Prima del Ditirammu… Le attitudini artistiche della famiglia Parrinello hanno origini molto lontane.
Vito Parrinello ne ha raccontato ne “L’albero del canto. Diario illustrato delle tradizioni di famiglia”, pubblicato nel 2012, un testo dove è riassunta la cronaca documentaria e affettiva di una inclinazione all’arte e alla cultura che negli anni ha lasciato tracce tangibili.
Il capostipite è stato Pietro Cutrera (1815 – 1895), nonno di Angela Varvaro, nonna di Vito. Fu musicista e compositore, maestro di cappella del Teatro Carolino (Teatro Bellini); a lui si deve l’apertura del teatro Garibaldi che inaugurò nel 1862 alla presenza dello stesso Giuseppe Garibaldi.
Angela Varvaro era figlia di Francesco Varvaro (1850 – 1930), anch’egli musicista e compositore; crebbe con gli zii Luigi Pedone Lauriel e Rosa Varvaro che, non avendo avuto figli, l’avevano adottata per non disperdere il proprio patrimonio.
Pedone Lauriel era editore, tra l’altro, di alcune raccolte di Giuseppe Pitrè ed era titolare della celebre Libreria Internazionale Reber, ritrovo di tanti artisti e letterati.
Anche Angela era un’artista, anzi un’ enfant prodige: a cinque anni aveva tenuto il suo primo concerto di pianoforte.
Il fratello, Giovanni Varvaro (1888 – 1972), zio Giovannino, è stato un personaggio di straordinaria importanza per la Sicilia, la sua versatilità lo portò a occuparsi di folklore e a dedicarsi con successo alla pittura futurista.
Entrò in contatto con Marinetti e, con Vittorio Corona e Pippo Rizzo, diede vita al “Triangolo siciliano d’avanguardia”. Varvaro da giovane, aveva conosciuto Pitrè, Salomone Marino e Favara e, folgorato dal loro lavoro di ricerca in etnografia ed etnomusicologia, si era dedicato al recupero delle tradizioni popolari.
Suonava il “friscaletto” e il marranzano ed esprimeva la sua arte anche con le semplici note della chitarra. Compose, tra l’altro, delle sonate di atmosfera contadina.
Vito Parrinello fu suo allievo fino agli ultimi giorni di vita dello zio Giovannino, raccogliendone simbolicamente e fattivamente l’eredità artistica.
Negli anni ’30, per il matrimonio del Re d’Italia, il capo del governo volle dar voce a tutte le regioni italiane con una rassegna di cori folklorici.
La Sicilia non aveva una sua rappresentanza e il Maestro Carmelo Giacchino, grande amico di Varvaro, ne formò uno, avvalendosi dei suoi studi musicali e delle ricerche di Varvaro.
Nacque il Coro della Conca D’Oro che si esibì per oltre venti anni in moltissime manifestazioni nazionali e internazionali, raccogliendo grande consenso. Nel 1955 vinse la prima edizione del Campanile d’Oro.
Del coro, per un certo periodo, fece parte anche Irene D’Onufrio, mamma di Vito Parrinello, che aveva una voce romantica da mezzosoprano.
Irene D’Onufrio ha cantato per tutta la vita, qualsiasi nota musicale era un invito al canto. Anche la sorella, zia Cristina, moglie di Giovanni Varvaro, era a suo modo un’artista, amava recitare i versi del Ditirammu, di Giovanni Meli.
Perchè Ditirammu
Fu così che Vito Parrinello conobbe il termine Ditirammu: un adattamento in dialetto del “ditirambo” in lingua siciliana da cui lo stesso Vito prese spunto per il nome del Teatro e della Compagnia.
Da piccoli Angela e suo fratello Giovanni vivevano in una grande palazzina alla Noce, insieme ai genitori e agli zii Rosa e Luigi. Quella palazzina e il giardino circostante furono un formidabile spazio di gioco e di formazione anche per i nipoti.
Per molti anni fu tradizione ritrovarsi in salotto, nelle domeniche a pranzo e, con la tavola ancora apparecchiata, insieme ad amici artisti, suonare, cantare tutti insieme e danzare la tarantella. Questo fu lo spirito con cui Vito fondò il Teatro: accogliere amici e artisti per suonare e cantare insieme.
L’occasione di mettere a frutto gli insegnamenti di zio Giovanni si presentò nei primi anni Ottanta, quando Pippo Grammauta fondò il gruppo de “U Carritteri”.
