Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

A Flossenbürg tra i deportati del “Trasporto 81”

Un lager tra quelli meno conosciuti, Flossenbürg, nel quale le vite di oltre 400 prigionieri italiani di diversa origine ed estrazione sociale respirano ancora grazie a una mostra partita da Bollate. Un viaggio nel dolore raccontato da chi ha partecipato insieme a un gruppo di studenti del Comune di Rho, per fare in modo che la memoria possa diventare un impegno capace di alimentare empatia (le foto sono di Salvina Cangiamila)

di Salvina Cangiamila

Quale senso può avere oggi intraprendere un viaggio verso un campo di concentramento come quello di Flossenbürg, oltretutto tra i meno conosciuti? Questa domanda sarebbe stata lecita forse prima di aver visitato la mostra In treno con Teresio. I deportati del Trasporto 81”, allestita non molto tempo addietro presso la biblioteca di Bollate (MI).

Un’esposizione, realizzata già nel 2018 per l’Aned (Associazione Nazionale Ex Deportati) da Maria Antonietta Rigoni e Marco Savini, frutto di una minuziosa indagine su un convoglio che trasportò 432 prigionieri, dal campo di “transito” di Bolzano-Gries a quello di concentramento di Flossenbürg.

In essa, vengono narrate le biografie di quei prigionieri politici, ricostruite attingendo a fonti e documenti di diversa tipologia e provenienza, ma soprattutto avvalendosi delle testimonianze (disegni, racconti, lettere) scritte dagli stessi deportati e dai pochi sopravvissuti.

Il convoglio di carri-merci, partito il 5 settembre 1944, giunse dopo due giorni di massacrante viaggio, con un carico di prigionieri italiani di diversa età, origine ed estrazione sociale: militari che si opposero dopo l’8 settembre  alla RSI e militari disertori; magistrati, avvocati, medici e sacerdoti; politici schedati come anti-fascisti, partigiani appartenenti ai vari Comitati di Liberazione, minorenni aderenti alla resistenza, operai arrestati durante gli scioperi e destinati all’industria bellica nazista.

La mostra restituisce un volto a molti di loro, quella individualità negata e calpestata in modo aberrante, con le loro storie altrimenti destinate all’oblio.

L’iniziativa di inaugurare la mostra a Bollate, Comune limitrofo di Rho (MI), si deve principalmente a una donna, Carmen Meloni, che ha contribuito a ricostruire le storie di quei numerosi deportati dalle regioni del nord d’Italia e ne ha curato l’esposizione. Non è, poi, un caso che faccia parte dell’Aned di Milano, ma che sia anche nipote di Pietro Meloni, uno dei prigionieri mai più tornati da Flossenbürg, cittadino di Rho, tra quei 13 davanti alle cui abitazioni sono state poste delle “pietre d’inciampo”, a imperitura memoria, da parte dell’amministrazione comunale.

Nel corso dell’inaugurazione della mostra, avvenuta alla presenza di alcuni familiari dei deportati, il presidente dell’ANPI, l’Associazione nazionale partigiani italiani, di Bollate, Giuseppe Parisi, nell’iniziale discorso ha sottolineato come la conoscenza e la diffusione delle biografie, di coloro che si sono adoperati, a rischio della vita, contro il regime nazifascista, siano “un dovere morale”, oggi più che mai. «Fare memoria soprattutto tra le giovani generazioni, attraverso il racconto di quelle vite – ha proseguito, in un trascinante intervento, Meloni – significa piantare semi di consapevolezza per l’esercizio di una cittadinanza attiva, poiché non si può dire di aver compreso davvero senza aver provato l’impulso ad agire, mettendo in atto comportamenti responsabili, affinché tutto ciò che è stato non accada MAI PIU’!».

Disegno di un prigioniero

Inoltre, Carmen Meloni, insieme ad altri familiari di deportati, come Walter Gibillini, gira per le scuole a raccontare le vite e le terribili esperienze dei loro cari, promuovendo una cultura basata sulla difesa dei diritti e dei principi fondanti della nostra democrazia.

Toccante anche la testimonianza proprio di Gibillini, rappresentante italiano del lager di Flossenbürg, il quale, figlio di uno dei pochi sopravvissuti autore di un prezioso memoriale, è impegnato a proseguire l’opera di testimonianza intrapresa dal padre Venanzio, scomparso pochi anni fa.

Visitando la mostra e soffermandosi a osseGrvare quei volti, mentre si legge il racconto di quelle vite per lo più giovani, che scelsero di opporsi alle discriminazioni e alle violenze nazifasciste rischiando la vita, tra i numerosi interrogativi irrisolti si fa spazio l’esigenza di un viaggio nel campo di concentramento di Flossenbürg, allo scopo di conoscere da vicino quella realtà, per comprendere a fondo la quotidianità riservata a  quei giovani coraggiosi, a quali maltrattamenti non essere riusciti a sopravvivere.

