Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – Testata di approfondimento fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalist* indipendenti

Acqua santa e benedetta

L’economia privata si sviluppa con la scarsità di prodotti e servizi e con la cattiva gestione delle risorse pubbliche. Il disastro dell’acqua è un buon affare, e non è casuale. Un’industria miliardaria gira intorno alle perdite delle reti, alle dighe incompiute e alle mancate manutenzioni, un’altra sull’imbottigliamento e la vendita di acque minerali. Non è la volontà di Dio, né la siccità inevitabile, ma la volontà di multinazionali senza scrupoli, di uno Stato assente e di una politica complice

di Victor Matteucci

Per fare buoni affari è necessario creare una scarsità di beni e servizi, sia per quantità che per qualità. Tanto più un prodotto, o un servizio, è raro, tanto più elevato sarà il suo valore. Al contrario, tanto più vi sarà abbondanza di una merce, tantomeno sarà di valore. Oggi parliamo di acqua.

Così come tanto più un servizio pubblico è reso come un disservizio, tanto più si giustifica la sua privatizzazione. Come si crea il mercato per un prodotto o per un servizio, lo aveva spiegato anni fa Franco Berardi (La fabbrica dell’infelicità, Derive Approdi). Va da sé che, in alcuni casi, la scarsità di una merce ha una ragione naturale, in altri, è determinata volontariamente.

Di tutti, di nessuno. E senza valore

In un mondo completamente mercificato, siamo sottoposti a una cultura distorta, secondo cui se qualcosa è di tutti, ed è gratis, non ha valore.

La terra, l’acqua e l’aria, per esempio, dovrebbero essere risorse comuni. La terra lo fu finché era libera e finché nei primi secoli dell’era moderna i Landlords non decisero di recintare i terreni accampando presunti diritti di proprietà. La conseguenza fu l’espulsione dei contadini, alcuni dei quali, in seguito, sarebbero stati assunti come braccianti, mentre altri furono costretti a trovarsi un lavoro salariato in città. Da quel momento, la terra aveva una proprietà, era recintata e acquisiva un valore di mercato.

Un’altra strada per attribuire un valore di mercato a un bene collettivo è quello di persuadere che esso non possa essere gestito con efficacia se lasciato al pubblico e, quindi, trovare il modo per appropriarsene.

In genere, finché un bene è pubblico, sarebbe di tutti, ma se si costruisce una narrazione secondo cui lo Stato è inefficiente e se il senso dello Stato di un popolo è scarso, è più probabile che si percepisca il bene pubblico come di nessuno. Perciò, dal momento che il valore è  associato alla proprietà, in assenza di proprietà, quel bene è senza valore.

Una volta persuasi da questa percezione del non valore, si autorizzano o si tollerano, per esempio, atti di vandalismo, trascuratezza e di abbandono, fino a utilizzare talune aree pubbliche come discariche abusive, in modo che, oltre che essere senza valore, possano divenire anche un problema per la collettività. Questa idea del pubblico senza valore, naturalmente, non nasce a caso. È evidente che le inefficienze oggettive dello Stato, o quelle determinate da lobby di pressione, favoriscono l’offerta privata. Solo se si evidenzia una scarsa qualità del servizio pubblico, o una scarsa quantità di un bene o di un prodotto, è possibile, infatti, inserire quel servizio, o quel prodotto, nel mercato con un valore che tutti saranno disponibili a riconoscere, e con un costo, in cambio di una restituita efficienza o di una qualità ottenuta per rigenerazione. Naturalmente il disservizio pubblico nel Sud, dove storicamente lo Stato è assente o corrotto, lo conosciamo bene e sappiamo anche che è il presupposto necessario che favorisce la privatizzazione, a basso costo, di beni e servizi senza che questo possa sollevare proteste.

