Riserva tante sorprese la mostra Facevano teatro – Cimeli e memorie dai teatri palermitani della Belle Époque, che si inaugura venerdì 23 ottobre alle 19.30 al Teatro Biondo di Palermo.
Un viaggio nel tempo per scoprire le abitudini teatrali della Palermo di fine ’800 e primi del ’900. Abiti, costumi, locandine, programmi di sala, avvisi, bandi, progetti e pionieristici prodotti di marketing che nulla hanno da invidiare alle attuali strategie di comunicazione. Numerosi reperti provenienti dal Museo del Costume e della Moda Siciliana di Mirto e dalle collezioni private di Umberto Cantone, Roberto Lo Sciuto e Aldo Maria Caruselli.
Tra le chicche: un bando comunale del 1862 a firma del primo sindaco di Palermo Salesio Balsano per l’affidamento triennale di uno spazio teatrale, con dettagliata descrizione delle qualità ed esperienze artistiche richieste; le tavole di un progetto finalista al concorso per la realizzazione del Teatro Massimo (1882) dell’architetto David Ferruzzi; un sorprendente esempio ante litteram di comunicazione integrata e coordinata per la promozione di una messa in scena al Teatro Biondo (1904) de La figlia di Iorio di D’Annunzio ad opera della Compagnia Talli-Gramatica-Calabresi, comprendente una locandina, una “newsletter” personalizzata del capocomico Virgilio Talli e una busta intestata con l’immagine dell’evento, il tutto per mettere in risalto la presenza alla prima del maestro Gabriele D’Annunzio.
La mostra, curata da Umberto Cantone e Pippo Miraudo, illuminata da Nino Annaloro e allestita da Roberto Lo Sciuto con la collaborazione del Teatro Massimo, comprende anche abiti e oggetti: borsette in maglia d’argento, collane con turchesi e perle, spille in oro, ventagli in piume di struzzo o in pizzo con stecche in tartaruga, trousse déco porta trucco e porta sigarette, monocoli e binocoli in avorio, provenienti dal Museo del Costume e della Moda Siciliana di Mirto.
Tantissimi i pieghevoli e volantini dei teatri palermitani nel periodo compreso tra il 1903 e gli anni Trenta, materiali cartacei che promuovono l’attività di prosa, varietà, rivista, concerto, opera e operetta, attrazione circense e arte varia in scena al Biondo, al Bellini, al Politeama Garibaldi, al Massimo e nei dimenticati Nazionale, Olympia, Japon Theatre, Parco Roma. Sono la testimonianza del passaggio, a Palermo, di compagnie prestigiose, come quelle di Emma Gramatica e di Tatiana Pavlova, di Leopoldo Fregoli e di Angelo Musco, con i crediti degli spettacoli composti per essere inscritti nel mosaico pubblicitario delle svariate ditte di una Palermo imprenditoriale in quegli anni attivissima.
La mostra Facevano teatro resterà aperta fino al 31 dicembre tutti i giorni, esclusi i lunedì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16.00 alle 19.00. L’ingresso è libero.
DAL Museo del Costume e della Moda Siciliana di Mirto, dalla Collezione Cantone dalla Collezione Lo Sciuto e dalla Collezione Caruselli
Palermo in platea
di Umberto Cantone
C’è stato un tempo in cui andare a teatro significava, per alcuni tra i più facoltosi dei suoi spettatori, soprattutto mettersi in scena. Avveniva così durante e oltre la belle époque della Palermo dei Florio, dei Biondo e di Basile, diventata “museo vivo del liberty” e capitale d’arte, in ogni platea di quegli eventi “di costume” che erano le “prime”, comprese nella zona magica dei rinomati teatri cittadini eletti a templi di cultura e di mondanità. Da allora in poi, fino agli anni Sessanta della contestazione e ben prima della presente era del “cafonal”, l’élite borghese, sempre più omologata a quella aristocratica, cercava un rispecchiamento elettivo nell’haute couture esibita dai suoi idoli sulla scena. Così poteva capitare che, mescolandosi alle sontuose mise firmate da Fath e da Dior, un’eccentrica spettatrice di quegli affollati foyer arrivasse a indossare un modello originale ispirato alla Turandot pucciniana per un’irripetibile passerella d’occasione.
Il look Turandot (risalente al 1958) è uno dei reperti, unitamente ad altri catalogati per un ideale atlante della memoria, di questa mostra sulla Palermo in platea della prima metà del Novecento. Dalla collezione del Museo del Costume e della Moda siciliana di Mirto, diretta da Pippo Miraudo, proviene il corpus di abiti e oggetti di quelle spettatrici e di quegli spettatori d’antan: borsette in maglia d’argento, collane con turchesi e perle, spille in oro, ventagli in piume di struzzo o in pizzo con stecche in tartaruga, trousse déco porta trucco e porta sigarette, monocoli e binocoli in avorio. E poi il guardaroba comme il faut, trionfo di chiffon e di seta pura: completi da serate di gala, gli ormai desueti frac, sciarpe d’ogni tinta, cappellini, borsalini e bombette di rinomate ditte palermitane come la Moncada o l’Armò & Company. Accanto a questa iconografia che annoda significativamente l’arte con la vita, sono presenti in mostra alcuni preziosi documenti di archivi privati: i manifesti, datati 9 maggio 1862, per una serie di gare d’appalto teatrali firmati da Salesio Balsano primo sindaco di Palermo, le 5 tavole ritrovate del progetto presentato al concorso (poi vinto da Basile) per la costruzione del Teatro Massimo di Palermo ad opera dell’architetto David Ferruzza, accanto a una collezione di locandine, pieghevoli e volantini dei teatri palermitani nel periodo compreso tra il 1903 e gli anni Trenta. Sono materiali cartacei che promuovono l’attività di prosa, varietà, rivista, concerto, opera e operetta, attrazione circense e arte varia in scena al Biondo, al Bellini, al Politeama Garibaldi, al Massimo e nei remoti Nazionale, Olympia, Japon Theatre, Parco Roma. Sono la testimonianza del passaggio, a Palermo, di compagnie prestigiose, come quelle di Emma Gramatica e di Tatiana Pavlova, di Leopoldo Fregoli e di Angelo Musco, con i crediti degli spettacoli composti per essere inscritti nel mosaico pubblicitario delle svariate ditte di una Palermo imprenditoriale in quegli anni attivissima.
E così una mostra come questa, non esaustiva e volutamente evocativa, oltre a un’implicita connotazione sociologica, si fa portatrice delle valenze visive, intermediali, conoscitive presenti in quegli oggetti che, col tempo, sono diventati testimonianza di un artigianato che sapeva farsi arte, nel gran teatro del mondo rappresentato pure dentro il ristretto perimetro di un foyer.
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