Il gruppo si rifaceva al Coro della Conca d’Oro, sia per la ricercatezza dei costumi che per la raffinatezza delle voci e la complessità strumentale.
Con questo gruppo si sono esibiti pure Elisa e Giovanni Parrinello, partecipando a festival in giro per il mondo. Via via che si susseguivano le esibizioni si perdeva però la spontaneità delle espressioni musicali e delle ritualità popolari e Vito concluse che era necessario avviare un processo di recupero filologico delle fonti originali.
Al contempo, centrale fu per lui l’aspetto didattico, cominciò la trasmissione degli antichi saperi alle giovani generazioni.
Gli scorci di vita del passato li avevano ispirati, assieme alla frequentazione con Antonino Buttitta, antropologo e profondo conoscitore delle tradizioni popolari siciliane, e con la moglie Elsa Guggino, ricercatrice, docente di discipline etnografiche e raffinata interprete di canto popolare che negli anni ‘70 aveva fondato il Folkstudio.
I due studiosi consegnarono a Vito e Rosa alcune tra le più belle espressioni del repertorio popolare, tra cui i Triunfu pi Santa Rusulia, che loro eseguivano, come da tradizione, durante il Festino davanti alle edicole votive del centro storico; le Novene, attorno a cui nacque lo spettacolo Ninnarò. Il Presepe raccontato, nel quale ripresero, le parti di U viaggiu dulurusu del cantastorie settecentesco Benedettu Annaleru; e alcune “parti” de La Simana Santa, poi inserite nel Martorio.
Nel 1995 nasce l’Associazione Ditirammu, allo scopo di istituzionalizzare la lunga esperienza di musica, danza e canto popolari.
Successivamente Vito e Rosa sentono il bisogno di creare un proprio spazio dove esibirsi, radunare amici artisti, confrontarsi, avviare nuovi progetti culturali e di ricerca, attivare laboratori teatrali, trovare talenti e dare loro un palcoscenico.
Nasce il Teatro Ditirammu
Cercano uno spazio nel quartiere della Kalsa e, nel 1998, dopo un lungo lavoro di restauro delle ex scuderie di Palazzo Petrulla, apre i battenti il Teatro Diturammu.
Le cinque sale che lo compongono vengono arredate con suppellettili, strumenti musicali, partiture, fotografie e oggetti celebrativi della tradizione di famiglia, nella memoria e nel culto delle tradizioni popolari e dell’antico artigianato siciliano.
La sala del teatro ha appena cinquanta posti a sedere, gli spettatori si radunano e sono parte di un rito collettivo di cui Vito e Rosa sono e si sentono rispettosi officianti.
Entrambi si nutrono delle energie dal quartiere e della gente che lo popola: entrano in contatto con personaggi da cui apprendono tecniche di trasmissione orale, giaculatorie, ninne nanne, cunti, cantate, canti sacri, filastrocche e leggende popolari.
Si succedono con regolarità spettacoli di canti e danze della tradizione con un repertorio musicale che trae copiosamente spunto da alcune catalogazioni effettuate tra ’800 e ‘900 e che include canti di lavoro, preghiere, scongiuri, note d’amore, cialome della mattanza e canti dei pescatori di corallo.
La messa in scena di Triunfu, Martorio e Ninnarò diventa rituale.
Il Ditirammu è un CantoMuseo, un luogo di testimonianze dove Vito è stato amabile e amato anfitrione fino al 2017.
Dall’indomani, il testimone del filone artistico della famiglia Parrinello è passato ufficialmente nelle mani di Elisa e Giovanni, interpreti di teatro e musica, consapevoli della grande responsabilità ricevuta in eredità, tanto nei riguardi della famiglia d’origine quanto nei riguardi della cultura tradizionale siciliana.
Ancora oggi, tra spettacoli e mille difficoltà che caratterizzano, purtroppo, il mondo delle “rappresentazioni dal vivo” in generale, continuano il loro percorso di crescita artistica coinvolgendo i giovani, non solo siciliani, nello studio e nella ricerca.
C’è una famiglia ancora salda, composta da uno staff indispensabile di assistenti di ogni settore, da artisti dalla grande anima, da allievi intraprendenti, da un pubblico sognatore, dalle nipoti di Vito e Rosa, Noa Flandina, Noa Blasini e Yara Baruffato, settima generazione di questa discendenza che, insieme a Elisa e Giovanni Parrinello, ancora tiene viva la tradizione e la rinnova.
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