Difatti, è un’esigenza condivisa e inserita nel percorso di conoscenza intrapreso nelle scuole e nel territorio da Carmen e Walter, l’organizzazione di un viaggio proprio in quel lager, patrocinato dal Comune di Rho.

Sono anni ormai che l’amministrazione comunale, nel suo continuo fermento di varie iniziative culturali, si avvale del lavoro di molti consiglieri, tra i più attivi dei quali si distingue Clelia La Palomenta, presidente della Commissione Antimafia e Legalità, per promuovere l’idea di una “Memoria che si fa Impegno” e diffondere, nelle scuole e in tutto il territorio, i valori della legalità e quelli della resistenza, gli stessi che hanno ispirato i principi della nostra Costituzione.

Il viaggio

Il 19 aprile scorso, quindi, in occasione del 79 esimo anniversario della liberazione del lager (23 aprile 1945), una delegazione di cittadini, tra cui studenti, insegnanti e familiari di deportati, guidati da Carmen Meloni, Walter Gibillini e Giuseppe Parisi, sono giunti a Flossenbürg per inaugurare la stessa mostra su “I deportati del Trasporto 81” nella sua sede ideale, all’interno del Memoriale del campo, e partecipare alla cerimonia di commemorazione, con al seguito il gonfalone della città di Rho e la consigliera comunale Clelia La Palomenta, delegata dal sindaco Andrea Orlandi.

Il Lager dimenticato

A quasi ottant’anni dalla sua liberazione, in una gelida mattina di aprile (Flossenbürg è nota come “la Siberia della Baviera”), il lager si presenta come una landa desolata, delimitata da una collina su cui sorgono delle villette residenziali, proprio laddove si allineavano le numerose baracche che ospitarono fino a più di 100.000 prigionieri, per lo più politici. Poco distante, la cava di granito in cui avveniva il loro massiccio e massacrante sfruttamento nel lavoro di estrazione.

Salta agli occhi l’assenza di edifici che possano testimoniare in qualche modo la struttura del lager, così come vedremo poi documentata dai racconti dei pochi sopravvissuti. Infatti, subito dopo la guerra furono demolite le baracche e la cava fu acquisita da una impresa locale, rimanendo in funzione fino al recente 31 marzo 2024.

È sconcertante immaginare la fretta con cui le SS, all’inizio dell’aprile 1945, cercarono di disfarsi delle tracce dei loro misfatti, pochi giorni prima di mettersi in marcia verso Dachau con 14.000 prigionieri gravemente denutriti e debilitati, provocando deliberatamente la morte di almeno 4.000 di essi.

L’opera di rimozione di un passato scomodo, da dimenticare, proseguirà dopo la guerra per più di un decennio e verrà suggellata proprio dalla presenza delle villette che, edificate nel 1958, dominano indifferenti sul campo che fu teatro di nefandezze e sulla Valle della Morte, chiamata così perché vi furono seppelliti decine e decine di migliaia di cadaveri, oltre alle ceneri prodotte dal forno crematorio posto di fianco e utilizzato a pieno ritmo negli ultimi anni del lager.

La Valle della Morte

La lenta ricostruzione e il memoriale di Flossenbürg

Ma basta inoltrarsi oltre la “piazza dell’appello” (dove venivano radunati i prigionieri) che fu sede anche di innumerevoli esecuzioni sommarie, per imbattersi in quei pochi edifici rimasti (ex lavanderia, ex cucina) che, dopo accurata ristrutturazione, dal 2006 sono stati riconosciuti parte integrante di tutto il sito storico messo sotto tutela.

Si deve allo studioso Jörg Skriebeleit la riorganizzazione di tutta l’area con l’istituzione di un Memoriale che, dal 1999, custodisce alcuni ambienti originali del lager, destinati a ricevere e selezionare i deportati appena arrivati, con pratiche disumane di spersonalizzazione dell’individuo; custodisce anche documenti, oggetti, disegni e citazioni, ritrovati in loco, testimonianze della vita quotidiana nel lager.

Il Memoriale oggi è diretto dallo stesso Skriebeleit, colui che ha voluto fortemente ridare voce e dignità al sacrificio di più di 73.000 persone (di cui 16.000 donne) che hanno patito in quel campo, abbandonato e dimenticato per molto tempo, le fatiche del lavoro forzato, torture, fame, freddo e malattie dovute al suo estremo sovraffollamento.

Il museo

Nelle due Mostre Permanenti allestite nel Museo, si trovano tutti i reperti rinvenuti nel campo, i disegni, le foto e le narrazioni dei deportati, soprattutto quelle dei sopravvissuti, oltre a una ricostruzione storica del campo,  fatta attraverso immagini e documenti fotografici d’epoca: dall’uso iniziale della cava di granito a scopo edilizio, all’istituzione nel 1938 del campo destinato ad avversari politici, per lo sfruttamento della manodopera gratuita costituita dai prigionieri, fino allo “sterminio degli oppositori tramite il lavoro”, a partire dal 1943.

