Una norma che dovrebbe punire i ladri ma che in realtà li mette a sicuro. Basta che il maltolto se lo tengano per sé, lo spendano solo loro
Di Daniela Mainenti
Sembrava questione di ore, ma potrebbe subire un nuovo rinvio l’introduzione del reato di autoriciclaggio. Il primo ottobre era atteso in commissione Finanze della Camera l’emendamento del governo al disegno di legge sulla voluntary disclosure (il rientro di capitali). Invece la nuova norma potrebbe slittare di una settimana, se non finire nel calderone della legge di Stabilità, per velocizzarne l’approvazione.
Un passo avanti invece, e dopo sei mesi di liti, con una mediazione, si è avuto sui contenuti del provvedimento. I tecnici della Giustizia e quelli dell’Economia avrebbero trovato una mediazione. E tra la linea più invasiva del ministro Pier Carlo Padoan e del pm Francesco Greco rispetto all’approccio più pragmatico del guardasigilli Andrea Orlando e del presidente del Senato, Piero Grasso, si è seguita la prima strada.
Fatto sta che ben presto anche la giustizia italiana avrà a che fare con il reato di autoriciclaggio. Questa nuova fattispecie giuridica è nata appositamente per colpire i colletti bianchi, visto che se ne rende colpevole chi, in proprio oppure per conto di terzi, mobilita, trasferisce e soprattutto reinveste denaro o beni ottenuti illegalmente, con l’obiettivo di nascondere la provenienza illecita di questi capitali.
Di conseguenza la magistratura e l’Erario potrebbero ritrovarsi un’arma fondamentale nella lotta all’evasione, in un Paese dove il sommerso supera i 180 miliardi di euro. Anche se secondo alcuni siamo di fronte a norme troppo invasive e di difficile applicazione.
Il reato di autoriciclaggio dovrebbe favorire la lotta all’evasione. Gli avvocati, però, chiedono cautela nell’introduzione di un reato dal campo di applicazione troppo esteso. Il nuovo articolo 648 ter del Codice civile prevede pene fino agli otto anni per autoriciclaggio in relazione agli ambiti di intervento. Questo reato si differenzia dal canonico riciclaggio perché viene commesso da chi, in ultima istanza, «impiega o utilizza in attività lecite denaro o beni provenienti da delitti non colposi da lui stesso commessi». Di conseguenza colpisce un soggetto terzo – di solito un professionista o un prestanome – che si prende la briga di nascondere o riutilizzare i proventi da attività illecite.
Se il riciclatore è, come recita il codice, il soggetto «che prende del denaro o dei beni da colui o coloro che li hanno ottenuti da reato e li immette nel circuito economico legale attraverso operazioni finanziarie o di qualsiasi natura commerciale», per accusarlo occorrerà dimostrare che le risorse da lui impiegate siano derivate da attività illecite di soggetti terzi.
Con l’autoriciclaggio il quadro si semplifica. Il reato si potrà contestare alla stessa persona che ha commesso il delitto, senza considerarlo quindi un mediatore, né applicandogli l’esimente per aver concorso nel reato presupposto.
Per essere più chiari diventano perseguibili quei soggetti – per lo più intermediari o consulenti di realtà criminali – che si fanno versare soldi (anche emettendo fattura) per prestazioni a favore di aziende o persone, che a loro volta hanno ottenuto le stesse somme con attività illecite o frodando il fisco. Gli avvocati temono che un reato difficile da dimostrare come l’autoriciclaggio riversi sugli imputati l’onere della prova. Per non parlare del fatto che verrebbero meno, con questa nuova e apposita fattispecie, le attenuanti previste per concorrere al reato di riciclaggio.
Infatti i penalisti chiedono norme chiare per evitare che scatti una denuncia ogni qualvolta c’è una discrepanza tra quanto il professionista spende e quanto ha incassato oppure quando ci sono rapporti di beni e fornitura con soggetti già monitorati dalle forze dell’ordine. Sul tema sono divisi anche i magistrati e la politica. Emblematiche le polemiche a distanze tra Grasso, ex capo della Direzione nazionale antimafia, e il più famoso tra i pm che si occupano di reati finanziari: Francesco Greco.
Grasso ha chiesto in più occasioni di finalizzare il nuovo strumento soprattutto alla guerra ai mafiosi e alle gang dedite al traffico di stupefacenti e estorsione. Greco invece ha suggerito un’applicazione più generalizzata, visto che i maggiori motori della corruzione sono i professionisti al soldo della criminalità. Questo dibattito ha prodotto due linee d’intervento, che ha finito per bloccare il provvedimento in commissione Finanze.
