Con sentenza n. 7668 del 03/04/2020, la Prima Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto contraria all’ordinamento italiano la domanda di ” rettificazione” dell’atto di nascita di un minore nato in Italia, mediante l’inserimento accanto al nominativo della madre biologica, anche di quello della madre “intenzionale” che in precedenza aveva prestato il proprio consenso alla pratica all’estero della tecnica della procreazione medicalmente assistita, vietata allo stato per persone dello stesso sesso.
Rigettata sia in primo grado che in sede di reclamo la domanda rettificazione dell’atto di nascita di un minore per l’impossibilità di inserire, accanto alla madre biologica, anche quella c.d. “intenzionale” (ossia che abbia prestato il proprio consenso a che la partner si sottoponesse a fecondazione medicalmente assistita all’estero), una coppia italiana ricorreva in Cassazione, ritenendo sussistente la necessità di ripristinare “la corrispondenza dell’atto di nascita con la realtà generativa” del figlio, mediante l’esatta indicazione di entrambi i genitori da parte dell’ufficiale di stato civile, a prescindere dal sesso dei componenti del nucleo familiare.
La Suprema Corte, nella sentenza in commento, rigetta il ricorso ritenendo infondate le doglianze mosse, sulla scorta di una interpretazione letterale dell’art. 5, legge n. 40/2004, in forza del quale è consentito accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita solamente da parte di “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi”, con esplicita esclusione di quelle composte da soggetti dello stesso sesso.
Fa testo l’Ordinamento italiano
Tale divieto, ritenuto peraltro conforme a Costituzione dalla sentenza n. 221/2019 della Consulta (negando in via di principio un “diritto alla procreazione” con metodi diversi da quello naturale in assenza di un modello familiare composto da una madre e un padre), è attualmente vigente nell’ordinamento italiano, e dunque, afferma la Cassazione, è applicabile agli atti di nascita formati o da formare in Italia, a prescindere dal luogo ove sia avvenuta la pratica fecondativa.
Preminente l’interesse del minore
Né, d’altro canto, possono assimilarsi in via interpretativa le ipotesi, in vero differenti, di PMA e di adozione di minorenni: quest’ultima, in particolare, presuppone l’esistenza in vita dell’adottando, ed è funzionalizzata non già a dare un figlio ad una coppia, bensì a fornire una famiglia ad un soggetto che ne sia privo, ritenendo preminente l’interesse del minore (già in vita) a mantenere relazioni affettive già di fatto instaurate e consolidate. Diversamente, per quanto attiene alla procreazione medicalmente assistita, il legislatore ha inteso garantire al nascituro di venire ad esistenza già presso un nucleo familiare percepito, almeno in astratto, come genitorialmente più idoneo: “la legge prevede, infatti, una serie di limitazioni di ordine soggettivo all’accesso alla PMA, alla cui radice si colloca il trasparente intento di garantire che il suddetto nucleo riproduca il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una madre e di un padre”, rimanendo viceversa escluso, dall’intento legislativo, che “la PMA possa rappresentare una modalità di realizzazione del desiderio di genitorialità alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera autodeterminazione degli interessati” (Corte Cost., n. 221/2019).
Da ciò deriva, dunque, che una sola persona abbia il diritto di essere menzionata come madre nell’atto di nascita, in virtù di un rapporto di filiazione che presuppone il legame biologico con il figlio, e ciò a prescindere dalla liceità della pratica nel Paese in cui essa sia stata espletata, non essendo allo stato ammissibile che il figlio nato in Italia possa essere registrato allo stato civile con doppia maternità.
Avv. Giovanni Parisi