di Gaia Matteini *
Mentre Volkswagen accetta di indennizzare i proprietari statunitensi di vetture coinvolte nel c.d. dieselgate, per chiudere la class action, gli automobilisti di casa nostra stanno ancora aspettando di ricevere la giusta tutela.
Il CEO di Volkswagen esclude che una simile iniziativa possa essere attuata in Europa, motivando col fatto che negli Stati Uniti i limiti sulle emissioni sono più severi, “il che avrebbe reso difficile la correzione delle irregolarità”.
Ma si immagina che, sulla decisione, abbia pesato soprattutto lo spauracchio della imponente class action promossa nei confronti della casa automobilistica, un vero e proprio incubo per le multinazionali americane.
E il pensiero va, inevitabilmente, all’azione di classe di casa nostra, ed a come essa, per come strutturata, non abbia centrato quegli obiettivi di moralizzazione del mercato e di prevenzione delle pratiche commerciali scorrette che, nell’ottica del legislatore, avrebbero dovuto rappresentare il fine primario, il senso della tutela di classe.
Viceversa, nel nostro sistema la tutela per le vittime di pratiche scorrette è e rimane di tipo repressivo, con poteri sanzionatori in capo all’Antitrust.
I numeri parlano chiaro: in sette anni, delle 58 azioni di classe promosse, 10 sono state dichiarate ammissibili, 18 inammissibili, 40 sono in corso, e solo 3 sono arrivate a sentenza (fonte: Osservatorio Permanente sull’Applicazione delle Regole di Concorrenza).
La ragione di un dato così sconfortante risiede, da un lato, nella tassatività delle violazioni che possono essere denunciate per mezzo dell’azione di classe, e, dall’altro, nella farraginosità della procedura, che si articola in due fasi: con la prima il Tribunale valuta l’ammissibilità dell’azione, e con la seconda il merito delle singole richieste risarcitorie degli aderenti all’iniziativa.
Nel disegno di legge di riforma, approvato alla Camera e fermo al Senato da un anno e mezzo, si prevede addirittura una terza fase, ed un ulteriore termine per consentire agli interessati di aderire all’azione.
Quella che, per usare le parole del giornalista Federico Rampini, avrebbe dovuto essere “un’arma di distruzione di massa in mano ai consumatori”, da noi ha assunto, piuttosto, le sembianze di un sommesso babau, e se il Senato approverà la riforma secondo il testo licenziato dalla Camera, senza recepire alcuna delle modifiche proposte dalle Associazioni dei Consumatori, continueremo a non fare alcuna paura alle grandi imprese.
* Coordinatrice Consulta Giuridica Federconsumatori