Secondo l’interpretazione costante della Suprema Corte, agli atti di divisione ereditaria non possono applicarsi le sanzioni di nullità previste dalla Legge n. 47/1985 e dal D.P.R. n. 380/2001
Avv. Giovanni Parisi
La divisione ereditaria, disciplinata dagli artt. 713 e segg. c.c., viene definita come la facoltà (o diritto potestativo) del coerede di porre termine alla comunione ereditaria e di ricevere la propria quota in natura ovvero in denaro. È frequente, nella prassi, la divisione ereditaria di immobili appartenenti al de cuius al momento della apertura della successione: in tale ipotesi, i singoli coeredi possono pretendere dagli altri il frazionamento del compendio immobiliare mediante assegnazione di quote (in ipotesi di divisibilità in natura), ovvero ottenendo il conguaglio in denaro conseguente alla vendita dei cespiti non agevolmente divisibili.Ma cosa succede se gli immobili oggetto di divisione non risultino conformi alle leggi urbanistiche, ovvero siano in tutto o in parte abusivi? È consentito alle parti procedere alle operazioni divisionali stipulando atti pubblici? L’articolo 17 della Legge n. 47/1985 – poi riprodotto dall’art. 46 del D.P.R. 380/2001, che ha sostituito la precedente disposizione – stabilisce che “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione o scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti, la cui costruzione e’ iniziata dopo l’entrata in vigore della presente legge, sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi della concessione ad edificare o della concessione in sanatoria rilasciata ai sensi dell’articolo 13. [omissis]” Il legislatore dunque ha inteso sanzionare con la nullità insanabile ogni atto privato di trasferimento di immobili irregolari al fine di impedirne la circolazione sul mercato. Prevedendo la norma anche la invalidità di atti inter vivos concernenti lo scioglimento delle comunioni, si è posto da tempo il problema (non soltanto di natura teorica, ma anzi soprattutto pratica) relativo alla validità o meno degli atti di divisione di immobili di origine ereditaria che siano in tutto o in parte abusivi e non sanati.
Dopo una iniziale, risalente battuta d’arresto della giurisprudenza, che applicava analogicamente le divisioni ereditarie a quelle menzionate dalla disposizione richiamata, la recente giurisprudenza della Suprema Corte ha escluso che tra le ipotesi di nullità di cui agli artt. 17 e 40 della legge n. 47/85 rientrasse lo scioglimento di una comunione ereditaria. La suddetta apertura muove dalla natura mortis causa dell’atto di divisione di immobili provenienti dalla successione a causa di morte, il che escluderebbe detta ipotesi dall’ambito applicativo dell’art. 17 della norma richiamata (nonché del correlato art. 40), che testualmente limita la nullità agli atti “tra vivi”. In particolare, la Cassazione, con sentenza n. 2313 del 2010, ha ritenuto che le predette norme comminanti la nullità, pur riguardando anche atti di scioglimento delle comunioni relativi ad edifici o a loro parti, limitino la sanzione ai soli “atti tra vivi”, con esclusione dunque della divisione ereditaria la quale, “pur attuandosi dopo la morte del de cuius, costituisce l’evento terminale della vicenda successoria e, quindi, rispetto a questa non può considerarsi autonoma” (così anche Cass. Civ., n. 14764/2005; Cass. Civ., n. 630/2003; Cass., Civ., n. 15133/2001). D’altro canto, la situazione di comunione ereditaria, lungi dal trarre origine dalla volontà dei compartecipi, prescinde da essa in ragione del fatto per cui i coeredi-comproprietari sono tali in forza di una successione (testamentaria ovvero ex lege) proveniente da un altro soggetto (il de cuius) che evidentemente a suo tempo ha posto in essere la violazione di legge: la sanzione della nullità, pertanto, non può ricadere a scapito di coloro che sono stati estranei alle vicende pregresse dell’immobile, tenuto conto anche del fatto per cui, in forza dell’art. 757 c.c., ogni coerede succede nei limiti della propria quota, considerandosi viceversa come se non avesse mai avuto la proprietà degli ulteriori beni ereditari.
Tale principio di diritto è stato recentemente ribadito dalla Suprema Corte con la sentenza del 6 ottobre 2016, n. 20041, secondo cui “la detta divisione [ereditaria] non è condizionata dalla regolarizzazione urbanistica dell’immobile di cui trattasi. Infatti, la nullità prevista dalla L. n. 47 del 1985, art. 17, con riferimento a vicende negoziali relative a beni immobili privi della necessaria concessione edificatoria, tra le quali sono da ricomprendere anche gli atti di ‘scioglimento della comunione di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti’, deve ritenersi limitata ai soli ‘atti tra vivi’, rimanendo esclusa, quindi, tutta la categoria degli atti mortis causa, e di quelli non autonomi rispetto ad essi tra i quali si deve ritenere compresa anche la divisione ereditaria, quale atto conclusivo della vicenda successoria (Cass. 28 novembre 2001, n. 15133); lo stesso principio è poi da affermare con riferimento alla nullità comminata dall’art. 40 della stessa Legge (Cass. 1 febbraio 2010, n. 2313). Ne discende che nemmeno la divisione giudiziale del compendio ereditario possa ritenersi subordinata al conseguimento, da parte di condividenti, del titolo di regolarizzazione urbanistica”.