle 45 mila unità.
Oggi, il meridione è al collasso economico. Il processo di deindustrializzazione degli ultimi anni è stato galoppante. Agli inizi del nuovo Millennio, la Sicilia contava 446 mila imprese, di cui 375 mila 812 attive. Oggi, le imprese attive sono 259.348, su un totale di 279.107 aziende operanti nell’Isola.
Per la prima volta in Sicilia il numero delle aziende attive è inferiore a quello delle imprese che hanno cessato l’attività. Se ne sono perse circa 3.000 in tutta l’Isola, solo 600 a Catania.
Nei primi mesi di quest’anno, ben 23.294 aziende sono state risucchiate nel nulla, mentre ne sono state aperte poco più di 3 mila.
Da gennaio, in soli 3 mesi, sono state avviate 208 procedure di fallimento; mentre le chiusure hanno interessato perlopiù i marchi storici e le imprese artigiane, con un’incidenza maggiore rispetto ad altri settori di attività: nei primi tre mesi dell’anno, infatti, hanno già chiuso 778 aziende artigiane. In compenso, in Sicilia si registra un’impennata del fenomeno dell’ambulantato: nel 2015 gli ambulanti sono aumentati di 2.834 unità (+76,2% rispetto al 2014) e il numero dei commercianti, che non esercitano la propria attività in un luogo stabile, risulta pari a 20.412. Tra le province siciliane è Palermo con 7.020 aziende ambulanti a registrare l’aumento più significativo su scala regionale.
Insomma, negli ultimi dieci anni, nel Sud, si è registrato un calo industriale quasi del 50 per cento, mentre al Nord del 14,8 per cento. Negli ultimi 4 anni, in particolare, la produzione industriale è diminuita del 22 per cento; di conseguenza, meno investimenti e aumento della disoccupazione. Il rischio è la scomparsa dell’industria al Sud.
Le cause? Le cause sono numerose, a partire da una burocrazia asservita alla logica del clientelismo, il costo del denaro più alto rispetto al resto della Penisola, la presenza di organizzazioni criminali che scoraggia gli investimenti, la mancanza di infrastrutture.
Ma le cause che stanno alla base della deindustrializzazione nel nostro paese vanno addebitate, prevalentemente, alla mancanza di una adeguata politica industriale che, unita alla mancanza di politica energetica e al continuo smantellamento di molte aziende che spiccano il volo verso akltri paesi col miraggio di un maggiore profitto, mandano il sistema industriale siciliano al collasso.
Le industrie, se non chiudono, passano in mano straniera.
La mancanza di politica industriale del Governo nazionale, unita a quella del Governo Siciliano e le mancate autorizzazioni, hanno fatto perdere all’area industriale siciliana ingenti investimenti privati e pubblici.