Alla galleria BOBEZ di via Isidoro La Lumia 22, una singolare mostra sull’attualissima capacità del mondo animale di farsi specchio della soggettività artistica.
di Salvo Ferlito*
Fra i dipinti della grotta di Lascaux e certe opere di Damien Hirst e Maurizio Cattelan intercorrono circa 17.000 anni, e tuttavia un comune filo conduttore le lega indissolubilmente: il ruolo centrale occupato dagli animali nell’immaginario degli artisti.
Certo, fra l’uomo del Paleolitico e quello di oggi sussistono enormi differenze in quanto ad abitudini e stili di vita, e ciò non di meno il potere di fascinazione esercitato dagli animali, la capacità evocativa, la forza simbolica e la rilevanza semiotica, insite nelle loro rappresentazioni, paiono essere del tutto uguali per entrambi, come se un abisso di tempo non stesse fattivamente a separarli. Pressoché inalterate sono infatti le potenzialità espressive e narrative rilevabili – ancor oggi – nelle opere d’arte che raffigurano animali; ed altrettanto intonsa appare la loro attitudine a rappresentare fedelmente le proiezioni dell’Ego artistico, nonché ad incarnare – mutatis mutandis in rapporto ai differenti periodi storici – lo “hic et nunc”, e dunque le specifiche declinazioni dello “spirito del tempo”. Ne consegue una analoga pregnanza visuale dei bestiari contemporanei rispetto a quelli di altri tempi (e ciò a prescindere dal grado di iconicità e quindi dal livello di naturalismo delle immagini attuali) e una pari vigoria della penetranza emozionale ed affettiva delle imagerie zoomorfe dei nostri giorni (pur non essendo più tali raffigurazioni circonfuse di un medesimo alone di sacro o di mistero come in antiquo), a conferma di un incorrotto (seppur aggiornato) potere di innesco di meccanismi simpatetici di identificazione negli osservatori più partecipi.
Stesse considerazioni si potrebbero fare in ambito letterario (infinito il numero di esempi cui far riferimento, dall’omerico cane di Ulisse a quello dei Baskerville di Conan Doyle, dagli animali parlanti delle favole di Esopo e Fedro a quelli de Il libro della giungla di Ruyard Kipling, dall’inquietante leviatano di Melville alla non meno vorace balena del Pinocchio di Collodi, tanto per citarne qualcheduno) e riguardo al più recente contesto della cinematografia (basti pensare all’universo disneyano e ai tanti cani e cavalli protagonisti di film e telefilm di grandissimo successo), a dimostrazione di come – ancor oggi – la narrazione del senso dell’essere ed esistere degli uomini non possa in molti casi prescindere dall’inesauribile armamentario allegorico offerto ampiamente dal mondo degli animali.
Deputati a rappresentare le forze primordiali della natura, e in quanto tali divinizzati agli albori della storia (si guardi a tal proposito il variegato pantheon dell’antico Egitto, ma anche quello delle culture aborigene pressoché ad ogni latitudine), preposti ad incarnare virtù e vizi degli umani, e quindi a fare da veicoli allegorici della loro natura più profonda (esemplificativo il carattere di forza e di coraggio riferito al leone o quello di assoluta fedeltà attribuito al cane, o ancora il connotato maligno e demoniaco assegnato ai rettili e quello infido e lussurioso frequentemente affibbiato al gatto), chiamati a farsi metaforicamente carico delle conseguenze di idealità e ideologie, e dunque a fungere da modello cui guardare a fini di monito o denuncia (paradigmatica la terrificante distopia orwelliana sui nefasti aspetti delle società dei “tutti uguali”), gli animali costituiscono da sempre un’inesauribile fonte di ispirazione artistica e un vettore impareggiabile cui affidare in toto ogni possibile “visione dell’esistente”.
Non può dunque stupire che una mostra tutta incentrata sugli animali abbia – a tutt’oggi – una così sentita e ampia partecipazione; non può stupire, in quanto la sensibilità e l’inventiva degli artisti contemporanei continuano ad essere soggette alla magnetica attrazione esercitata dalle infinite potenzialità espressive e visuali insite nelle modalità della loro raffigurazione.
Si tratti di semplici pretesti per raffinati esercizi di stile grafico (il toro a punta secca di Rosario Amato, la capra a penna a sfera di Daniele Messineo, le riflessioni a pastello su un levriero dureriano di Nicolò D’Alessandro o quelle col contè ancora su di un cane di Tino Signorini) o per narrazioni di accento squisitamente ironico o amaramente sarcastico (il gatto sbeffeggiato da irriverenti uccellini di Anna Kennel, l’inquietante “cane da guerra” di Giuseppe Fell), di spunti per allegorie di impianto analiticamente psicologico (il babbuino che si fa complice del narcisismo femminile dipinto da Nicola Pucci, il cane randagio che esempla a perfezione la dimensione marginale degli esclusi di Salvo Catania Zingali, il porcile che descrive crudamente la condizione minoritaria di parte dell’umanità realizzato da Roberto Fontana) o per visioni improntate al senso del sacro o a quello del mistero (il classico e cristologico agnello di Beatrice Feo Filangeri, la ieratica e ipnotica civetta di Ilaria Caputo, l’incombente e totemico volatile di Gaetano Costa, l’invisibile e possente tigre di Paolo Madonia) e ancora di suggestioni per eleganti sperimentazioni di carattere pittorico (lo splendore bizantineggiante del gallo di Beppe Madaudo, le ricercatezze chiaroscurali dei pulcini di Guido Baragli) o per elaborazioni di genere poetico o favolistico (l’intimistica ambientazione del riposo felino impaginata da Bice Triolo, la scansione “optical” del volo di uccelli ideata da Gai Candido) o infine di occasioni per acute e realistiche dissertazioni etologiche (l’iperrealistico e ferino gatto di Vincenzo Piazza e quello agitatissimo e decisamente “pop” di Guido Quadrio) o per orchestrazioni visuali estremamente fantasiose (il recupero dell’immaginario animalistico dei nostri lontanissimi antenati posto in essere da Ignazio Schifano, la teatrale e sarcastica rivisitazione del miserabile mondo della politica plasticamente attuata da Mario Lo Coco), quel che se ne ricava è un articolato ed irretente bestiario dei nostri giorni, capace di compendiare le più disparate esigenze tecnico-linguistiche e al contempo di dare libera espressione alle istanze e pulsioni più profonde che ribollono nella psiche degli artisti.
In definitiva, una serie di alter ego sotto spoglie di animali, sui quali proiettare pienamente – a prescindere dalle finalità formali o narrative perseguite – la propria soggettività di uomini e di artisti; il tutto in un gioco di riflessi e di rimandi, che, attraverso il sembiante animalesco, conduce al disvelamento ed all’affermazione della propria identità.
La mostra sarà visibile fino al 14 maggio, dal martedì al sabato, dalle 10 alle 12,30 e dalle 17 alle 19,30.
*critico d’arte