In un primo tempo il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, era favorevole a negare l’autoriciclaggio se legato a un reato punibile con una pena inferiore a cinque anni. Si sono detti contrari esponenti della minoranza Pd come Pippo Civati, Lucrezia Ricchiuti e Marco Causi. Secondo loro quest’approccio avrebbe salvato chi si macchia di truffa, l’appropriazione indebita o la dichiarazione fiscale infedele. Reati tipici dei colletti bianchi. Sulla stessa linea il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, il quale ha tutto l’interesse a frenare sia la fuga di capitali verso l’estero sia l’evasione fiscale, soprattutto in una fase nella quale vuole recuperare almeno 2 miliardi con la volontary disclosure.
L’ultimo a confermare che c’è stato un accordo sui contenuti è stato il viceministro alla Giustizia, Enrico Costa.
A quanto si sa, ha avuto la meglio l’approccio più invasivo voluto dal Tesoro. Si è deciso di garantire soltanto uno sconto di pena (si prevede il carcere da uno a quattro anni) quando il reato presupposto alla base dell’autoriciclaggio viene punito, a sua volta, con pene inferiori ai cinque anni di reclusione. Per i casi più gravi si prevedono dai due agli otto anni di carcere e una multa da 5 mila a 25 mila euro.
Questo prescrive il nuovo articolo 648 ter del Codice penale per colui che, «avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, sostituisce, trasferisce ovvero impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa».
Confermato invece il principio secondo il quale non è punibile per autoriciclaggio chi utilizzi o goda personalmente di fondi o beni di provenienza illecita. In questo caso l’imputazione è di semplice riciclaggio.
Tra le aggravanti c’è quella di aver commesso il reato «nell’esercizio di un’attività bancaria, finanziaria o di altra attività professionale». Dimezzata la pena per chi «si sia adoperato per evitare ulteriori conseguenze del reato o per assicurare le prove del reato e l’individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità oggetto, profitto o prodotto del reato».
Dovrebbe essere previsto anche un periodo transitorio per cui si garantirà agevolazioni e sconti di pena per chi aderirà volontariamente al meccanismo entro la fine del 2015. E questo per favorire il rientro di capitali dall’estero. Anche se una data definitiva non è stata ancora prevista.
Inutile dire che qualcuno già vede un condono in questa facoltà.. Intanto il capogruppo del Pd in commissione Finanze, Marco Causi, si dice convinto di «approvare in via definitiva il pacchetto entro la fine dell’anno».
La singolare questione rimane però un’altra.
“ Resta esclusa dai confini delittuosi è la condotta destinata all’utilizzazione o al godimento personale”.
Tradotto in italiano, appunto: se rubi e non dai niente a nessuno, non ti fanno niente, come la marijuana in piccole dosi. Nel caso dell’autoriciclaggio, invece, non ci sono limiti alle dosi.
Rubi, compri un palazzo e te lo intesti nessuno ti può incriminare di autoriciclaggio.
“Per il nuovo reato di autoriciclaggio, sarà punito chi sostituisce, trasferisce o comunque impiega denaro, beni o altra utilità in attività economiche o finanziarie in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa”.
Poi le norme che hanno provocato la giusta indignazione di Marco Travaglio:
“Esclusa dai confini delittuosi è la condotta destinata all’utilizzazione o al godimento personale”
E anche chi commette un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni, se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dal delitto stesso”.
L’inserimento di questo emendamento dovrebbe risolvere il fermo in commissione finanze alla Camera, in cui si trova la legge sulla collaborazione volontaria e accelerare la sua approvazione.
L’emendamento, si legge nella motivazione in calce alla misura, introduce nel sistema due fattispecie di autoriciclaggio. La formulazione delle disposizioni incriminatrici, spiegano dal ministero della giustizia, che ha predisposto l’emendamento, in accordo con il ministero dell’economia, è diversa da quella contenuta nel disegno di legge approvato dal consiglio dei ministri e che ancora deve essere presentato alle camere, «ma non se ne discosta nella struttura; essa piuttosto tiene conto dell’esigenza di adeguare lo strumento repressivo alle istanze complessivamente emerse nel dibattito parlamentare sviluppatosi nell’esame del disegno di legge sul cosiddetto rientro di capitali dall’estero»”.
Sarebbe quindi ragionale supporre si stia barattando l’esigenza del rientro dei capitali dall’estero con la non punibilità dell’impiego in proprio dei capitali di provenienza illecita?