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Compagnie telefoniche: ius variandi

Compagnie telefoniche: profili di vessatorietà della clausola contrattuale sullo ius variandi...

di Redazione

Compagnie telefoniche: profili di vessatorietà della clausola contrattuale sullo ius variandi. Regione Sicilia

 

di  Associazione Europea Consumatori Indipendenti

Nei contratti conclusi tra consumatore e professionisti si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti o degli obblighi derivanti dal contratto.
Si presumono vessatorie, fino a prova contraria, le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, l’esclusione o limitazioni di responìsabilità del professionista quali:

-Consentire al professionista di trattenere somme di denaro versate dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso.

-Consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso.

-Stabilire che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione, o consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto.

Abbiamo elencato alcuni spunti che potrebbero essere considerati clausole vessatorie, qualora venissero applicati.

In questo articolo, ci soffermeremo, invece, sulla clausola relativa alle “Variazioni delle condizioni economiche” e/o alle “Modifiche contrattuali”, riportata negli articoli dei contratti di abbonamento di telefonia “Condizioni Generali di Abbonamento” i quali risultano molto spesso vessatorie.
Su questa tematica sono stati avviati, nei confronti delle compagnie telefoniche alcuni procedimenti relativamente mirati ai profili di vessatorietà della clausola contrattuale sullo ius variandi. A seguito di una preliminare attività di controllo da parte dell’Autorità preposta, tali clausole sono per l’appunto apparse in sé vessatorie ai sensi dell’art. 33, commi 1 e 2 lett. M del Codice del Consumo.
Il profilo di vessatorietà rilevato sembrava permanere anche sulla base della lettura e dell’interpretazione di ciascuna clausola alla luce del contesto complessivo dell’intero contratto per adesione in cui è inserita.
Nei contratti utilizzati dalle compagnie, la clausola in questione e cioè l’omissione di indicare al consumatore che le eventuali varazioni unilaterali delle condizioni contrattuali potranno essere effettuate solo sulla base di un giustificato motivo, sono questi, infatti, in molti casi, ritenuti oggetto di presunta vessatorietà.
Su questo aspetto c’è da tenere ben presente, che rispetto alla modalità di comunicazione indicata per informare l’utente della singola variazione contrattuale, il professionista definisce per sé una disciplina della comunicazione discrezionale e molto più agevole rispetto a quella che concede al consumatore per le proprie comunicazioni, riservandosi, di volta in volta, la possibilità di adottare forme e modi di comunicazione ritenuti per sè più idonei, prevalentemente quelli meno impegnativi e onerosi, come la campagna informativa ad esempio su quotidiani.
Di contro, al consumatore viene imposto l’obbligo della sola forma scritta per la comunicazione del conseguente recesso. Dal momento che la modalità di comunicazione riveste grande rilevanza per favorire la piena consapevolezza dell’informazione le criticità denunciate riguardano:

  • Il fatto che alcune di queste forme di comunicazione, come la “campagna informativa”, sono rivolte ad un pubblico indistinto, mentre, per essere effettivamente “idonee” ad informare il cliente, dovrebbero essere sempre individuali, standardizzate ed attuate con modalità già chiaramente definite nel contratto, in modo che il consumatore, consapevole della modalità di ricezione che verrà adottata dal professionista, possa riconoscere la comunicazione come tale all’occorrenza.
  • Il canale della campagna informativa, infatti, non fornisce alcuna certezza sul fatto che il singolo utente ne verrà a conoscenza. Tra l’altro non tutti i consumatori hanno a disposizione o sono in grado di utilizzare email o mailbox, il professionista dovrebbe tenerne conto per garantire l’effettiva conoscenza della manovra all’utente.
  • Le modalità di comunicazione, quali le inserzioni sugli organi di stampa nazionali, la consultazione del sito internet, la chiamata al Servizio Clienti, tra l’altro, presuppongono un’attivazione costante dell’utente e non un’attivazione del gestore verso l’utente. Anche l’espressione “In ogni caso il Cliente potrà ottenere informazioni dettagliate attraverso il servizio Clienti”, pone, infatti, dubbi per la sua ampiezza e genericità, in quanto non è il cliente che deve chiedere informazioni sul motivo per cui il professionista propone una modifica, ma è un preciso obbligo del professionista fornire tale motivazione.
  • La possibilità per il consumatore di recedere dal contratto solo tramite posta raccomandata, e non tramite email o PEC (eventualmente fornite e validate in sede di sottoscrizione del contratto), mentre il professionista si riserva la libertà di ricorrere a diverse modalità di comunicazione.
  • La necessità di inserire direttamente nella clausola l’indirizzo email o PEC del gestore per l’invio della comunicazione di recesso, evitando al consumatore lunghe e faticose ricerche.

