Autonomia differenziata è un concetto col quale sembra che i più abbiano familiarizzato. Ma avere chiaro le ricadute che questo avrà sul nostro quotidiano sarà un processo lento. Lasciando da parte l’aspetto meramente politico, fatto di rivendicazioni e scaricabarile, cerchiamo di capire perché l’autonomia delle regioni, in campo sanitario, desta notevoli preoccupazioni da più parti.
Ricordiamo, infatti, che l’autonomia differenziata interesserà ben 23 diverse materie (dall’istruzione alla salute, dallo sport alla tutela ambientale, solo per citarne alcuni). Si tratta di quei settori per i quali le regioni potranno chiedere un trasferimento di competenze che erano prerogativa dello Stato.
Nei giorni scorsi, esattamente nella mattina del 19 giugno 2024, la Camera dei Deputati ha approvato in via definitiva il disegno di legge d’iniziativa governativa, collegato alla manovra di finanza pubblica, sull’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario.
All’indomani, questo ha provocato una levata di scudi soprattutto da parte delle regioni del sud Italia che prevedono un disastro in ambito sanitario, con un aumento dei viaggi della speranza verso le strutture sanitarie del nord per accedere alle cure. Si è palesato lo spettro di una sanità garantita solo per chi avrà la possibilità di spendere e, quindi, di garantirsi le cure.
Le garanzie per i cittadini
Ciò che preoccupa maggiormente, ovviamente, è la possibilità o meno di accedere ai fondi pubblici per rimpinguare i bilanci della sanità nelle singole regioni e dare la possibilità al cittadino di avere garantito il diritto alla salute. Ed ecco che entrano in gioco i Lep, ovvero i livelli essenziali di prestazioni, un livello di prestazioni garantite ai cittadini, al di sotto del quale non si può andare. I Lep fanno il paio con i Lea, livelli essenziali di assistenza, che avrebbero dovuto garantire che non si verificassero disparità tra i diversi territori. Cosa che, invece, si è verificata.
Il poter trattenere, da parte delle regioni, il gettito fiscale, invece di trasferirlo al Governo centrale che lo distribuirebbe nuovamente nei territori, farebbe sì che le regioni più ricche, che incassano un gettito fiscale consistente, possano reinvestire nella fornitura di servizi sul loro territorio.
La posizione della Cgil Sicilia
Ma perché il sud rischia di restare, ancora una volta, indietro anni luce e fare il fanalino di coda in una Italia che va, decisamente, a due velocità? Grande preoccupazione per l’autonomia differenziata che sottrarrà risorse alla Sicilia, non solo alla sanità ma anche ad altri settori importanti come l’istruzione, è stata espressa dalla Cgil Sicilia che trova gravi “i danni che l’autonomia differenziata produrrà alla Sicilia. C’è stata più attenzione alle logiche di schieramento che agli interessi reali dei siciliani”.
Di autonomia differenziata e salute abbiamo parlato con Francesco Lucchesi, segretario confederale Cgil Sicilia.
L’autonomia differenziata renderà differente l’accesso alle prestazioni sanitarie pubbliche nelle varie regioni?
L’approvazione dell’autonomia differenziata metterà fine all’accesso alle prestazioni sanitarie uguale per tutti, questo è sicuro. Questa certezza viene confermata da tutti i più importanti istituti di ricerca del paese. Anche la Commissione Europee ha manifestato le sue perplessità sulla misura. La tutela della salute sarà sempre di più una prerogativa di chi ha una condizione economica in grado di pagarsi i servizi sanitari dando un colpo di grazia alla sanità pubblica siciliana”.
I problemi della sanità in Italia non sono certo riconducibili solo a una norma approvata da una settimana. Sono anni che i vari governi sembrano lavorare sistematicamente per ledere il diritto alla salute. Cosa fare subito per difenderlo?
“È assolutamente vero che negli ultimi 20 anni tutti i governi hanno definanziato il servizio sanitario pubblico. Solo durante la pandemia c’è stata una lieve inversione di tendenza. Abbiamo sperato che il Covid ci avesse insegnato qualcosa e invece purtroppo così non è stato. L’attuale governo sta dando il colpo di grazia finale al sistema sanitario nazionale. La prima cosa da fare è sicuramente invertire il trend che vede ridurre la percentuale di risorse in base al Pil e nell’immediato utilizzare proficuamente tutte le enormi risorse per la medicina territoriale messe a disposizione dal PNRR”.
Lep e Lea: in queste sigle i nostri diritti
Uno dei cardini dell’autonomia differenziata è costituito dai cosiddetti LEP, ossia i livelli essenziali di prestazione. Questi sarebbero determinati sulla base della “spesa storica” delle regioni. Ciò significa che le regioni del nord, storicamente più ricche e con maggiori capacità di spesa, garantirebbero livelli di assistenza migliori che al sud?
“Certamente le regioni del Nord avranno più risorse a disposizione e quindi potranno ovviare alle necessità che si presenteranno con più facilità rispetto al Sud del paese. Potranno dunque garantire un servizio migliore. Il sistema sanitario sarà finanziato regionalmente, quindi le entrate verranno raccolte e utilizzate solo all’interno della stessa regione, non più distribuite su tutto il paese. Ciò comporterà che le risorse necessarie per l’assistenza dipenderanno dalla capacità fiscale di ogni regione, non più dalle effettive esigenze sanitarie e di salute della popolazione”.
Cure e prevenzione
Per il cittadino che si rivolge al SSN per una qualsivoglia prestazione, cosa cambierà?
“Per i cittadini siciliani la situazione cambierà ancora di più ed in peggio. In un contesto in cui continua a crescere il numero di persone che rinunciano alle cure per motivi economici, in Sicilia parliamo di circa 800.000 persone, la percentuale di famiglie in povertà sanitaria risulta essere il doppio nelle regioni del sud (8%) rispetto a quelle del nord-est del nostro paese (4%). Così come altrettanto drammatico è il dato che emerge in relazione all’aspettativa di vita derivante dalle diverse opportunità in termini di accesso alla prevenzione, ad esempio dei tumori. Quindi purtroppo cambierà tanto per i cittadini siciliani, che vedranno via via ridursi il loro diritto ad una sanità pubblica ed universale”.
Quanto costa la salute?
Quanto costa, mediamente, un cittadino al SSN e quanto costa, invece, il SSN al cittadino?
“Nel 2021, in Italia la spesa sanitaria pubblica è stata di gran lunga inferiore rispetto a quella di altri paesi europei. A parità di potere di acquisto, a fronte di 3.051 dollari per abitante spesi in Italia nel 2021, Finlandia, Belgio e Irlanda superano i 4 mila dollari per abitante; Austria, Danimarca, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia superano i 5 mila dollari di spesa, mentre la Germania, con i suoi 6.424 dollari per abitante, si conferma al primo posto. In Sicilia la spesa pro capite è intorno ai 2.000 euro, inferiore rispetto alla media nazionale così come certificato dall’Istat. Mediamente la metà del bilancio regionale, circa 9,5\10 miliardi annui, è destinato alle spese sanitarie. Peccato che i risultati non siano eccellenti. La sanità pubblica è pagata dalle tasse che ognuno di noi, al netto degli evasori, versa allo stato. È quindi legittimo pretendere un servizio che funzioni e che risposta ai bisogni di salute di tutte e tutti, anche dei meno abbienti che non possono permettersi la sanità privata”.