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Anachronisme – La colpa anacronistica

La Cinnamon di Riccardo Cannella sforna una nuova serie per il web, Anachronisme. Pochissimi soppesati elementi per mettere in immagini un tormento...

di Massimo Arciresi

La Cinnamon di Riccardo Cannella sforna una nuova serie per il web, Anachronisme. Pochissimi soppesati elementi per mettere in immagini un tormento

 

di  Massimo Arciresi 

Da sette anni Walter vive in apnea. Chiuso, praticamente barricato nel suo ordinato appartamento, dorme male, sogna il mare e trova nella poesia un rifugio rassicurante, nell’inconscia speranza che contenga anche qualche risposta alle sue compresse inquietudini, che non a caso rischiano di affogarlo. Una notte di Capodanno ode al di là di una parete (non quella misteriosamente e ossessivamente ricoperta di post-it) un canto femminile, una voce sconosciuta che però gli ricorda qualcuno. È Lisa, la sua neo-vicina, che con dolcezza e pazienza instaura con l’uomo – in contatto esclusivamente con l’amico Luca, incaricato di portargli i beni di prima necessità – un difficile dialogo, facendo emergere pian piano il penoso passato del “recluso” e svelando qualcosa di sé. Si tratta del plot di Anachronisme, la nuova web series – sbocciata nel contesto di Sensi Contemporanei, sempre più sfaccettato programma della Sicilia Film Commission – che l’infaticabile Riccardo Cannella ha creato (occupandosi di sceneggiatura, regia e montaggio) dopo i successi mietuti dalle precedenti realizzate con la sua Cinnamon (che inoltre sta dietro all’ormai istituzionalizzato Sicily Web Fest): Run Away, Web Horror Story e Hidden. Una serie della durata totale di un’ora scarsa, presentata ufficialmente a Palermo presso il CSC – Scuola Nazionale di Cinema lo scorso 10 gennaio e reperibile su YouTube.

riccardo_cannella
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Circondato dalla sua collaudata squadra (fra i tanti che la compongono, in prima linea ci sono Cristiano Bolla e Tonino Basile), Cannella, che argutamente qui partecipa in un doppio cameo, orchestra una storia semplice, dotata di esterni suggestivi – girati senza esibizionismi con macchine professionali e perfino con l’aiuto di un drone tra Ustica e il capoluogo siciliano – e di un solo interno. Il pericolo concreto di staticità è aggirato da calcolati movimenti di macchina (rispecchianti il trambusto esistenziale del protagonista) e dalla cangiante fotografia di Nicolò Cappello. Certo, la responsabilità di coinvolgere il pubblico ricade soprattutto sulle capaci spalle dell’unico attore costantemente in campo, Ivan Olivieri, una solida esperienza sul piccolo schermo e la consapevolezza che il peso (enorme) che si porta appresso il suo personaggio (uno che, potremmo dire volgarizzando, l’ha “fatta franca”) va centellinato, esposto progressivamente, manifestato attraverso il corpo idealmente autoflagellato e tradotto in dolore a passi felpati. Fino alla manifestazione definitiva di una tragedia personale che è pure collettiva e, per estensione, è riconducibile all’umanità intera, alla sua fragilità esasperata dalla dubbiosità persistente che la accompagna.

Stabilite le doverose proporzioni, si riscontra qua e là un sentore dell’ultimo Malick nella messinscena, tra riflessioni alte ricondotte all’io (e imparentate con la filosofia) e immagini arditamente palingenetiche. Senza contare le ricercate scelte musicali e le citazioni in versi (basterebbero quelli di Karen Blixen). È una delle tante conferme che i divisori stanno cadendo, i confini tra cinema (spesso in crisi d’ispirazione), televisione (resa dispersiva dalla pluralità di un’offerta che rende ogni giorno più complicato orientarsi) e rete (a sua volta connotata da una mancanza di “steccati”) si assottigliano costantemente, non già per l’elaborazione di soggetti “comunicanti”, quanto piuttosto per l’impiego di strumenti di ottimo livello e per le possibilità amplificate dagli interventi in post-produzioni digitali. Un livellamento che ci bisbiglia che non è più così facile prevedere  a quale mezzo espressivo apparterrà la prossima svolta (dunque tecnologica prima che narrativa), e che forse non è lontano il momento in cui operare una distinzione non soltanto sarà improponibile, ma avrà perso ogni significato.

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