Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Al Teatro Massimo un Barbiere con la bottega ambulante

di Redazione

Discutibili e poco convincenti trovate registiche trasformano il capolavoro rossiniano in una sorta di saggio ginnico

di Federico di Napoli

Come di solito avviene ed avverrà con gli allestimenti scenici frutto di fantasie registiche (aperte a ispirazioni filosofiche incomprensibili a un comune mortale e molto discutibili se confrontate con i libretti delle opere), anche l’edizione del Barbiere di Siviglia 2013 (copia conforme, tranne gl’interpreti, di quella del 2010) lascia gli spettatori molto delusi, nonostante che si tratti di una coproduzione messa in scena anche in altri teatri. Infatti, mentre il maestro Stefano Montanari dirigeva abilmente la sinfonia, sul palcoscenico si agitava un gruppo di mimi addetti ad attrezzisti (o viceversa), indaffarato a comporre e scomporre almeno un intero quartiere di Siviglia.

Il compito dei mimi non si è limitato, purtroppo, solo a ciò, ma sia in tutto il primo che il secondo atto, con l’ausilio di altri che affolleranno ingiustificatamente la casa di don Bartolo, si assisterà a un loro continuo intervenire nell’opera anche con effetti sonori – parti recitate e rumori causati da oggetti o gridolini non previsti nel libretto –  sì da spingere a definire la loro presenza oltre che inopportuna francamente importuna. Il principale paradosso dell’opera è il famoso numero civico 15: la bottega di Figaro, posta al centro della scena dai soliti mimi mentre il Barbiere canta la sua cavatina, che sarà il luogo dove si svolgerà il duetto tra Figaro e Almaviva; duetto dagli esiti involontariamente caricaturali,  poiché l’Almaviva si troverà inevitabilmente a fare la figura del demente allorché chiederà al Barbiere: <<Dimmi un po’, la tua bottega, per trovarti, dove sta?>> Il numero 15, infatti, non sarà più a mano manca, bensì dietro le loro spalle e anche di fronte, e alla fine dell’atto sarà spostato dagli onnipresenti mimi fino a casa di don Bartolo, senza render comprensibile in alcun modo a far che. Proprio in virtù della fantasiosa regia, gli interpreti sono stati costretti per l’intera recita a salire e scendere assurde scale (alimentando la preoccupazione degli spettatori per la loro incolumità), con inevitabili conseguenze sul grado di affaticamento delle voci e sul livello di realismo di certi dialoghi “confidenziali” (<<signor, giudizio, per carità>>), non più delicatamente sussurrati all’orecchio ma obbligatoriamente gridati dal piano terra al secondo piano.

L’ Almaviva è stato interpretato dal bravo Lawrence Brownlee, tenore di fama internazionale, rinomato specialista nei ruoli rossiniani. .

Il grande Alessandro Corbelli, specialista nei ruoli comici e di grandissima esperienza e professionalità, ha dato vita a un brillante don Bartolo.

Silvia Tro Santafé, un’esperta , brava e composta Rosina.

Dalibor Jenis, un Figaro all’altezza del suo ruolo, si è cimentato anche in un vivace brano per chitarra, togliendola al chitarrista addetto all’uopo e rendendosi protagonista oltre che vocale anche strumentale.

Adrian Sâmpetrean, decisamente giovanissimo per la parte di don Basilio, ha molto bene interpretato il ruolo affidatogli.

Elena Borin è una giovane e bella Berta sui 30 anni, la cui freschezza fa però apparire alquanto esagerata la propria lamentela

(<<Ah vecchiaia maledetta che disdetta singolar! Niun mi bada, niun mi vuole, son da tutti disprezzata

e vecchietta disperata mi convien così crepar>>).

Riccardo Schirò, promosso da semplice corista a ufficiale che tenta d’arrestare il conte senza successo per più volte, anche se con poche battute, dato il numero di recite, ha dato prova della sua voce decisa e profonda, già per altro collaudata in ruoli ben più impegnativi.

Il Fiorello dell’eccellente Giovanni Bellavia si è cimentato nel brano finale del ruolo del suo personaggio, di solito sempre tagliato, che anche i più vecchi melomani non conoscevano. Altro abituale taglio, ricucito dal giovanissimo e bravo maestro Montanari, è il <<Cessa di più resistere>>, lunga romanza del tenore con rondò finale, copia conforme del <<Non più mesta>> della Cenerentola.

Il secondo cast ha saputo gestire dignitosamente l’opera, con Marcello Lippi nel ruolo di don Bartolo, Rubén Amoretti in quello di don Basilio e il Figaro di Giorgio Caoduro con forse qualche difficoltà solo nelle parti recitate. Filippo Adami, nel ruolo del conte d’Almaviva, ha cantato con delicatezza e precisione il <<Cessa di più resistere>>. Chiara Amarù, senza voler sminuire minimamente gli altri interpreti, è senz’alcun dubbio – come riconosciuto anche dai colleghi – la migliore in scena per la sua voce fresca e decisa. Auguriamo a lei e agli altri giovani interpreti una lunga carriera, in cui possano perfezionare sempre più le loro doti vocali, senza cedere a facili lusinghe che forzino il loro registro vocale.

 

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