Un dato su tutti: nessuno dei partiti tradizionali si appresta ad affrontare le prossime elezioni amministrative comunali con il proprio simbolo. I grafici, designers, esperti di comunicazione, sono fervidamente al lavoro per garantire l’istinto di sopravvivenza dei vecchi simboli
di Mario Guglielmino*
Ciascun candidato rimarca differenze di visione, preferendo spesso prendere le distanze dal vecchio sistema. L’insofferenza e la diffidenza dell’elettorato verso consunte icone di apparati di potere politico induce i leaders e le segreterie a tentare questa strada, per cercare un rapporto nuovo con i cittadini. La domanda, ovvia e doverosa, è se questa operazione di lifting sia sincera o se invece preluda all’ennesima operazione di facciata, destinata a far smarrire ulteriormente gli animi già incerti dei cittadini. Un dato positivo, effetto di questa corsa ad accaparrarsi l’etichetta partecipativa e civica per scacciare i fantasmi della partitocrazia e della vecchia politica, è la presenza notevole, all’interno dei diversi schieramenti, di candidature provenienti dal mondo del civismo, dell’attivismo, del volontariato, dell’impegno sociale.
Forse per la prima volta, dopo anni, è in atto una sorta di formazione di un doppio binario, lungo il quale, accanto alle candidature più politiche e rappresentative di gruppi di interesse tradizionalmente connotati, si affacciano e si propongono in pari misura molti nuovi profili. In alcuni casi è proprio la lista e il candidato sindaco a rappresentare in modo radicale questa esigenza di rappresentanza che viene spesso definita di “democrazia dal basso”. Se destra e sinistra, infatti, non sembrano ormai trovare giustificazione e forza nelle ideologie, la vera differenza sarà data dalla qualità della partecipazione dei diretti interessati, dalla possibilità e dalle idee che i cittadini potranno offrire direttamente per la formazione di un programma e per la gestione del bene comune.
Ecco così la corsa di ciascuno schieramento a definire programmi che si tende a definire come partecipati, a chiamare i cittadini più volte qui e là a riunioni e assemblee consultive e propositive.
Questo gradito vento della partecipazione e questa attenzione alla base, a dire il vero, sarebbe stato ancora più gradito come modus operandi abituale nel tempo dell’ordinaria amministrazione, e non invece come panacea alla fine di un percorso e all’inizio di una nuova chiamata alle urne.
Da questo punto di vista, per molti sarà necessario uno sforzo notevole per fare in modo che il nuovo approccio sia vissuto dall’elettorato come proposta di sostanza, e non invece strumentale all’acquisto o conferma del consenso. Da altre parti, però, l’istanza pare davvero sostenuta da una storia, spesso silenziosa e dietro le quinte ,fatta di conoscenza del territorio e delle sue problematiche ,grazie alla passione che semplici cittadini,magari col sostegno di formazioni sociali, gruppi di volontariato, di sensibilizzazione e azione su determinati temi, portano avanti da diversi anni, e spesso senza riconoscimento alcuno.
La soluzione partecipativa, civica, appare come l’unica strada da preferire per fare in modo che i due sistemi ormai autoreferenziali della politica e della burocrazia siano rimessi in grado di lavorare proficuamente ed efficacemente per il bene comune. L’impegno civico, rinnovando la politica, può imprimere dal basso quel movimento critico e propositivo che sia motore attivo di un vero cambiamento, e costituendo da pungolo e anello di congiunzione col sistema dell’apparato burocratico (altra grave palla al piede per la ripresa ) costituisce l’unica strada per rendere nuovamente funzionali, e non sterili conflitti di attribuzioni e di poteri, i rapporti dei soggetti politico istituzionali tra loro e con i cittadini.
Il cambiamento culturale sembra comunque avviato.
* Voci Attive- Palermo