Una breve analisi sulla complessiva, recente “stretta” della Cassazione sul diritto a percepire il contributo post-coniugale da parte dell’ex coniuge richiedente
Avv. Giovanni Parisi
Negli ultimi anni la giurisprudenza della Suprema Corte ha registrato un sempre più uniforme orientamento teso ad escludere, al ricorrere di talune circostanze, il diritto dell’ex coniuge a percepire il contributo previsto dall’art. 5, comma IV, legge n. 898/1970, ossia l’assegno divorzile il quale, avendo natura assistenziale, è finalizzato a far mantenere il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio in favore della parte redditualmente “debole” del rapporto che, in conseguenza del divorzio, non abbia mezzi adeguati o non sia in grado di procurarseli per ragioni oggettive.
Diverse sono le ipotesi al ricorrere delle quali gli Ermellini hanno “responsabilizzato” il coniuge richiedente l’assegno, allontanando sempre più la natura del contributo dal “parassitario” concetto di “rendita vitalizia” cui resterebbe onerata l’altra parte sol perché titolare di una posizione economica più solida (ovvero, in molti casi, “meno occultabile”). In altri termini, l’assegno divorzile non è più una certezza!
Si analizzeranno due ipotesi in particolare, recentemente poste al vaglio della “scure” di legittimità.
La prima riguarda la instaurazione, da parte del titolare dell’assegno, di una “famiglia di fatto”: se fino a qualche decennio fa tale circostanza poteva incidere sul diritto a percepire il contributo solo allorquando la parte obbligata dimostrasse il vantaggio economico derivante dalla convivenza dell’altro, recentemente si è assistiti ad un cambiamento di rotta assai “drastico”, non già “sospendendo” la erogazione per tutta la durata della nuova famiglia, ma addirittura estinguendone il diritto alla percezione senza possibilità di reviviscenza anche qualora detto rapporto sia poi cessato. A parere del Supremo Collegio, difatti, “l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso” (Cass. Civ., n. 2466/2016. Conforme, per tutte, Cass. Civ., n. 6855/2015). È evidente che tale orientamento persegua la finalità di tutelare il coniuge onerato al versamento dell’assegno, il quale sarebbe indebitamente gravato da un costante peso economico nei confronti di un soggetto che, per libera scelta successiva alla cessazione del vincolo coniugale, decida di intraprendere una nuova vita affettiva (ancorché di fatto, ed eventualmente coronata dalla nascita di figli). Da qui il definitivo venir meno del diritto all’assegno anche in caso di cessazione della convivenza more uxorio, non potendo l’ex coniuge obbligato rimanere soggetto alle vicende ed agli eventi – fisiologici e patologici – inerenti la nuova relazione dell’altro.
La seconda ipotesi vagliata dalla Cassazione riguarda il licenziamento del richiedente l’assegno il quale, tuttavia, conservi una concreta capacità lavorativa, ovvero di reinserimento nel mercato del lavoro in ragione dell’età, dei titoli, delle attitudini e dell’ambiente socio-economico di appartenenza. Il formante giurisprudenziale ha in proposito inteso escludere il contributo divorzile in favore dell’ex coniuge qualora quest’ultimo, allegando un mero stato disoccupazionale, non dimostri (onere della prova) una obiettiva impossibilità di procurarsi adeguati mezzi aliunde (cfr., per tutte, Cass. Civ., n. 11870/2015).
In altre parole espresse dalla Cassazione “non è sufficiente allegare meramente uno stato di disoccupazione, dovendosi verificare, avuto riguardo a tutte le circostanze concrete del caso, la possibilità del coniuge richiedente di collocarsi o meno utilmente, ed in relazione alle proprie attitudini, nel mercato del lavoro” (Cass. Civ., n. 28870/2011). Ed al riguardo, l’onere probatorio incombe proprio su colui il quale richieda l’assegno!
Quanto sopra rilevato, peraltro, è confortato da un ulteriore argomento derivante dall’ormai consolidato principio per cui la “condizione economica” rilevante ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile, non si identifica esclusivamente sui redditi dinamici, bensì su tutto il patrimonio riferibile ai coniugi (o ex tali), comprensivo di cespiti immobiliari anche non sfruttati e di ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica (in tal senso, per tutte, Cass. Civ., n. 24160/2011).