Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Buoni fruttiferi postali: nuova sentenza di Cassazione

Ritorniamo ancora una volta a parlare della questione dei buoni fruttiferi postali che ha visto coinvolti e di conseguenza deluso tantissimi risparmiatori...

di Redazione

 

Ritorniamo ancora una volta a parlare della questione dei BFP che ha visto coinvolti e di conseguenza deluso tantissimi risparmiatori. Al riguardo arriva una nuova sentenza in favore dei consumatori, molti dei quali avevano già perso ogni speranza. Regione Sicilia Corte di Cassazione  n. 4761/2018

 

di  Associazione Europea Consumatori Indipendenti

Descriviamo brevemente. Con sentenza del 9 ottobre 2013 la Corete d’Appello di Venezia aveva respinto l’impugnazione proposta da alcuni possessori di titoli nei confronti di Poste Italiane contro la sentenza di prime cure che aveva accolto la loro domanda, errando tuttavia nella determinazione dell’importo da corrispondere, volta ad ottenere il rimborso di due titoli emessi nel dicembre del 1984 dal valore nominale di lire 1.000.000 ciscuno, il tribunale ordinario nell’accogliere il ricorso aveva rigettato l’originaria domanda spiegata contro Poste Italiane S.p.a. ed invece aveva accolto l’impugnazione incidentale spiegata da Poste, condannando così i risparmiatori a restituire quanto percepito in esecuzione delle sentenza impugnata.
A fondamento della decisione la Corte territoriale, ricostruito il quadro normativo e ritenuto applicabile alla materia, aveva affermato che i buoni in discorso non erano titoli di credito, come sostenuto dai risparmiatori, bensì titoli di legittimazione, e non possedevavano perciò il carattere della letterarietà proprio dei titoli di credito.
Doveva pertanto ritenersi che il diritto al rimborso fosse esclusivamente regolato dal Decreto Ministeriale di quel tempo, che per l’appunto era stato emesso nel giugno 1984, infatti proprio questo decreto ne aveva disciplinato l’emissione, e precisava che trattandosi di buoni Fruttiferi Postali classificati a termine, non aveva alcun rilievo la stampigliatura apposta sul retro dei medesimi, che richiamava i titoli della serie P/O ed indicava la misura degli interessi fino alla scadenza ventennale, con conseguente prescrizione del diritto al rimborso come veniva sistematicamente eccepita da Poste Italiane S.p.a.
Facendo un passo indietro, riepigolando in breve le norme dell’epoca, ricordiamo che l’emissione dei suddetti titoli, così anche la materia, era regolata dal DPR 29 marzo 1973, n. 156.
L’art. 171, rubricato “ emissione di buoni postali fruttiferi” stabiliva che, gli uffici Postali, nei limiti e con le modalità indicate dal regolamento, rilasciavano i buoni postali di risparmio nominativi rimborsabili a vista presso gli uffici di emissione. Le modalità di rimborso venivano fissate dall’art. 178, ai sensi del quale i titoli venivano pagati presso gli uffici di emissione, o presso altri uffici nei limiti di taglio in cui sono autorizzati ad emetterli, con le condizioni e modalità indicate dal regolamento.
Per quanto concerne la misura degli interessi da corrispondere, l’art. 173 prevedeva originariamente, per quanto rileva, che gli interessi dovevano essere corrisposti a secondo della tabella riportata a tergo dei titoli stessi.
Secondo una corretta interpretazione la disciplina dei Buoni Fruttiferi postali in base la legge trovano fondamento nel vincolo contrattuale che esiste tra emittente e sottoscrittore dei titoli, le condizioni in riferimento al saggio d’interessi apposti sul titolo e quelle stabilite dal D.M. che ne disponeva l’emissione, deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei Buoni destinati ad essere emessi in serie per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori e che le condizioni alle quali l’amministrazione Postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono.
Al riguardo della presente in commento alla questione, con Decreto Ministeriale del giugno 1984 recante: “ Modificazioni dei saggi d’interesse sui libretti e sui buoni postali di risparmio” Gazzetta Ufficiale n. 174 del 26 agosto 1984 è stata istituita, con effetto a partire dal 10 luglio dello stesso anno, una serie speciale di titoli postali a termine contraddistinta con lettere “AB” art.7 del D.M. L’art. 8 invece ne disponeva la variazione di durata. L’art. 10 poi disponeva che su questi titoli dovevano essere, a cura di Poste, apposti due bolli: uno sulla parte anteriore, con la dicitura Serie AB e AA; l’altro sul retro, recante la misura dei nuovi saggi d’interessi ed i nuovi termini di scadenza.

Detto ciò, secondo la Cassazione nella presente sentenza “ il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei buoni fruttiferi postali è destinato a formarsi essenzialmente sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti, procedere ad una valutazione, beninteso complessiva e non atomistica, del dato testuale, considerando se la menzione della serie P/O ed il riferimento alla progressione temporale dei tassi di interesse fosse o no, nel quadro del complesso contenuto del titolo, ed in considerazione delle prescrizioni imposte dallo stesso Decreto, da ritenere univocamente decisiva, scrutinando altresì la ricorrenza dei presupposti per l’eventuale applicazione della previsione dettata dall’art. 1342, comma 1 c.c. concernente la prevalenza delle clausole aggiuntive al modulo o formulario”.

Per quanto espresso nella sentenza cassata concentrandoci nella sua motivazione leggiamo l’affermazione dei giudici i quali sostengono che i Buoni Fruttiferi postali non hanno natura di titoli di credito ma vanno considerati titoli di legittimazione come espesso nell’art. 2002 c.c. e, che il vincolo contrattuale assunto tra Poste e sottoscrittori è destinato a formarsi proprio sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti.
A fare chiarezza un’esatta osservanza è arrivata dalla Suprema Corte con l’interpretazione del D.P.R. n. 156 del 29/03/1973. La Corte di legittimità, infatti, aveva considerato che i rapporti tra i risparmiatori e Poste Italiane di natura privatistica definendo tale attività, sia per la propria caratteristica organizzativa che per quella gestionale, esclusivamente di natuta d’impresa.
Gli stessi Giudici hanno poi affermato che per tale ragione i BFP sono stati sempre privi di lineamenti autoritativi, essi sostanzialmente non si discostanano dagli analoghi servizi resi sul mercato delle imprese bancarie (cfr. in tal senso esplicitamente Corte Costituzionale n. 463 /1997) stabilendo inoltre che la condotta di Poste Italiane deve sempre rispettare i principi contrattuali previsti dalle norme del Codice Civile bensì dagli artt. 1173 e seguenti oltre alla normativa prevista dal Testo Unico Bancario.

 

 

Condividi l'articolo:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.