Con una interessante pronuncia depositata il 3 aprile 2020, la Suprema Corte di Cassazione ha fornito una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 291 c.c., ritenendo non più compatibile con il dettato costituzionale e con la normativa europea, il limite minimo di età intercorrente tra l’adottante e l’adottato maggiore di età.
Rigettata sia in primo grado che in sede di reclamo la istanza di adozione di una ragazza maggiorenne da sempre vissuta con il richiedente per carenza del requisito previsto dall’art. 291 c.c., inerente al divario minimo di età di 18 anni tra adottante e adottato, si ricorreva in Cassazione affidando l’impugnazione a diversi motivi di doglianza. Ciò, denunciando contestualmente la illegittimità costituzionale della suddetta norma civilistica poiché ritenuta contrastante con gli artt. 2 (per violazione del diritto all’autodeterminazione dell’individuo), 3 (per discriminazione rispetto alla disciplina prevista per l’adozione di soggetti minori di età, nel cui ambito il requisito anagrafico minimo è assente), 10 (per violazione della normativa internazionale, nella specie indentificata nell’art. 8 CEDU, nell’art. 7 della Carta Europea dei Diritti Fondamentali e nell’art. 16 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) e 30 (per violazione del diritto familiare quale formazione sociale) della Costituzione.
La Suprema Corte, anzitutto, nel richiamare i precedenti della Consulta sull’argomento, ritiene non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti. Con le sentenze nn. 89/1993 e 500/2000, difatti, la Corte Costituzionale rigettava la questione sulla scorta della non assimilabilità della disciplina concernente l’adozione di maggiorenne, con quella relativa ai soggetti minori di età: “quest’ultima ha come essenziale obiettivo l’interesse del minore ad un ambiente familiare stabile ed armonioso, nel quale si possa sviluppare la sua personalità, in un equilibrato contesto affettivo ed educativo che ha come riferimento idonei genitori adottivi”, mentre l’adozione di maggiorenne, “non implica necessariamente l’instaurarsi o il permanere della convivenza familiare e non determina la soggezione alla potestà del genitore adottivo, che non assume l’obbligo di mantenere, istruire ed educare l’adottato” (così, Corte Cost, n. 500/2000).
Una diversa lettura
Ciò premesso, la S.C. nella sentenza n. 7667/2020 in commento, ha ritenuto tuttavia necessario operare una diversa lettura dell’art. 291 c.c., conformandone in via giudiziale la interpretazione al dettato costituzionale, anche sulla base del diritto vivente, che non giustifica oltremodo la vigenza del requisito anagrafico di 18 anni di divario tra adottante e adottato.
Quest’ultimo presupposto, difatti, nato a fronte della esigenza di garantire la continuità del patrimonio dell’adottante mediante il riconoscimento giuridico di una relazione sociale di fatto, risulterebbe oggi una evidente ed ingiusta limitazione dell’istituto dell’adozione di maggiorenni, essendo ormai mutato il contesto sociale che ne giustificava la esistenza. Muovendo da tali considerazioni, il suddetto limite dei 18 anni configurerebbe una indebita ed anacronistica ingerenza dello Stato nel sempre più privatistico assetto familiare, e sarebbe in contrasto con l’art. 8 CEDU (nonché con l’art. 30 Cost.), che garantisce, una volta accertata l’esistenza di un legame familiare, l’obbligo dello Stato di promuoverlo e di favorirne un completo sviluppo.
A parere della Suprema Corte, dunque, non sarebbe oltremodo consentito di effettuare una interpretazione puramente letterale della norma codicistica, essendo essa obsoleta e contraria al diritto vivente formatosi nei decenni per orientare la disposizione in conformità con la Costituzione, mediante una esegesi sistematica ed evolutiva da parte dei giudici in sede applicativa, che tenga anche conto degli attuali principi sovranazionali in tema di vita privata e familiare. D’altro canto, anche l’art. 12, comma II delle Preleggi, consente all’interprete di ricercare nella norma da interpretare, un significato “conforme allo spirito del tempo e della società per cui la norma è destinata a valere”.
Una interpretazione meramente letterale dell’art. 291 c.c., d’altronde, finirebbe per porsi in evidente violazione dell’art. 2 della Costituzione, “atteso che il divario di età di 18 anni impedirebbe all’adottato di esercitare appieno i suoi inalienabili diritti alla formazione di un formale nucleo familiare, sulla base di una formazione sociale di fatto ormai consolidatasi nel tempo e caratterizzata da una affectio non dissimile da quella caratterizzante la famiglia fondata sul matrimonio”.
In conseguenza del suddetto percorso interpretativo, certamente da guardare favorevolmente, la S.C., nell’accogliere il ricorso, ha formulato il seguente principio di diritto: “in materia di adozione di maggiorenne, il giudice, nell’applicare la norma che contempla il divario minimo d’età di 18 anni tra l’adottante e l’adottato, deve procedere ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile dell’art. 291 c.c., al fine di evitare il contrasto con l’art. 30 Cost., alla luce della sua lettura da parte della giurisprudenza costituzionale e in relazione all’art. 8 della Convenzione Europea per la Protezione dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, adottando quindi una rivisitazione storico-sistematica dell’istituto, che, avuto riguardo alle circostanze del singolo caso in esame, consenta una ragionevole riduzione di tale divario di età, al fine di tutelare le situazioni familiari consolidatesi da lungo tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris” (Cass. Civ., 03/04/2020, n. 7667).
Avv. Giovanni Parisi.