Sull’aspetto giuridico, riteniamo innanzitutto che anche al settore delle comunicazioni si debba applicare quanto previsto (dall’art. 33 comma 2 lettera m del Codice del Consumo) richiamandosi al fatto che la Commissione per il controllo delle clausole vessatorie della Camera di Commercio di Milano già nel 2008 si era espressa positivamente in merito all’applicazione congiunta delle norme sulle clausole vessatorie e dell’art. 70 comma 4 CCE sostenendo che la sommatoria delle due norme appare perfettamente ammissibile in un ottica di tutela per il consumatore.
A tale proposito quindi, l’obbligo informativo e il diritto di recesso stabilito dall’art. 70 c. 4 lo ius variandidovrà essere espressamente sancito da apposita clausola contrattuale, che dovrà stabilire in maniera sufficientemente compiuta le ipotesi in cui una simile facoltà potrà essere esercitata. In tutte le ipotesi, quindi, di clausole che riconoscano un indiscriminato potere di modifica contrattuale al professionista, non potrà che rilevarsi la vessatorietà delle stesse.
Alla luce di quanto espresso, i giustificati motivi vanno comunicati al consumatore dagli operatori che intendono modificare le condizioni economiche o contrattuali secondo le modalità già indicate nella delibera AGCOM 519/15/CONS all’allegato 1, proprio perché, la ratio della norma prevista (dall’articolo 33 comma 1 lettera m) è, infatti, quella di consentire al consumatore, venendo a conoscenza di tutti gli elementi di tali modifiche, incluso il giustificato motivo, di valutare opportunamente l’operazione, messa in atto dal professionista, e conseguentemente decidere, in maniera pienamente consapevole, se accettarla o rifiutarla, recedendo dal contatto.
La complementarietà delle due norme trova conferma nella clausola di salvaguardia (paragrafo 4) inserita all’articolo 1 “Oggetto e ambito di applicazione” della Direttiva 2002/22/CE (norma comunitaria da cui deriva l’articolo 70, comma 4, CCE), così come modificata dalla Direttiva 2009/136/CE, attraverso cui viene precisato che “Le disposizioni della presente direttiva relative ai diritti degli utenti finali si applicano fatte salve le norme comunitarie in materia di tutela dei consumatori, in particolare le direttive 93/13/CEE [direttiva sulle clausole abusive nei contratti] e 97/7/CE, e le norme nazionali conformi al diritto comunitario”. In tal modo, è stata confermata ed estesa l’applicazione delle clausole vessatorie a tutti gli aspetti del settore delle comunicazioni attinenti ai rapporti con i clienti trattati nella Direttiva 2002/22/CE17 e, dunque, anche al caso dello ius variandi.
In merito, poi, alla specifica applicazione dell’articolo 33 c.2 lettera m) del Codice del Consumo anche alle clausole come quelle qui in esame, e all’applicabilità di esso anche alle variazioni economiche, si fa espresso riferimento all’interpretazione della lettera j) punto 1 della Direttiva 93/13/CEE, richiamato dall’articolo 3, paragrafo 318.
Tale interpretazione, è stata fornita dalla prima sezione della Corte di giustizia europea, nella sentenza del 21 marzo 2013 (causa C-92/11).

Da quanto sopra esposto discende, pertanto, che a livello europeo la normativa relativa alle clausole vessatorie è indubbiamente applicabile ai contratti del settore delle comunicazioni per quanto riguarda le modifiche contrattuali unilaterali.

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