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Clausole vessatorie e pratiche commerciali aggressive, come tutelarsi

Clausole vessatorie e pratiche commerciali aggressive. Un breve vademecum di rimedi previsti dal Codice del Consumo a tutela di consumatori e microimprese...

di Redazione

Ecco un breve vademecum di rimedi previsti dal Codice del Consumo a tutela di consumatori e microimprese

 

Avv. Claudio Ruggieri 

Capita sempre più spesso al giorno d’oggi di sottoscrivere contratti il cui contenuto sia stato già predisposto da uno dei contraenti.
In questa categoria rientrano, assumendo anche una rilevante importanza nella moderna prassi commerciale, i c.d. “contratti per adesione” nei quali l’imprenditore offre i propri servizi a condizioni predeterminate tramite un modulo o formulario “standard” e il consumatore si limita semplicemente ad aderire con la sua sottoscrizione.
In molti casi, inoltre, la contrattazione e la conseguente stipula dell’ accordo avvengono “a distanza”, ovvero al di fuori dei locali commerciali dell’ imprenditore; si pensi a tutte quelle offerte riguardanti servizi di telecomunicazione, fornitura di gas, energia, TV a pagamento, etc., formulate servendosi degli operatori call-center.
Il proliferare di queste nuove metodologie contrattuali, ha posto negli anni il problema di come difendere i consumatori da queste pratiche aggressive, nonché dell’ accertamento della validità di determinate  clausole, definite vessatorie o abusive, che malgrado la buona fede determinano a carico degli stessi un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
La materia è stata regolamentata in maniera organica dal “Codice del Consumo”, emanato con il d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206, il quale sancisce i diritti e la tutela del consumatore, partendo dalla definizione di tale figura e di quella del professionista.
Ai sensi dell’art. 3 del sopra citato codice si definisce consumatore la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta.
Può definirsi professionista la persona fisica o giuridica che agisce nell’ esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale, ovvero un suo intermediario.
L’ art. 33 si occupa, invece, della disciplina delle clausole vessatorie inserite nei contratti stipulati tra professionista e consumatore individuando una serie di fattispecie tipiche in cui si presume la vessatorietà della clausola.
Successivamente il d.l. n.1/2012 sulle liberalizzazioni ha rafforzato la tutela del consumatore rispetto alle clausole vessatorie introducendo l’ art. 37-bis che conferisce ampio rilievo all’Autorità garante per la concorrenza ed il mercato, chiamandola a vagliare sulla vessatorietà delle clausole apposte al contratto di consumo.
Ricordiamo a tal proposito che il consumatore non è vincolato da una clausola vessatoria; è però necessario ricorrere all’autorità giudiziaria per l’accertamento della vessatorietà e la declaratoria di inefficacia.
Bisogna anche sottolineare che la dichiarazione di inefficacia di una singola clausola non comporta necessariamente l’inefficacia dell’intero contratto, occorre infatti valutare se il contratto è comunque in grado di produrre i suoi effetti anche senza di essa.
Nel corso del giudizio, finalizzato all’accertamento del carattere abusivo delle suddette clausole predisposte dal professionista, il giudice dovrà effettuare una valutazione concernente sia al principio generale ex art. 33, I comma, sia alla presunzione di vessatorietà sancita in merito alla fattispecie tipizzate dal II comma del suddetto articolo (Cass. n. 6481/2010).
La giurisprudenza ha, inoltre, chiarito le modalità di svolgimento delle trattative tra professionista e consumatore, affermando che la circostanza che una clausola sia stata liberamente accettata dalla parte che abbia aderito al contratto che la contiene, non vale di per sé sola a sottrarla al giudizio di vessatorietà, essendo indispensabile che su di essa sia stata svolta una trattativa individuale (Cass. n. 19304/05).
Affinchè possa ritenersi fornita la prova dell’avvenuta trattativa non è sufficiente sostenere che il consumatore abbia approvato per iscritto una clausola generica di approvazione posta a chiusura del contratto, occorre, invece, che il professionista dimostri che l’ inserimento della clausola oggetto del giudizio di vessatorietà sia scaturita da una trattativa consapevole, seria ed effettiva (Cass. n. 24262/08).

Un’ altra importantissima regola introdotta dal codice del consumo a maggiore tutela del diritto di difesa del consumatore riguarda l’ istituzione del c.d. “foro inderogabile del consumatore”. Ai sensi dell’ art. 33, comma 2, lett. u Cod. Cons., si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che “hanno per oggetto, o per effetto, di stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore”.
Un altro degli strumenti più efficaci di cui dispone il consumatore per tutelarsi dalle pratiche commerciali aggressive, con particolare riguardo ai contratti stipulati a distanza, è costituito dalla possibilità di esercitare il diritto di recesso entro il termine di 14 giorni dalla loro conclusione (art. 52 e ss. Cod. Cons.), informando il professionista della propria decisione secondo le modalità previste dall’ art. 54 Cod. Cons.
Ricordiamo, infine, che la tutela del codice del consumo è stata estesa anche alle c.d. “microimprese” in materia di pubblicità ingannevole e di pubblicità comparativa illecita, ai sensi dell’ art. 19 Cod. Cons. come modificato dall’ art. art. 7, comma 1, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, il quale ha anche inserito all’ interno dell’ art. 18 Cod. Cons., la lettera d-bis, nella quale è contenuta la definizione di microimprese, ovvero “entita’, societa’ o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica, esercitano un’attivita’ economica, anche a titolo individuale o familiare, occupando meno di dieci persone e realizzando un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a due milioni di euro”.

 

 

 

 

 

 

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