Il diritto di ritenzione, disciplinato dall’art. 2756 c.c., è un utile rimedio riconosciuto al creditore insoddisfatto che si trovi nel possesso di un bene appartenente al debitore medesimo.
In pratica è il diritto del creditore di trattenere presso di sé una cosa che dovrebbe restituire al proprietario-debitore, fino a quando questi non provveda ad adempiere alla sua prestazione, e che può anche venderla secondo le norme stabilite per la vendita del pegno.
Diritto di ritenzione e credito certo ed esigibile
Necessario presupposto perché il diritto di ritenzione possa essere esercitato è comunque che il credito sia certo, liquido ed esigibile.
Di fatto, il diritto di ritenzione è una vera e propria forma di autotutela o esecuzione privata, e costituisce un’eccezione al divieto di “farsi giustizia da sé”; pertanto, è legittimo nei soli casi previsti dalla legge.
Diversamente, si rischia di incorrere nel reato di
appropriazione indebita ex art. 646 c.p., punito con la reclusione da due a
cinque anni e con la multa da mille a tremila euro.
E’ un diritto di tutela, ad esempio, riconosciuto agli autoriparatori
(meccanici, elettrauti e carrozzieri) i quali ovviamente devono conservare la
vettura trattenuta, protetta da danni e furti, e restituirla nelle condizioni
in cui è stata consegnata allorquando il pagamento venga effettuato.
E’ parimenti ovvio che non si può vendere né ipotecare la vettura ritenuta, e tantomeno usarla durante questo periodo.
Il creditore che abbia fatto opera di miglioria o riparazione su un autoveicolo o altro bene e lo ha custodito, infatti, grazie a questo istituto, ha un privilegio sul bene, a condizioni che lo stesso si trovi ancor presso il creditore .
Tale diritto di ritenzione può essere esercitato anche quando il creditore, pur conoscendo il fatto che il bene non era di proprietà del soggetto che gli ha richiesto la prestazione, abbia ignorato il difetto di capacità di quest’ultimo di affidare la cosa per la conservazione o per il miglioramento della stessa (sul punto ex multis Cass.Civ. n.14533/2009).
Il codice civile, oltre alla fattispecie di cui all’art. 2756 c.c., prevede altre ipotesi specifiche in cui può essere esercitato il diritto di ritenzione.
In tema di locazione all’art. 1593 c.c. si prevede tale possibilità a favore del proprietario per le addizioni eseguite sulla cosa locata da parte del conduttore, con la previsione, però, della corresponsione di un’indennità “pari alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna”.
E in caso di spese sostenute dall’usufruttuario?
Tale previsione, quindi, non riguarda l’ipotesi del mancato
pagamento dei canoni di locazione, e quindi la ritenuta di beni di proprietà
del conduttore a titolo satisfattivo
Ancora, ai sensi dell’articolo 2761 c.c.,
i crediti derivanti dal deposito a favore del depositario hanno privilegio
sulle cose che questo detiene per effetto del deposito. Possiamo poi citare
anche il diritto di ritenzione nel caso di spese sostenute dall’usufruttuario
(art. 1011 c.c.) e nel caso di crediti del vettore, del mandatario e del
trasportatore (art. 2761 c.c).
Nei casi sopra citati al creditore, oltre ad essergli riconosciuto il diritto di ritenzione, viene attribuita una garanzia che gli permette di soddisfarsi sulla cosa ritenuta con preferenza rispetto agli altri creditori.
Si parla dunque di diritto di ritenzione privilegiato.
Nel diritto di ritenzione semplice, invece, al creditore è riconosciuto solo il diritto di trattenere il bene sino al soddisfacimento del suo credito.
E’ il caso dell’enfiteuta per i miglioramenti eseguiti sul fondo o dell’usufruttuario per le spese da questo anticipate, del possessore in buona fede per le indennità dovute.
In definitiva, il diritto di ritenzione rappresenta uno strumento di coercizione indiretta attuabile dal creditore ai fini di indurre il debitore all’adempimento ma, per essere legittima, non può mai travalicare i limiti individuati dall’ordinamento e sfociare in attività di godimento e/o utilizzazione del bene ritenuto.
Avv. Dario Coglitore