Un pubblico composto prevalentemente da addetti ai lavori ha affollato l’affrescata “sala degli specchi” di Palazzo Bonocore in occasione delle public lecture durante le quali 4 noti fotografi hanno raccontato le loro esperienze personali e spiegato il significato di un mestiere avvincente
di Andrea di Napoli
Le interessanti conferenze integravano il nutrito programma della manifestazione giornalistica internazionale World Press Photo. Introdotto dal presidente di Cime, Vito Cramarossa, il fotografo iraniano Manoocher Deghati, lo scorso 2 settembre, ha tenuto una sorta di “lectio magistralis” relativa all’attività svolta e al materiale fotografico prodotto nella sua lunga carriera. L’esperienza personale, vissuta dal reporter, spiega la sua sensibilità ai problemi di coloro che sono costretti ad abbandonare la propria terra. Nel suo caso si è trattato delle inaccettabili limitazioni della libertà, imposte dal potere politico, a spingerlo a lasciare il suo Paese. Anche a causa dei sanguinosi conflitti che frequentemente scoppiano in ogni angolo della Terra o in seguito alle disastrose catastrofi naturali che si abbattono sulle città e sulle campagne, milioni di persone sconvolte, dopo avere perso tutto quello che avevano, cercano scampo fuggendo immediatamente lontano. Le fotografie mostrate agli attenti ascoltatori dal maestro di origini medio-orientali, ma, ormai, cittadino del mondo, documentano, con grande abilità tecnica e profonda partecipazione, tanti episodi diversi e lontani tra loro nel tempo e nello spazio, che hanno avuto come medesima conseguenza la creazione di vittime infelici e di profughi disperati.
Il secondo fotografo ad incontrare i visitatori della mostra è stato Gianni Cipriano. La conferenza del fotogiornalista siciliano che ha anche lavorato negli Usa si è svolta il 9 settembre e le tematiche trattate si sono rivelate estremamente attuali. Con la giusta attenzione per i particolari più significativi, il brillante fotografo ha portato avanti dei progetti originali, indagando sul tessuto sociale ed economico al quale appartengono alcuni individui caratteristici della “assortita” popolazione americana, sulle loro occupazioni e sui quartieri in cui vivono. Negli ultimi anni, invece, Cipriano ha concepito un modo personalissimo di rappresentare, assolutamente in bianco e nero, i vari personaggi che frequentano il mondo della politica italiana.
La successiva conferenza, tenuta dal fotoreporter Mathieu Willcocks, si è svolta sabato 16 settembre. Il lavoro lo ha condotto dall’Europa all’Asia, dalla Birmania all’Inghilterra per realizzare i suoi progetti e laurearsi in Fotogiornalismo. Anche per affrontare l’impegnativo reportage “Mediterranean Migration” ha continuato a viaggiare a bordo di una delle navi di salvataggio dei migranti che dalle coste africane tentano di raggiungere l’Italia. La proiezione delle drammatiche immagini relative ai soccorsi portati ai naufraghi e le parole del loro autore hanno provocato la commozione generale ed inumidito gli occhi degli spettatori più sensibili. Si tratta, certamente di un progetto che va oltre l’informazione giornalistica ed entra nella Storia con la “S” maiuscola. Willcocks è tuttora impegnato nel progetto sui rifugiati e le sue fotografie sono state pubblicate sulle riviste di tutto il mondo.
Le motivazioni ed il significato sociale relativo alla pratica della street-art, ovvero la denuncia e la riqualificazione del tessuto urbano espresse attraverso questo “linguaggio”, sono state adeguatamente spiegate dagli artisti presenti nel corso di un’altra interessante iniziativa inserita nel programma non solo espositivo, del W.P.P. comprendente anche informazione, musica, arte e cultura.
L’intervento del “freelance” Francesco Malavolta è avvenuto il 23 settembre, durante l’incontro conclusivo ed alla vigilia del “finissage” dell’evento espositivo.
Nei suoi progetti fotografici per conto della Comunità Europea o in collaborazione con varie organizzazioni umanitarie e con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Malavolta ha puntato la sua attenzione sui flussi migratori provenienti sia dal mare che lungo la nota “rotta balcanica” e, ovviamente, sulle storie di migliaia di esseri umani che per sopravvivere devono affrontare lunghi viaggi in condizioni estremamente critiche. Con coerenza, Francesco Malavolta mette nel suo lavoro come nelle vita privata un grande impegno personale trasmettendo attraverso il materiale realizzato una grande serietà e una profonda partecipazione emotiva.