Il Referendum Costituzionale del 4 dicembre 2016. Punti di forza e punti deboli della riforma. E’ poi nel giudizio complessivo che emerge la distinzione
di Mario Guglielmino*
Il prossimo 4 dicembre, milioni di italiani saranno chiamati alle urne per il Referendum Costituzionale voluto da Matteo Renzi.
Come forse accade raramente in Italia, ciascuno di entrambi gli schieramenti, per il Si e per il No, tende a riconoscere i punti di forza e i punti deboli della riforma, riconoscendone sia i pregi, sia le cose negative. E’ poi nel giudizio complessivo che accade la distinzione: c’è chi sostiene la prospettiva di un cambiamento, dopo anni di immobilismo e chi, al contrario, ritiene il passaggio troppo poco ben fatto per meritare approvazione.
Il tema non e’ di facile esplicazione e soluzione. All’interno del nuovo articolato costituzionale, sono declinate alcune istanze positive, come ad esempio l’esigenza di favorire un celere iter parlamentare per ogni sorta di discussione e provvedimento.
Ciò che emerge è, però, una certa sproporzione del mezzo rispetto ai fini: per raggiungere tale efficienza del percorso legislativo sarebbe stato intuitivamente più semplice affrontare un cambiamento dei regolamenti parlamentari, invece che ristrutturare la Costituzione. Riguardo a ciò, l’articolo 70 (esaminato in art 10 del nuovo testo) rappresenta uno dei punti più complicati nella lettura e nell’applicazione, prospettandosi verosimilmente il sorgere di notevoli conflitti di attribuzione di competenze e di interpretazione.
Diventa necessario esercizio leggere direttamente il testo dell’articolo 10 (ex 70), e analizzarlo al di là delle buone intenzioni del legislatore.
In egual maniera, lodevole nelle intenzioni ma di dubbia efficacia, pare quel dettato che, riducendo il numero dei senatori, vorrebbe alludere a un minor costo della politica. La soluzione, così come disegnata, sembra più sorta da un compromesso tra l’abolizione totale del senato e il mantenimento dello status quo.
Più che una riduzione del costo della politica, alcune scelte di ‘diminuzione’ della rappresentanza potrebbero favorire una certa riduzione degli spazi di democrazia, aprendo a un maggiore protagonismo del centralismo statale e della partitocrazia. Questo, che per alcuni aspetti sarebbe semplicemente un ritorno al passato, adesso rivestirebbe un significato diverso, nella misura in cui il diritto dei localismi a determinare scelte amministrative e politiche potrebbe esser fortemente compresso a fronte delle sempre più stringenti richieste della UE, al cui cospetto, le autonomie locali si troverebbero in situazione di maggiore debolezza contrattuale.
Gli articoli 10, 12 (sul procedimento legislativo) e 31 (che ridisegna le competenze tra stato e regioni) del nuovo testo costituzionale, si riferiscono ed emendano gli ex articoli 70, 72, 117 della Costituzione vigente e rappresentano l’altro caposaldo di tutta la questione.
La riforma proposta non può essere pensata come un punto d’arrivo, ma richiederà tutta un’altra serie di provvedimenti legislativi a cascata, per adeguare l’attuale assetto normativo al nuovo testo costituzionale. Un esempio è rappresentato dalla necessità di mettere mano agli statuti delle regioni autonome, con percorsi ed esiti per nulla affatto semplici né scontati.
Alcuni costituzionalisti parlano di un testo pasticciato: e in effetti si presenta cosparso di alcuni passaggi che fanno pensare a un costrutto non proprio organico e conseguente. Valga per tutti, l’inspiegabile mancata previsione del vincolo di mandato per i nuovi senatori, che sarebbe invece stata quanto mai doverosa, trattandosi non di rappresentanti della nazione (come i componenti della nuova Camera), ma di espressione dei territori, al cospetto dei quali questi dovrebbero espletare un ruolo obbligato e naturale di riferimento politico decisionale.
Per concludere questa breve e sintetica disamina, non si può lasciare da parte la considerazione dello stretto rapporto tra riforma costituzionale e nuova elegge elettorale, cosiddetta Italicum. Ricordiamo soltanto che da più parti, anche e persino da chi questa legge ha votato, approvandola appena alcuni mesi or sono, è stata riconosciuta la necessità di un nuovo ulteriore cambiamento. In sintesi, qui richiamiamo che il cosiddetto ormai noto ‘combinato disposto’ tra riforma e legge elettorale rischierebbe di rendere una fin troppo risicata minoranza del paese impegnata a gestire le sorti dell’intero spaccato sociale e politico italiano.
E non possiamo non rilevare che per ripartire l’Italia avrebbe bisogno di altre auspicate riforme davvero utili e attese da anni, sui temi della pubblica amministrazione, della semplificazione normativa, del processo civile, del fisco, della tassazione sul lavoro e delle imprese.
In questo passaggio fondamentale che ritocca in modo significativo l’icona stessa della nostra democrazia, una Carta Costituzionale che molti nel tempo ci hanno invidiato, ciascun cittadino è chiamato a formare un proprio personale e consapevole giudizio, per andare al voto inteso come esercizio indispensabile e non delegabile di democrazia.
*Presidente di Voci Attive – Associazione politico culturale – Movimento di cittadinanza attiva