Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Tamil: l’odissea di un popolo nella morsa di una guerra fraticida

Siamo un grande popolo, un popolo che ha imparato a strappare al destino la forza di ricominciare, di credere in un futuro migliore, se non per noi, per i nostri figli. L’odissea di un popolo, da anni nella morsa di una guerra fraticida, raccontata da un Tamil immigrato in Sicilia

di Vincent Rolluda

Cosa significa essere Tamil? Sono arrivato in Italia venti anni fa e sono riuscito, grazie all’aiuto e alla solidarietà di alcuni miei connazionali, a lavorare quasi subito prima come collaboratore domestico, poi come aiuto cuoco, come custode e, infine, come impiegato di una ditta trasporti. Mia moglie in Italia è arrivata tre anni fa, ma il resto della mia famiglia è rimasto in Sri Lanka, la nostra cara terra lacerata da una guerra politica e religiosa, che vede il popolo dei Tamil esposto al massacro per raggiungere la propria indipendenza dal governo cingalese.

E’ triste constatare che, nel lontano 1947, dopo la liberazione dagli inglesi, ultimi colonizzatori europei, il sogno di uno Sri Lanka si sia realizzato. I cingalesi, infatti, che avevano ottenuto insieme ai Tamil la rappresentanza all’interno del nostro governo, per desiderio di potere e prevaricazione, hanno disatteso gli accordi di base accettati, in origine, dalle due etnie.

Lo squilibrio ha preso il sopravvento e i cingalesi si sono accaparrati con la violenza, in nome della superiorità di razza, di lingua e di religione che vantano, i posti chiave dell’amministrazione, negli ospedali e nelle università, isolando la nostra etnia e abbandonandola all’ignoranza.

A nulla sono valse le pacifiche marce di protesta, gli scioperi della fame e le manifestazioni studentesche. La battaglia civile è finita nel sangue che i cingalesi non hanno avuto scrupolo di versare. Finito il nostro sogno di unità, chiediamo ormai l’indipendenza da questo governo crudele anche attraverso la solidarietà che l’Italia o altri paesi europei vorranno dimostrarci. E intanto auguro ai miei connazionali la fortuna di incontrare qui, in Italia, persone che conoscano il rispetto per tutte le minoranze etniche che sappiano riconoscere la professionalità, la serietà e l’onestà negli occhi di gente che, con dignità ha imparato a soffrire  e ad attendere.

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