Dopo la terra, e in attesa dell’aria, che per il momento è sottoposta a un continuo processo di inquinamento, l’acqua è stato il secondo patrimonio pubblico aggredito dal mercato privato. C’è una lunga storia di disservizio pubblico che ha riguardato l’acqua, infatti, e che è stato il presupposto per decidere di affidarne ai privati la gestione, nonostante l’opinione pubblica si fosse espressa chiaramente contraria.

L’eccezione di Napoli

La città di Napoli è stata in Italia, riguardo alla gestione dell’acqua, un’eccezione. L’unica realtà ad aver attuato, con la costituzione dell’azienda speciale “Abc Napoli”, la volontà referendaria espressa dalla maggioranza assoluta del popolo italiano nel giugno 2011, quando, oltre 27 milioni di persone votarono per il riconoscimento dell’acqua come bene comune, per la sottrazione della stessa alle leggi di mercato e per la sua gestione pubblica e partecipata dalle comunità territoriali.

L’esperienza dell’azienda speciale “Abc Napoli”, dalla sua nascita, nel 2011, ad oggi, ha assicurato la gestione di un servizio pubblico efficiente, finalizzato a garantire un bisogno essenziale alla città, invece di trasformarlo in un bancomat per i grandi interessi finanziari. Perciò la scelta dell’attuale sindaco Pd, Luigi Manfredi, e della giunta del Comune di Napoli che ha deciso di modificare lo statuto dell’azienda speciale “Acqua Bene Comune Napoli”, eliminando dalla gestione della stessa, tanto la presenza, quanto le funzioni delle realtà cittadine ed ecologiste, dei lavoratori dell’azienda e delle istituzioni municipali territoriali, appare incomprensibile e, contrariamene al solito, ha sollevato proteste e obiezioni furiose.

Dietro questa decisione, è chiaro il disegno neoliberista di trasformare l’azienda speciale in società per azioni, reinserendo l’acqua dentro i circuiti della mercato privato e del profitto, in vista di ripetere anche a Napoli la sciagurata esperienza delle grandi multiutility pubblico-private che in gran parte d’Italia hanno fatto dell’acqua un business garantito.

Il caso Sicilia, l’ultimo allarme

Laura Castelli, presidente di “Sud chiama Nord”, replicando alle dichiarazioni del ministro Salvini che aveva affermato di aver stanziato oltre un miliardo d’investimento per l’emergenza idrica in Sicilia e la Regione Siciliana, ha fatto l’elenco delle risorse ‘non’ utilizzate: 

Ministero Ambiente. Residui 2023: tutela e gestione delle risorse idriche 820 milioni; interventi per l’uso efficiente delle risorse idriche 172,8 milioni; 

Mistero Agricoltura. Residui 2023: Piano irriguo nazionale 87,5 milioni; 

Ministero infrastrutture. Residui 2023: sistemi idrici 67 milioni, dighe 81 milioni; 

Regione Siciliana. Residui 2023: servizio idrico integrato 52,2 milioni. (Fonte bilancio dello Stato)

E aveva aggiunto che la mancata disponibilità delle risorse inspiegabilmente fermi nel Bilancio dello Stato avrebbe determinato in Sicilia una tale situazione di emergenza, per cui “gli animali muoiono di sete, le persone non possono usare l’acqua corrente da giorni, le strutture ricettive rischiano di saltare perché senza acqua non si possono accogliere i turisti”.

Schifani: «Al lavoro per risolvere criticità»

“Interventi sulle reti irrigue nel Palermitano e nel Trapanese per quasi 19 milioni di euro. Questo l’ammontare delle somme che finanziano due bandi di gara pubblicati rispettivamente dal Consorzio di bonifica di Palermo e da quello di Trapani”.

