Una delle grandi patologie cronico-degenerative che, di fatto, ti porta via un familiare prima della vera morte.
di Arianna Zito
“Ti assomiglia tantissimo”. Passano pochi minuti e lo ripete. “Ti assomiglia tantissimo”. Abbiamo passato un pomeriggio così zia Graziella, mio figlio ed io. Quella frase ripetuta all’infinito, in modo ossessivo, è solo uno dei tanti momenti vissuti accanto ad un ammalato di Alzheimer. Situazioni che ben conoscono i familiari che assistono impotenti al decorso di questa patologia che, di fatto, ti porta via una persona prima della vera morte, infliggendo dolore e – spesso – rabbia.
Caregiver, ossia colui che si prende cura, i dati statistici, parlano chiaro è quasi sempre una donna (74%) a farsi carico del familiare ammalato. E, specie nel caso degli ammalati di Alzheimer, l’assistenza rappresenta oggi un macroscopico problema di sanità pubblica. Spesso i familiari dei pazienti vengono lasciati soli a fronteggiare questo compito impegnativo non solo dal punto di vista psicologico e sociale ma anche da quello economico, per far fronte alle necessità del familiare ammalato.
Ecco perché – come sottolinea Patrizia Spadin, presidente Associazione Italiana Malattia di Alzheimer (AIMA) – “la fragilità dei nostri malati e delle loro famiglie pretende un impegno sociale e politico di assoluto rigore”. Praticamente, nelle malattie come l’Alzheimer, la famiglia è sempre più fulcro dell’assistenza, mentre si restringe l’offerta di servizi con profonde differenziazioni territoriali: secondo una ricerca realizzata dal Censis e AIMA solo il 56,6% dei pazienti è seguito da una struttura pubblica, mentre il 38% delle famiglie deve ricorrere a una badante. Il 40% dei caregiver, pur essendo in età lavorativa, non lavora, e l’80% ha conseguenze dirette sulla salute.
Alzheimer
La malattia di Alzheimer è la forma più frequente di demenza; infatti, circa il 60% delle persone affette da demenza soffrono di Alzheimer, un processo degenerativo che consiste nella progressiva perdita neuronale.
Le persone affette da demenza in tutto il mondo sono oltre 30 milioni; oltre 6 milioni in Europa. In Italia i pazienti con malattia di Alzheimer stimati sono 676.652, dei quali solo 338.326 hanno ricevuto una diagnosi: il gap diagnostico è molto alto, circa il 50%. Queste cifre sono destinate ad aumentare nel tempo e si stima che possano raddoppiare entro il 2020.
“L’età – afferma la geriatra Rossella Liperoti, Unità Valutativa Alzheimer, Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma – è il principale fattore di rischio per la demenza di Alzheimer. Le cause della malattia non sono chiarite ma è accertato un anomalo deposito della proteina amiloide nel cervello dei malati di Alzheimer. Tale sostanza risulta innescare una serie di meccanismi che conducono a morte cellulare”. Sebbene le probabilità di contrarre la malattia di Alzheimer crescano con gli anni, la vecchiaia di per sé stessa non è – secondo gli esperti – causa di tale malattia.
Sintomi
L’Alzheimer è definita la malattia delle quattro A:
– amnesia, perdita significativa di memoria;
– afasia, incapacità di formulare e comprendere i messaggi verbali;
– agnosia, incapacità di identificare correttamente gli stimoli, riconoscere persone, cose e luoghi;
– aprassia, incapacità di compiere correttamente alcuni movimenti volontari, per esempio vestirsi.
“Il sintomo principale della malattia – dichiara la geriatra – è un disturbo di memoria che interferisce con l’autonomia del soggetto nella vita quotidiana. Altri sintomi frequentemente presenti nelle prime fasi di malattia includono: disturbi del linguaggio, disorientamento nel tempo e nello spazio, ridotta capacità di giudizio; difficoltà di pensiero astratto, umore depresso, disturbi del comportamento come reazioni aggressive o comportamenti inappropriati alla situazione, apatia. Gravi sintomi psico-comportamentali che comprendono allucinazioni, deliri, agitazione psico-motoria, insonnia, vagabondaggio, aggressività fisica si presentano più frequentemente nelle fasi avanzate di malattia ma possono a volte rappresentare la sintomatologia d’esordio”.
