Incomprensibile e detestato dai benpensanti del mondo politico tradizionale, il voto disgiunto è la bestia nera di ogni candidato sindaco. Scopriamo perché…
di Mario Guglielmino*
Sulla carta esiste. Ha fama di un essere alieno. Incomprensibile e detestato dai benpensanti del mondo politico tradizionale, dai procacciatori di voti e dai lacchè che volentieri popolano i comitati elettorali. E’ riconosciuto come possibilità offerta ai cittadini dalla legge elettorale per gli enti locali in Sicilia. E’ la bestia nera di ogni candidato sindaco.
Il personaggio misterioso é il voto disgiunto, questo sconosciuto. O, meglio sarebbe dire, tanto taciuto. Durante questa campagna elettorale per le amministrative comunali palermitane, che pare in certi momenti picchiare in testa come un motore la cui potenza è, ormai, esaurita, se ne è parlato infatti davvero poco o nulla. Forse perché i suoi dardi avvelenati, come particolare strumento di espressione differenziata del consenso, fanno proprio paura a tutti. Ciò in un contesto cittadino ove uno dei criteri per la scelta della preferenza da riportare sulla scheda elettorale non saraà l’adesione al progetto politico né al programma, bensì la vicinanza amicale, o l’appartenenza parentale e familiare del candidato. Uno dei motti di sarcasmo più popolari, venuto fuori nel corso di questi mesi, è stato quello che definisce le elezioni comunali come un concorso pubblico a quaranta posti di consigliere.
Di questi tempi uno stipendiuccio e qualche gettone di presenza fanno gola a ogni famiglia, specialmente se già avvinghiata dai morsi della crisi economica e lavorativa. Quindi, tutti lo sanno, ma nessun lo dice.
E’ ovvio, tra codesta pletora di candidati consiglieri comunali e di circoscrizione, molti avranno una preferenza con tonalità affettiva, e non certo politica.
Tuttavia, occorre fare bene dei distinguo. Proviamo ad analizzare la questione. Alcuni candidati a sindaco hanno pensato bene di trarre a sé i vantaggi delle dinamiche di cui sopra, intestandosi numerose liste a sostegno e sfruttando il beneamato effetto trascinamento. Altri candidati a sindaco hanno invece intrapreso la strada più irta e difficile, ma certamente più lineare e coerente, della lista unica. Ciò è accaduto non soltanto per motivi ideali, ma anche per una realistica considerazione dell’effettiva capacità di penetrazione e diffusione sul territorio, o in ragione della forza e del loro peso politico specifico.
Orlando e Ferrandelli hanno scelto indubbiamente la prima strada.
Con i loro ruoli di personaggi politicamente navigati, pur con la particolare deferenza che occorre avere per la figura orlandiana, sanno di essere le corazzate, le casseforti e gli interlocutori del consenso che ancora in parte riescono a ottenere i partiti tradizionali. Entrambi, però, hanno anche ben fiutato la contemporanea crisi degli stessi partiti e hanno provveduto ad aprire all’apporto di uomini e donne della società civile, qualificando, meglio di altre precedenti occasioni, le liste civiche a sostegno e affidando loro compiti più chiari e ambiziosi rispetto alle tradizionali liste civetta. Di ciò è stato segno l’iniziale guerra iconoclasta sulla presenza dei simboli. Che per entrambi è sfociata in una rassegnata accettazione, più o meno dissimulata, dopo una recita delle parti e una prova di forza con i partiti.
Chi invece è andato dritto per la propria strada sono i candidati delle altre liste sul campo, tra cui citiamo l’out sider di maggior peso, Ugo Forello con il Movimento 5 stelle, e poi Nadia Spallitta con la lista congiunta Verdi-civica, Ciro Lomonte con Siciliani Liberi, lista essenzialmente civica, anche se con una ragionevole coloritura autonomista indipendentista, la qual cosa, se fosse davvero applicata com’è scritto tra le indicazioni della Costituzione Italiana e nello Statuto Siciliano, non farebbe male. E Ismaele La Vardera chiude il cerchio, con i consensi richiesti ai simpatizzanti di idee destro/leghiste. In ogni caso, tutte queste liste monocolore saranno, oltre che contenitori di nuove idee e di una valida e consapevole istanza di rinnovamento, anche le prime destinatarie del consenso derivante dalla critica all’attuale sistema.
In questo quadro, il voto disgiunto, cioè il voto al candidato consigliere di lista, cui segue una preferenza su lista diversa riguardo al nome del sindaco, potrebbe colpire principalmente chi ha governato attualmente la città. E’ fisiologica, infatti, una certa risposta data dalla delusione o dal malcontento di alcuni.
La capacità di incidere sul risultato finale dipenderà dalla consistenza del fenomeno e dall’evoluzione della consultazione. Il voto disgiunto, specialmente se esercitato in modo consapevole, potrebbe infatti acquisire e costituire il significato che esso in effetti ha: un forte e profondo messaggio proveniente dalla pancia dell’elettorato, e la conseguente allerta politica, che i candidati favoriti non tarderanno a cogliere, in caso di ballottaggio dopo il primo turno. E che potrebbe indurre a scegliere ulteriori apparentamenti tra liste, determinando l’architettura finale, il risultato elettorale, gli equilibri e le attenzioni del prossimo consiglio comunale a Palermo. Anche in vista delle prossime ravvicinate scadenze elettorali regionali e nazionali.
*Voci Attive