«Contro la siccità – aveva replicato il presidente della Regione, Renato Schifani – interveniamo per dare risposte concrete al settore agricolo, utilizzando sino in fondo le risorse nazionali a disposizione. Dobbiamo impiegare al meglio l‘acqua disponibile e ridurre perdite e sprechi. Lavoriamo senza sosta al fianco degli imprenditori agricoli per risolvere criticità che esistono da troppo tempo, ammodernare e rendere più efficienti impianti e reti irrigue nelle nostre campagne, servire più porzioni di territorio, ridurre i consumi e garantire anche l’ambiente»,   

La prima delle due gare, per un importo complessivo di 9,99 milioni oltre Iva su finanziamento del ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, riguarda l’affidamento dei lavori necessari per utilizzare integralmente le acque del serbatoio di Garcia sul fiume Belice, nel palermitano. Si tratta del primo lotto funzionale per la manutenzione straordinaria della distribuzione irrigua del comprensorio “Dagale-Renelli”. Intervento necessario a causa del deterioramento delle infrastrutture esistenti, in esercizio da oltre 30 anni. Sarà ripristinata la funzionalità dell’impianto, grazie al rinnovamento delle apparecchiature elettromeccaniche di sollevamento e di altre parti di condotte e strumentazioni irrigue che servono oltre 100 ettari di terreni. 

Il secondo bando, per un importo di 8,7 milioni oltre Iva, anche in questo caso su finanziamento del ministero dell’Agricoltura, mira al rifacimento delle rete irrigua della conca del fiume Delia, in territorio di Mazara del Vallo, nel Trapanese. Il progetto prevede di adeguare la rete di distribuzione per ridurre le perdite e renderla più efficiente grazie all’impiego di strumentazioni di telecontrollo gestite da remoto dal Consorzio di bonifica e il rifacimento di tratti di vecchie condotte per circa 140 chilometri. 

La situazione reale secondo Green report e il Sole 24 ore

Al di là degli annunci della Regione, la situazione  attuale è che già dalla primavera del 2024, esattamente il 12 marzo, La Regione siciliana e il sindaco di Palermo avevano dichiarato che si avviava il razionamento per lo «Stato di crisi e di emergenza, riguardo all’acqua potabile, fino al 31 dicembre». La Regione aveva anche elencato quali erano le province a secco anche in pieno inverno: Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo e Trapani, con stati di allerta in quelle di Catania, Ragusa e Siracusa.

In effetti, come ha mostrato una recente inchiesta televisiva realizzata nell’agrigentino e dintorni, la norma è sempre la «turnazione» dell’acqua che arriva ogni tre o quattro giorni e l’arredo più comune su terrazze e balconi è fatto da contenitori e bidoni di plastica per accumularla. Sono le conseguenze di una completa assenza di investimenti per infrastrutture e per la manutenzione e di leggi nazionali inapplicate da 28 anni, come la legge Galli. Così, accade che l’acqua non giunge ai comuni, che i contadini devono ancora comprarla dai «grossisti» come nel Medioevo, che molti impianti sono obsoleti con reti che perdono anche il 100% di risorsa e che le aziende e Autorità di ambito, così come i piani tariffari e piani di investimento, sono sconosciuti in gran parte dell’isola.

Tutto questo, infine, è anche la conseguenza del fatto che non si riescono nemmeno a spendere i miliardi stanziati per acquedotti e depuratori perché mancano aziende idriche. A partire dall’assenza di aziende del servizio idrico integrato. Il 68% dei comuni, con il 47% della popolazione regionale, ancora affida il servizio idrico a qualche dipendente degli uffici tecnici comunali nella totale mancanza di capacità tecniche, personale, mezzi e risorse finanziarie. Al nulla. E continuano a nominare sempre nuovi «commissari straordinari». L’isola, tutto sommato rimasta ai margini della siccità 2022-23, è al quinto anno consecutivo di precipitazioni sotto la media di lungo periodo, con quasi 5 mesi senza piogge tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024.  I due invasi maggiori, le dighe-lago di Lentini nel siracusano e dell’Ogliastro tra le province di Enna e di Catania, con capienza rispettivamente da 127 e 110 milioni di m2 d’acqua, in pieno inverno invasavano 49 e 22 milioni di m2. Nella diga Rosamarina di Caccamo anziché 100 milioni di m2 l’asticella ne segnalava appena 12, nel palermitano la diga Poma da 72,5 milioni di m2 era a quota 22. Ma sull’isola cadono da cielo mediamente ogni anno volumi di acqua in grado di soddisfare ogni fabbisogno, se solo gli invasi fossero in piena efficienza e capienza, e se non ci fossero impianti e reti di distribuzione così rabberciati. Su 26 grandi dighe controllate dalla Regione, 3 risultano fuori esercizio, 5 con limitazioni per ragioni di sicurezza, 10 in attesa di collaudo. Manca un piano regionale degno di questo nome per le infrastrutture primarie, e ogni tentativo di riorganizzazione della gestione idrica è miseramente fallito (Lo strano caso della Sicilia, l’isola in perenne siccità dove non manca l’acqua ma mancano le infrastrutture dell’acqua – Green report – Erasmo D’Angelis e Mauro Grassi- 14 Maggio 2024).

