Ho incontrato per la prima volta Augusta Schiera Agostino nel 1991. Conoscevo la sua storia di madre cui avevano ucciso il figlio poliziotto, la giovane moglie e il bimbo che lei portava in grembo, ma avevo di lei una immagine stereotipata.
Una donna minuta, silenziosa, ombra di quell’uomo alto e possente che la cingeva con un braccio poggiato sulla sua spalla, mentre lui parlava del loro figlio Nino e di Ida, rivendicando per loro verità e giustizia. La figura del marito la sovrastava e lei rimaneva immobile, mentre il dolore le trafiggeva il cuore, disegnando sul suo volto una smorfia di compunta mestizia.
Era questa l’idea che avevo di lei. La nostra conoscenza divenne presto empatia e da lì il passaggio all’amicizia fu un battito d’ali. Le espressi il mio desiderio di scrivere di lei nel mio libro “Il coraggio delle donne” e lei accettò. Da quel momento i nostri colloqui divennero sempre più frequenti e non si interruppero nemmeno dopo l’uscita del libro. A ogni incontro era bello scoprire come il nostro rapporto andava consolidandosi sempre più.
Un giorno mi disse che ero per lei la sorella che non aveva avuto e, come in un gioco bambino, decidemmo di proclamarci comari, come facevano le nostre antenate quando, nel giorno di San Giovanni, si eleggevano: comari per la vita! Ricordo con infinita tenerezza quando sono riuscita a vincere la sua ritrosia e abbiamo spento insieme le candeline sul pan di spagna che Enzo aveva cucinato con tanto amore per il suo e il mio compleanno: nate entrambe un 17 gennaio di differenti anni. Essere comari significa non separarsi mai. Patto che abbiamo sempre mantenuto. Purtroppo, però, la parola che ha percorso la sua vita è stata: separazione.
L’infanzia di Augusta Schiera
Aveva solo 4 anni, quando rimase orfana di padre. La madre, abbandonata al suo destino dai parenti, decise di ritornare nella sua città natale: Roma. Portò con sé Augusta e i suoi due fratelli. Andò a lavorare presso una famiglia che le garantiva l’alloggio, ma senza i suoi figli. Per Augusta e i suoi fratelli si aprirono le porte dell’orfanotrofio, ma non assieme. I loro collegi erano molto distanti tra loro. La madre, che aveva un solo giorno libero, alternava le sue visite ai figli andando una domenica dai maschi e l’altra da lei. Per sei anni visse separata dai fratelli che vedeva solo due giorni l’anno, Pasqua e Natale, quando i datori di lavoro della madre le consentivano di pranzare con i figli, a patto di riportarli subito dopo nei rispettivi collegi. Quanta tristezza ha attraversato la sua giovane vita, specie quando tutte le altre bambine avevano qualcuno che andava a trovarle e lei no!
Dopo sei anni di solitudine la madre riuscì a mettere da parte quanto bastava per ritornare a Palermo. Augusta, finalmente, aveva una casa e una famiglia. Incominciò a lavorare come sarta per aiutare la mamma a sostentare la famiglia.
A 18 anni l’amore per Enzo, un giovane alto con gli occhi azzurri, cambiò il percorso della sua vita. Si sposano. Hanno 4 figli. Nino, il maggiore, divenne poliziotto. Augusta ne era fiera. Quanta felicità aveva provato quando Nino era stato trasferito a Palermo. Non poteva sapere che la città che gli aveva dato i natali, gli avrebbe dato la morte.
Una calda sera di agosto, con tutta la famiglia, si trovava sul lungomare di Villagrazia di Carini dove trascorrevano le vacanze.
Nino li aveva raggiunti con la diciannovenne moglie Ida Castelluccio sposata un mese prima. Era giorno 5 del 1989. Lei era incinta, ma il loro bambino non vedrà mai la luce. Dei sicari in motocicletta colpirono Nino con innumerevoli proiettili e quando Ida si rivolse loro dicendo: “So chi siete!”, un colpo la raggiunse dritta al cuore.
Apparentemente nell’ombra
Augusta non riuscì a trovare pace. La maggior parte di giornalisti non si accorge di lei che, apparentemente, sembrava una timida ombra del marito alto e robusto con i capelli e la barba bianca. Enzo ha giurato di non tagliarli fino al raggiungimento della tanto sospirata verità e giustizia. Ma Augusta è una roccia e ben presto se ne sono accorti quanti hanno la fortuna di ascoltarla, di abbracciarla, di confortarla, di darle quell’amore di cui era stata privata.
A gennaio del 2019 sono andata a trovare Augusta in ospedale, dove era ricoverata per un sospetto ictus cerebrale. Mi ha sussurrato un suo desiderio. Mi ha detto che il 17 gennaio non avremmo festeggiato il nostro compleanno insieme, come avevamo fatto tante volte, perché voleva organizzare un’unica festa a settembre, quando ricorreva il suo sessantesimo anniversario del matrimonio. Io l’ascoltavo contenta: era la prima volta che esprimeva il desiderio di fare una festa. Mi ha anche detto che aveva deciso di “spezzare” il lutto vestendosi, dopo 30 anni dall’omicidio del figlio, con un completo blu.
Cara Augusta, quando sono venuta a trovarti al reparto “hospice” ti ho abbracciata forte. Anche se tu tacevi inerme, io ho sentito il tuo abbraccio stringermi forte il cuore.
Dopo due giorni ti ho rivista. Indossavi il tuo abito blu. Come eri elegante! Ti stava molto bene. Dormivi serena. Eri andata incontro a Nino ed Ida.
Ed io amo pensarti mentre, tra le stelle e le nuvole, dondoli colui al quale l’arroganza di orrendi criminali ha vietato la vita. E torno a vederti con Enzo, il tuo gigante buono con gli occhi azzurri e i lunghi capelli e la barba bianca mentre, amorevole, appoggia il suo braccio sulla tua spalla.
Una risposta
Ho letto l’articolo tutto d’un fiato e mi sembrava che Augusta dovesse balzare all’improvviso davanti a me, dolce e sensibile, con gli occhi scuri che ponevano muti una domanda : perché?
Ho conosciuto Augusta ed Enzoi dopo la morte di Nino e Ida ma mi sono sentita sempre molto vicina a loro. Mi sono sentita sempre molto vicina al loro dolore e al loro impegno per la verità e posso affermare che Augusta non era timida ma era un gigante di coraggio e coerenza pur nella semplicità della sua persona!