Diagnosi
A differenza di altre malattie non esiste un esame specifico per diagnosticare la malattia di Alzheimer. L’unico modo per avere una diagnosi certa di demenza di Alzheimer è l’identificazione delle placche amiloidi nel tessuto cerebrale, possibile solo post-mortem.
Durante il decorso della malattia, la diagnosi è il frutto di un percorso integrato composto da un’accurata raccolta anamnestica, una valutazione neuropsicologica approfondita ed un insieme di esami di laboratorio e strumentali (puntura lombare, Risonanza Magnetica cerebrale, TC cerebrale, SPECT cerebrale, PET cerebrale).
Cure
Ad oggi non esiste una cura per la malattia di Alzheimer. “In presenza di diagnosi di AD (Alzheimer Disease n.d.r.), anche in forma prodromica, va instaurato – spiega Paolo Maria Rossini, direttore Istituto di Neurologia, Policlinico Gemelli di Roma – un trattamento che può essere:
- farmacologico (terapie sintomatiche);
- farmacologico sperimentale (terapie “disease modifying”);
- non farmacologico (riabilitazione cognitiva in varie forme). Le terapie sperimentali –specifica Rossini – non agiscono solo sui sintomi ma sono considerate ‘disease modifying’, cioè potenzialmente in grado di modificare la storia naturale della malattia ritardando o arrestando il processo patogenetico. L’efficacia di queste terapie è, però, probabilmente limitata alle fasi precocissime della malattia”.
“Ritardare anche solo di 5 anni l’insorgenza e la progressione della malattia di Alzheimer si tradurrebbe, nel 2050, – chiosa Mario Melazzini, presidente dell’AIFA, Agenzia Italiana del farmaco – in una riduzione del numero di malati gravi e di malati totali con un conseguente notevole risparmio.
La ricerca clinica ha generato molti dati a sostegno dell’utilizzo di biomarcatori in grado di permettere la visualizzazione delle placche amiloidi in vivo allo scopo di fare una diagnosi precoce; la morte neuronale comincia 15-20 anni prima della comparsa dei sintomi clinici, quindi la chiave è intervenire precocemente, diagnosticando la malattia nelle sue fasi iniziali grazie all’uso di biomarcatori. Un intervento terapeutico precoce può rallentare il processo neurodegenerativo”.
Le chiavi nella lotta contro la malattia di Alzheimer
“La prevenzione, la diagnosi precoce e l’intervento terapeutico – sostiene il presidente dell’AIFA – sono aspetti chiave di una strategia globale per contenere i costi e ottimizzare gli effetti di trattamenti farmacologici innovativi; è necessario intervenire già in una fase preclinica per prevenire e curare la demenza più efficacemente; la performance cognitiva è risultata essere un indicatore chiave della progressione verso la demenza; l’identificazione di biomarcatori e dei cambiamenti cognitivi è cruciale per predire la demenza e gli endpoint significativi per gli studi clinici modificanti la malattia”.
“Non dimenticare chi dimentica”
Una vera e propria cronaca di un’epidemia sociale che richiede l’attenzione puntata alla necessità di un nuovo modello assistenziale e alle future terapie come è emerso durante il Corso di Formazione Professionale Continua promosso dal Master della Sapienza Università di Roma “La Scienza nella Pratica Giornalistica” con il supporto di Lilly. Dunque, “Non dimenticare chi dimentica” si potrebbe dire prendendo in prestito lo slogan dell’Associazione Italiana Malattia di Alzheimer che, in collaborazione con il Censis, ha fotografato la realtà delle famiglie colpite dalla demenza attraverso tre studi che hanno messo in luce diversi aspetti della condizione dei malati di Alzheimer e delle loro famiglie.
http://www.medisalute.it/alzheimer-quando-la-mente-vola-via/