Diga Trinità

Un caso per tutti? La Diga Trinità che dovrebbe dare acqua a 8.000 ettari di coltivazioni nel trapanese tra Castelvetrano, Campobello di Mazara e Mazara del Vallo, uno dei simboli dell’immobilismo e dello spreco. Costruita tra il 1954 e il 1959 non è mai stata collaudata con il suo lago, a 69 metri sul livello del mare con superfice liquida di 2,13 km2 corrispondenti a un volume massimo di 20,3 milioni di m3. Sottoposta a limitazioni, con provvedimento dell’Ufficio dighe della Regione, il gestore Consorzio di bonifica della Sicilia occidentale deve svuotarla. E ormai da mezzo secolo sono sempre «in corso verifiche sulla stabilità sismica». E così, nelle annate siccitose l’acqua scivola via”. (Nino Amadore, Il sole 24 ore)

Il paradosso è che la Sicilia era “l’isola dell’acqua” e che Palermo era nota per i fiumi (Papireto e Kemonia), i pozzi e le falde; l’Oro di Palermo, così era definita l’acqua seppellita dal sacco di Ciancimino.

L’acqua era stata anche al centro delle battaglie civili di Danilo Dolci che, con digiuni e marce, fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, chiedeva infrastrutture idriche essenziali per cambiare il volto assetato della Sicilia contro «la mafia dei pozzi». Così come l’acqua e gli affari intorno alle dighe erano costati la vita al giornalista Mario Francese che aveva denunciato un sistema affaristico in equilibrio tra politica e criminalità, e che fu ucciso nel 1979 dopo gli articoli di denuncia sugli strani affari intorno alle dighe.

Ma l’affare dell’acqua non si tocca e la situazione, ancora oggi, è in continuo, inarrestabile degrado, nonostante le rassicurazioni di rito delle imprese e delle Autorità locali.

Come osserva nel merito il presidente dell’associazione nazionale che riunisce i Consorzi di bonifica (Anbi), Francesco Vincenzi, la siccità in corso «in Sicilia, ma che progressivamente sta risalendo dal Meridione all’Italia centrale, ha caratteristiche peggiori delle scorse, grandi siccità del nord, ma sta incontrando una minore attenzione dell’opinione pubblica: mai era successo di dover abbattere capi animali per l’impossibilità di alimentarli e dissetarli! Purtroppo, ci stiamo assuefacendo alla cultura del disastro».

Danilo Dolci e le assemblee per l’acqua

Secondo quanto pubblicato dall’Autorità di bacino del distretto idrografico della Sicilia al 27 maggio, dei 288,95 milioni di metri cubi allora trattenuti dalle 29 dighe dell’Isola, l’acqua realmente disponibile nei bacini (dalla capacità già ridotta dall’incuria per la grande presenza di sedime sui fondali) era poco più della metà (154,23 mln mc), dovendo sottrarre, ad esempio, i volumi destinati alla sopravvivenza dell’ittiofauna, quelli di sicurezza dell’invaso e quelli destinati ad un’accelerata evaporazione; nel dettaglio, in 11 dei 29 grandi serbatoi siciliani, il volume utilizzabile oscillava tra 0 ed 1 milione di metri cubi, mentre in altri cinque era tra 1 e 2 milioni. 