La visita al Memoriale è di forte impatto emotivo; il freddo gelido del campo resta dentro come un brivido, osservando i disegni che descrivono l’annientamento dell’individuo nei suoi tratti distintivi e quella disumana, inenarrabile quotidianità. Allora ci si chiede come si sia potuto arrivare ad un inferno siffatto.

Sorge spontaneo ripercorrere nel passato i drammatici fatti storici che hanno preceduto tanto orrore, per individuare eventi e personaggi che stanno in cima alle cause, si va alla ricerca delle responsabilità da quelle individuali a quelle di carattere politico, ma ci si ferma dinnanzi alle pesanti responsabilità di una collettività, in parte asservita alle leggi di un potere folle, per cieca obbedienza, in parte assente o indifferente, quando non impegnata a difendere i propri privilegi.

Numero di prigionieri deportati a Flossenbürg

Dinnanzi alla descrizione di tante nefandezze subite da una grande moltitudine di persone che si oppose alle violenze nazi-fasciste, per scelta e per coerenza ai propri principii, ci si pongono molti interrogativi su quale eredità hanno ricevuto nel tempo, da sconvolgenti episodi del passato, le generazioni successive, dall’ultima guerra a oggi, e le domande si fanno sempre più inquietanti se ci si confronta con la realtà del nostro presente. Con insistenza ci si chiede cosa bisogna ancora fare che non sia già stato fatto, per evitare che l’inferno si ripeta.

Ecco perché una mostra, come quella portata dal Comune di Rho fino al Memoriale, non poteva trovare luogo più idoneo per essere conosciuta e diffusa, per la meticolosa ricostruzione delle biografie di quei prigionieri italiani, che dopo l’8 settembre approdarono proprio qui.

La mostra da Rho al lager

Il direttore del Memoriale, Jörge Skriebeleit, infatti, durante l’inaugurazione della mostra allestita nel bunker del lager, ha ringraziato Carmen Meloni, per il suo incessante lavoro di collaborazione col Memoriale e la numerosa delegazione di Rho, che testimonia come la fama di questo campo sia andata crescendo soprattutto tra gli Italiani. Ha sottolineato, inoltre, come questa sia la prima mostra che documenti l’identità di deportati italiani tutti oppositori politici.

Subito dopo Carmen Meloni ha ribadito il suo impegno teso a coinvolgere sempre più gli studenti «perché la memoria non deve rimanere un insieme statico di ricordi» e, rivolgendosi ai giovani presenti, li ha esortati «a diventare staffette della memoria, studenti che hanno accolto l’invito di far parte della Storia». Quindi, ha posto l’accento sull’importanza del lavoro di “divulgazione” per far comprendere ai giovani la necessità di “non rimanere indifferenti”. L’indifferenza è uno dei mali peggiori.

La consigliera Clelia La Palomenta con gli studenti dell’Istituto tecnico “E. Mattei” di Rho

La commemorazione del 79esimo anniversario

Sugli stessi temi si sono incentrati gli interventi inaugurali dei rappresentanti istituzionali della Baviera, invitati alla cerimonia della Commemorazione Annuale del 79esimo anniversario della liberazione, che si è svolta alla presenza di oltre 600 persone, appartenenti a delegazioni ed esponenti di varie associazioni, laiche e religiose, gruppi di familiari degli ex-deportati, provenienti da tutta Europa.

Da ogni parte è stata sottolineata la necessità di alimentare una cultura della Pace, soprattutto tra i giovani, promuovendo progetti di attività e studi mirati ad una collaborazione intergenerazionale per la difesa dei diritti e il superamento di ogni genere di discriminazione. «È un impegno per noi sempre più urgente, in un periodo così critico e inquietante dell’attuale situazione internazionale” – ha affermato il prof. Udo Hebel, presidente dell’Università di Ratisbona – mentre riaffiorano insostenibili pregiudizi razziali».

La cerimonia solenne

Subito dopo gli interventi delle autorità, intervallati da brevi esibizioni musicali, in un clima di intensa partecipazione, si è svolta la cerimonia solenne della deposizione delle corone di fiori nella “piazza dell’appello”, davanti alle bandiere schierate sulla parete di fianco al Memoriale di Flossenbürg, alla presenza anche di una rappresentanza dell’esercito statunitense.

Nonostante le rigide condizioni climatiche abbiano impedito di deporre le corone sulle lapidi della Valle della Morte, senza il rituale corteo, il ricordo di quell’evento di 79 anni fa si è fatto più vivido proprio a causa di un insistente vento gelido misto a neve, che ha procurato momenti di indescrivibile commozione. Il viaggio a Flossenbürg si è concluso, ma per ciò che ci rimane dentro è appena cominciato. Perché ciò che si è profondamente compreso, non può che diventare impegno a coltivare una memoria che alimenti l’empatia per la sorte degli altri, per le sofferenze degli altri, se si vuole davvero la Pace.  

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Una risposta

  1. Mostra importantissima per fare conoscere soprattutto ai giovani la tragedia vissuta da tanti cittadini che volevano difendere libertà e vivere in pace.

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