A nove mesi dall’insediamento a Palazzo d’Orleans, cosa ha partorito per la Sicilia la rivoluzione di Rosario Crocetta da Gela?
di Marco Corona
Lo avevamo lasciato che dava inizio alla sua roboante rivoluzione in salsa gelese. Le prime mosse da governatore? Iniziare un risiko infinito, con gli assessorati diventati territori da conquistare e/o da liberare e i funzionari a fare i carri armati, da ruotare, spostare, piroettare, se è il caso, schiacciare o lasciar arrugginire in qualche sottoscala. E in mezzo un valzer senza sosta che porta i dirigenti generali da una poltrona all’altra, il tempo di insediarsi, un brindisi di presentazione con le truppe e subito change, cedere il posto ad altri deretani superdirigenziali e portare il proprio verso nuovi soffici approdi in elegante pelle.
Intendiamoci, non che la Regione Siciliana non sia una palude da bonificare, anzi alcune incrostazioni andrebbero proprio eliminate con il napalm. Ma quello che finora è sfuggito ai più, osservatori esterni o parti in causa, è il metodo seguito da Crocetta. Anche perché il Nostro ha scelto un personale e singolare modello comunicativo: tuona su tutto e tutti, contro tutto e tutti, in affollatissime e seguitissime conferenze stampe, momenti ormai imperdibili per l’affamatissimo circo mediatico, sempre a caccia di bocconcini succulenti da azzannare e ingurgitare in fretta e furia. E poi? Niente, tra un esposto in procura e l’altro, tra un intervista e l’altra, tra un dibattito e un talk show, il Governatore prova anche a governare.
La legge che cancella le province è il suo fiore all’occhiello, e Crocetta se l’è appuntato in diretta televisiva, a Domenica In, ancora prima che avesse le solide radici del voto dell’Ars. Ma è andata bene, il parlamento siciliano l’ha votata e la Sicilia è la prima regione italiana ad aver cancellato gli odiati enti intermedi, considerati dall’opinione pubblica degli inutili carrozzoni, costosissimi parcheggi per illustri trombati. Solo che la legge lascia tutto nel vago e rinvia a data da destinarsi le scelte impegnative, offrendo più di un motivo di preoccupazione ai lavoratori delle Province e a quanti, tanti, ci vedono un altro dei bluff del presidente.
Come la levata di scudi contro il radar Usa a Niscemi, l’ormai celeberrimo Muos. Crocetta ha cavalcato il movimento No Muos fin dalla campagna elettorale, più precisamente, lo ha scavalcato, intestandosi la battaglia e dipingendosi, con la modestia di cui dà continuamente prova, come il soldato semplice siciliano in lotta contro lo strapotere e l’arroganza di Capitan America. Fiumi di dichiarazioni, montagne di proclami, i sicilianisti in sollucchero, autorizzazioni revocate, lavori fermi, interviste, prime pagine a gogò e… Risultato: Crocetta revoca la revoca, il mega radar a Niscemi si farà, non ci sono alternative. “Basta demagogia” tuona Crocetta, rinfrescando il famoso detto del bue che da del cornuto all’asino.
Certo, si stanno anche scoperchiando un bel po’ di pentoloni maleodoranti, cose discretamente ovvie per i frequentatori dei corridoi regionali ma abbastanza conosciute anche da visitatori occasionali. Insomma, basta essere uomini di mondo per avere chiaro che non si tratta di scoop clamorosi. Le vere notizie sono, invero, che c’è un discreto viavai di personcine a modo da uffici e studi con tutti i confort a disadorne celle, spesso senza nemmeno passare dalle procure. Dovesse essere un merito di Crocetta, e ne dubitiamo seriamente, sarebbe un buon risultato per il presidente, forse l’unico.
E nel frattempo la rivoluzione crocettiana va avanti senza freni, proiettando la Sicilia verso le più magnifiche sorti e progressive. Il bilancio rasenta sempre il default; il massimo respiro garantito alle migliaia di precari è una manciata di mesi; le imprese boccheggiano; l’Ars cazzeggia; la spesa dei fondi comunitari è ferma; i dipartimenti regionali sono paralizzati…
Ma la Sicilia comincia a stare stretta al Nostro, che ormai, con il suo Megafono a pomparne gesta e aspirazioni, è in piena ascesa politica e sogna in grande. Prossima mossa, nell’immediato, candidarsi alle primarie del Partito democratico. Perché? Perché, gongola Crocetta, “la base sogna un segretario come me”. Come se la base del Pd sognasse ancora!
La chiamano sindrome di Buzz Lightyear: verso l’infinito e oltre.