«Considerato che dal 27 maggio non ci sono state piogge significative sulla Sicilia – aggiunge Massimo Gargano, direttore generale di Anbi – è presumibile che l’acqua rimanente in oltre la metà dei bacini dell’Isola sia di fatto inutilizzabile. Al netto delle responsabilità della politica, incapace di rispondere adeguatamente all’incedere della crisi climatica, lo scenario, avvalorato dall’European drought observatory, è di un allarme rosso per la grande aridità, anticipatrice della desertificazione, su oltre il 50% dei territori in Sicilia, Puglia e Basilicata, cui aggiungere zone costiere di Calabria e Sardegna, nonché zone localizzate lungo la dorsale appenninica e la fascia adriatica». (Redazione Greenreport 20 Giugno 2024 )

Mani in acqua (per la gestione)

Ma chi gestisce l’acqua in Sicilia? Siciliacque S.p.A. è una società mista partecipata al 75% da Idrosicilia, controllata, a sua volta, da Italgas spa, e al 25% dalla Regione Siciliana. È stata costituita nel 2004 (iscrizione Registro delle imprese di Palermo del 05/08/2003 – R.E.A. n. 242214, sede in Via Vincenzo Orsini n.13, 90139 – Palermo).

Siciliacque gestisce sul territorio regionale il servizio di captazione, accumulo, potabilizzazione e adduzione dell’acqua potabile a livello di sovrambito: si occupa, cioè, della distribuzione idrica dalle grandi infrastrutture (un sistema interconnesso di acquedotti, dighe, invasi, potabilizzatori, pozzi, sorgenti, centrali idroelettriche ecc…) fino ai serbatoi comunali, attraverso una rete lunga 1.942 chilometri.

Classificata come “impresa pubblica”, ha recentemente rilevato il pacchetto azionario di maggioranza dalla francese Veolia.

Operativa dal 2004 – al termine di un iter legislativo iniziato nel 1999 con il recepimento della legge Galli da parte dell’Assemblea regionale siciliana (Ars) e concluso nel 2003 con l’aggiudicazione di un bando pubblico europeo per la ricerca di un partner privato – Siciliacque ha ereditato da Eas (l’Ente acquedotti siciliani, messo in liquidazione dalla Regione) la gestione del servizio idrico di sovrambito, “con l’obiettivo di superare le carenze infrastrutturali presenti nell’Isola e il divario con le altre regioni italiane”.

Ad aggiudicarsi la gara era stato, in realtà, un raggruppamento temporaneo di imprese (ENEL mandataria, la francese VIVENDI – in seguito VEOLA Environnement), che aveva proposto un piano d’investimenti complessivo di 580 milioni di euro nell’arco di 40 anni, ovvero la durata della concessione stabilita dalla Regione Siciliana. La società è governata da un consiglio d’amministrazione composto da cinque membri: tre (fra cui il presidente del Cda) sono designati dalla Regione Siciliana, i restanti due dai soci industriali.

Nel 2023, ITAGAS ha rilevato il pacchetto azionario di VEOLIA in IDROCISICILIA e ha acquisito il 75% di Siciliacque (l’altro 25% rimane nelle mani della Regione Siciliana). “Dopo quasi vent’anni”, dunque, come si legge nel sito della società, “esce di scena la multinazionale francese ed entra, nel capitale sociale, la multiutility italiana partecipata da Cassa Depositi e Prestiti Reti spa, Snam spa e altri azionisti

Nepta

Nata il 16 ottobre 2023, in coincidenza con l’acquisizione dal gruppo francese “Veolia Environnement S.A.” del ramo d’azienda cui facevano capo le concessioni detenute in Italia nel settore idrico, Nepta ha iniziato a gestire direttamente il servizio di distribuzione idrica a Caserta e in 5 comuni della provincia: Galluccio, Baia e Latina, Roccaromana, Caserta e Casaluce. Nepta possiede anche il 75% di Siciliacque, l’operatore di sovrambito, e il 49% di Acqualatina, la società che gestisce il servizio idrico integrato nell’ATO 4 – Lazio Meridionale (sede legaleVia Carlo Bo, 11 – 20143 Milano).

