“Quello che emerge dalle indagini portate avanti dalla Procura di Milano e dal nucleo tutela lavoro dei carabinieri, è esattamente il quadro che noi denunciamo da tempo a Palermo, sia da un punto di vista del mancato rispetto delle norme sulla sicurezza da parte delle aziende di delivery, come è avvenuto soprattutto nella fase iniziale della pandemia, che più in generale per quanto riguarda la tutela dei lavoratori, gli infortuni, le difficoltà che i Rider incontrano spostandosi a bordo di moto e bici, affrontando quotidianamente un lavoro a ostacoli. Sono tanti i rischi che corrono, come dimostra quella che è solo l’ultima rapina che ha subito un rider di Glovo a Palermo, due sere fa, davanti a Mc Donald’s, derubato dell’incasso”.
A dichiararlo sono il segretario generale Cgil Palermo Mario Ridulfo e il segretario generale Nidil Cgil Palermo Andrea Gattuso, a proposito dell’esito della prima fase dell’inchiesta dei pm di Milano, che hanno messo sotto accusa alcuni colossi del delivery, comminando alle aziende multe per 733 milioni di euro, e ravvisando l’obbligo di assunzione per 60 mila persone. “Rispetto all’inquadramento contrattuale, dalle indagini è emerso che i rider non possono essere più considerati lavoratori autonomi, come noi abbiamo sempre sostenuto, anche davanti al Tribunale di Palermo, che ci ha dato ragione e ha riconosciuto il lavoro a tempo indeterminato di un rider di Glovo, Marco Tuttolomondo – proseguono Ridulfo e Gattuso – Anche se nel mirino della Procura sono finite per adesso le multinazionali, pure le aziende territoriali di delivery devono ottemperare a tutte le misure, non solo a quelle relative a salute e sicurezza, ma anche al rispetto dell’inquadramento contrattuale, che per dei lavoratori considerati fondamentali, perché si occupano di un servizio pubblico essenziale, e durante il lockdown hanno consentito alle imprese di non chiudere, non può essere certo un trattamento al ribasso, da nuovi schiavi. La nostra attività a fianco dei rider continua e proseguirà sempre con maggiore forza, sia dal punto di vista della tutela nei confronti delle piattaforme che dal punto di vista delle tutele individuali”.
Sul caso di Marco Tuttolomondo, il lavoratore che Nidil e la Cgil hanno seguito nel ricorso contro Glovo, “è emblematico – continuano Ridulfo e Gattuso – del modello di impresa che il colosso spagnolo porta avanti. Pur essendo assunto a tempo indeterminato con contratto di lavoro subordinato, per non modificare il proprio modello di business, smantellato in ultimo dalla procura di Milano, l’azienda preferisce pagar il lavoratore e non utilizzarlo”.