Il modello di sicilianità, rappresentato dall’attrice tra impegno, cultura e intensità dei ruoli, rappresenta uno degli esempi più alti del cinema italiano.
di Daniela Mainenti
Suo padre desiderava per lei un futuro da avvocato, ma lei ha preferito gli isterismi del teatro. Scintillante, eclettica, Donatella Finocchiaro è un’attrice autentica, che riesce a dare il meglio di sé, sempre e in ogni circostanza. Il cinema e il teatro hanno rafforzato la sua bravura. Il teatro, specialmente, ha avuto un ruolo di rilievo nella sua vita. Inizia a farlo quando frequentava ancora la facoltà di Giurisprudenza, ma gli studi la annoiavano. Riesce a laurearsi lo stesso e comincia a frequentare uno studio legale, fino a quando, però… si rende conto della sua vera passione. E da lì comincia a dedicarsi anima e corpo al palcoscenico.
Donatella, di cosa si sta occupando in questo momento?
Ho appena finito un lavoro teatrale rappresentato recentemente al teatro Massimo di Palermo, Sette storie per lasciare il mondo, con la regia di Roberto Andò. Adesso andrò in Belgio a presentare un film che ho fatto l’anno scorso, con la produzione dei fratelli Dardenne e la regia di Stijn Coninx, sulla storia di Rocco Granata. Successivamente, ci sarà la proiezione del film al festival di Roma che darà il via all’uscita italiana dello stesso. Presto, inizierò a girare il film di Giulio Base, Mio papà, con Giorgio Pasotti come attore e sceneggiatore. Inoltre, ci sarà l’uscita del film che ho girato quest’estate, Il bambino cattivo con la regia di Pupi Avati, che uscirà in Tv sulla Rai per la giornata mondiale del bambino.
Molta cinematografia quindi. Lavori teatrali in progress?
No, per il momento non vi sono previste altre rappresentazioni. Con il teatro , al momento preferisco evitare, perché mi blocca per molto tempo e mi impedisce di fare film.
Alla base delle sue scelte c’è sempre un’attenzione a temi di grande spessore sociale. E’ una scelta che oggi un’attrice può permettersi, considerata l’esiguità delle risorse?
Per la verità mi viene abbastanza naturale scegliere dei temi impegnati e fare film che abbiano un forte risvolto sociale. Credo che sia un dovere per un attore o un regista affrontare tematiche di forte impatto sociale.
Pare che sia un buon momento per la produzione cinematografica in Sicilia; la nostra Isola è sempre più sede di location cinematografiche. Che ne pensa?
Si, è vero. Ma è sempre troppo poco. Dal punto di vista della natura, dell’architettura e della luce, la Sicilia possiede delle scenografie naturali per il cinema che non esistono da nessuna altra parte. Per questo la nostra Film Commission e il nostro governo regionale dovrebbero fare molto di più per sfruttare questa terra anche per il cinema, che è una fonte di guadagno con un buon ritorno economico. Fare film in Sicilia è un opportunità che dà lavoro a tutti, è un mercato che porta un indotto e un incremento importante anche in settori distanti dal cinema.
Lei si sta occupando di regia in qualche documentario. E’ un’attività che intende incrementare nel tempo?
Si, ho fatto un documentario su Catania dal titolo Andata e ritorno, diretto e prodotto da me. Mi sono sentita quasi come i debuttanti allo sbaraglio ma, devo dire, che ha riscontrato un grande apprezzamento, soprattutto tra il pubblico.
Catania sembra molto sveglia a recepire istanze di crescita
Ma devo dire che ultimamente, pure Palermo è abbastanza sveglia. Dal punto di vista teatrale, cinematografico e documentaristico, vi è un movimento che a Catania in questo periodo non c’è
Certo ai Cantieri Culturali, la scuola di cinematografia sta funzionando molto bene
Sì. Di recente, hanno avviato questo mercato internazionale del film documentario che si è svolto tutto a Palermo. Per non parlare della scuola del Centro Sperimentale che testimonia un certo fermento nelle arti cinematografiche e visive che a Catania si sognano
E’ cosi facile passare dal ruolo di attore a quello di regista?
A me è venuto naturale, ma certo è stata un’esperienza completamente diversa ed esaltante. L’attrice è diretta e mette la propria creatività nel personaggio, ma il regista dirige l’opera. E’ un altro modo di vivere il cinema, molto carico di responsabilità. Il lavoro del regista è così fagocitante che tu non puoi pensare ad altro. Il regista deve tenere le redini di tutto il progetto.