ITALGAS, infine, controlla il 100% di IdroLatina e il 98% di Idrosicilia, che a sua volta controlla il 75% di Siciliacque.

Questa è, sommariamente, la complessa struttura di scatole cinesi che gestisce l’acqua pubblica in Sicilia. Un groviglio di società che interpreta la sussidiarietà come opportunità di accedere direttamente a fondi pubblici e di attivare appalti e subappalti senza più obbligo di gara fino a circa 5 milioni di euro.

Mani in acqua (per la produzione)

D’altra parte, se non fosse questa, l’industria privata della produzione e dell’imbottigliamento e del commercio dell’acqua minerale, tramite la concessione delle sorgenti, sarebbe mai potuta diventare un business? L’industria delle acque minerali in Italia registra un giro d’affari che oscilla tra i 7 e i 10 miliardi di euro, facendo fatturare, alle sole aziende imbottigliatrici, circa 2,8 miliardi di euro (di cui solo lo 0,6% giunge nelle casse dello Stato). Secondo gli ultimi dati, ogni italiano beve all’anno circa 206 litri di acqua imbottigliata, pari a 11 miliardi di bottiglie, di cui 84% è in plastica e il 16% è in vetro, contro una media europea di 118 litri. La spesa mensile per l’acquisto di acqua in bottiglia in Italia si aggira intorno ai 12,48 euro per famiglia (dato riferito al 2018 dal “Dossier acque in bottiglia” di Legambiente), aumentata del 4,5% rispetto al 2017.

E non è un caso che in Sicilia si consumi molta più acqua minerale che nel resto d’Italia. Nel 2023, la quota di persone, dagli 11 anni in su, che consuma almeno mezzo litro di acqua minerale al giorno è pari all’86,3%, mentre la media nazionale si ferma all’81,8%.

Con questi valori, secondo quanto rilevato dall’Istat nel report “Le statistiche dell’Istat sull’acqua – anni 2020-2023”, la Sicilia si pone nelle prime posizioni tra le regioni italiane, tra due estremi che vanno dal 90,3% dell’Umbria, al 59,3% della provincia autonoma di Bolzano. Per macro-territori, il maggiore consumo di acqua minerale si registra nel Nord-Ovest, dove si arriva all’87,2% e nelle Isole, all’84,8%; quello minore nel Sud, dove ci si ferma al 74,3%.

Come mai questa domanda crescente dell’acqua privata minerale in bottiglia?

Secondo Michele Giuliano (Qds.it, martedì 11 giugno 2024 – Acqua minerale, in Sicilia i consumatori più fedeli). La scelta di non consumare l’acqua del rubinetto nasce dalla mancata fiducia nella sua qualità e nella mancanza di rischi per la salute; tale paura non è omogenea su tutto il territorio nazionale, e trova la maggiore espressione proprio nel Mezzogiorno d’Italia. Nel 2023, le famiglie siciliane che dichiarano di non fidarsi a bere l’acqua di rubinetto sono il 56,3%, il valore più alto registrato nell’intera penisola, seguita dalla Sardegna, al 45,3%, la Calabria, al 41,4%, e dall’Abruzzo, al 35,1%”.

Dunque, questo è il contesto dell’acqua. Della terra s’è detto in apertura, riguardo all’aria, ci si sta lavorando. Non è escluso, infatti, che in futuro chi vorrà vivere in ambienti non inquinati e non contaminati, o vorrà disporre di aria pulita, dovrà pagare. O cambiare aria.

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