Sergio Vespertino, che si esibisce prevalentemente all’Agricantus di Palermo, parla della sua continua ricerca della contaminazione dei generi e della simbiosi fra teatro e vita. Lo abbiamo intervistato
di Pippo La Barba
Ti ritieni più un attore o un autore?
Sono nato attore, poi durante il mio percorso artistico ho trovato gratificante diventare autore e forse oggi lo prediligo. Per me essere autore equivale a sperimentare. Da alcuni racconti di Buzzati per esempio ho tratto il personaggio di Carrubbello, che ho declinato in diverse sfaccettature, sempre con la mia impronta.
Cosa ti ha spinto verso il teatro?
Ho visto sin da bambino il teatro come gioco, poi via via si è trasformato in interesse consapevole e passione.
In cosa consisteva il gioco?
Esercitavo in famiglia, a modo mio, questa attitudine a creare personaggi di fantasia. Poi, dal 1986 al 1990 ho fatto l’animatore nei villaggi turistici, quindi mi sono trovati dei compagni di viaggio, che erano Ernesto Maria Ponte e i fratelli Pizzuto.
Cosa avete fatto insieme?
Abbiamo costituito un gruppo chiamato”Treeunquarto” . Il gruppo è durato molto (dal 1990 al 2000 ), poi ciascuno ha preso la sua strada. Io ho mollato per andare al Teatro Verga di Catania dove ho lavorato con Turi Ferro, poi a seguire con altri grandi del teatro sino al 2004.
Quando è avvenuta la svolta che ti ha fatto diventare un attore?
Grazie a Pippo Spicuzza ho scoperto il mio talento, la bestia da palcoscenico che era in me. Ricordo che Pippo doveva fare uno spettacolo in cui erano coinvolti giovani attori: Massimo Mollica, Consuelo Lupo, Rinaldo Clementi, Ernesto Tomasino, e mi aggiunse. Il progetto si avvaleva dell’impianto scenico di un valente scenografo, Enzo Venezia. Con Spicuzza ho avuto anche l’opportunità di calcare le scene del Teatro Massimo di Palermo con due spettacoli di cunti siciliani.
Hai avuto anche un’esperienza al Piccolo Teatro Città di Palermo.
Sì, ai tempi in cui lo dirigevano Angelo Butera e Lollo Franco, siamo nei primi anni novanta; ma non durò molto, perché nel frattempo avevo conosciuto l’”odore” del teatro di Spicuzza.
Poi hai proseguito da solo…
Dal 2004 in poi sono costantemente autore dei miei testi… oppure rielaboro e reinvento scritture di autori di cui mi innamoro.
Qual è la tua idea di teatro?
Senza presunzione ho capito che la comicità è parte essenziale della vita, un punto di snodo dove il sogno interagisce con la quotidianità. Allora ho tirato fuori, e continuo a farlo, tutta l’energia che ho dentro con monologhi a volte lunghissimi che però non annoiano lo spettatore, anzi lo rilassano facendogli esorcizzare problemi dell’oggi. Debbo ringraziare il direttore dell’Agricantus Vito Meccio che mi consente di farlo.
Perché prediligi il monologo?
Il monologo è una modalità importante del teatro comico. La mia comicità deve essere sempre intrisa di intelligenza riflessiva e carica di un percorso narrativo fantasticamente visibile. Ecco perché nel mio caso si può parlare di monologo rientrante nella categoria del teatro comico e mai nel cabaret.
Dove va attualmente il teatro?
Il teatro oggi deve reinventarsi e riproporsi costantemente in veste nuova e snella. I classici vanno centellinati come gioielli e patrimonio, ma la vera e grande attività da svolgere deve avere un costante fermento di sperimentare senza mai pesare l’orecchio di chi ti ascolta e l’occhio che ti vede. La creatività e la sperimentazione pagano sempre. La distinzione di scuola tra teatro drammatico per i colti e teatro comico per la massa non regge più, la gente vuole storie ben costruite in cui il sogno e la realtà interagiscono in una contaminazione di generi.
Lo Stato deve finanziare le attività teatrali?
Per me lo Stato deve assicurare non finanziamenti, ma servizi.