“Benvenuti nel deserto del reale” avrebbe detto Žižek, commentando le elezioni che In Europa hanno confermato il trend negativo dei votanti e il vuoto programmatico dei partiti. Ma, al di là dei proclami, il confronto elettorale ha messo in campo uno scontro sotterraneo su posizioni inespresse e, soprattutto, ha confermato il disincanto degli europei, alla deriva, tra stagnazione economica e declassamento sociale.
La prima. Fuori dall’Europa i non europei. Il che, denuncia il fallimento delle politiche di integrazione nonostante il fatto che l’Europa, solo per citare un criterio economico, avrebbe un urgente bisogno di forza lavoro e di invertire il trend della bassa natalità e dell’invecchiamento crescente.
La seconda. Europa, solo se favorisce e difende gli Stati nazionali. Il che contrasta con la globalizzazione, l’esigenza di creare un mercato unico occidentale e l’urgenza di definire uno Stato europeo in grado di sostenere con direttive e legislazioni europee coerenti lo sviluppo multinazionale delle imprese e dei mercati, garantire una politica estera ed esprimere una visione politica.
La terza. Difesa del lavoro e della produzione europea (per esempio agricola e manifatturiera), nonostante il lavoro e le produzioni europee (a meno che non si tratti di prodotti di lusso) non siano competitivi sui mercati mondiali. Questo, quando devono rispettare diritti e costi sociali (la stessa situazione che determinò la crisi dell’URSS quando l’economia piano, burocratica e statale non poteva competere con il capitalismo).
La quarta. Il neoliberismo, fantastico per le imprese, è una tragedia per le masse che, in mancanza di uno Stato che difenda gli ultimi dalla crisi e redistribuisca le risorse, determina una società senza tutela di fronte al mercato e al capitalismo privato, in cui solo “uno su mille ce la fa”.
La quinta. La crisi dei rapporti con la Russia è stata subìta e ha determinato una crisi energetica senza precedenti che ha colpito innanzitutto la Germania, e ha prodotto il rischio di una terza guerra mondiale, le cui ragioni non sembra siano state comprese pienamente.
Meno della metà degli italiani al voto
Una ragazza, commessa in un centro commerciale, durante la pausa pranzo, parlando con un’amica, affermava: “Non vado a votare, è inutile, i miei soldi finiscono al 15 del mese, e poi devo arrangiarmi, con un figlio piccolo. Dove andremo a finire? Sarà sempre peggio”.
Per la prima volta, alle elezioni in Europa, meno di un italiano su due è andato a votare (49,69%)
Nel resto d’Europa l’ondata sovranista avanza e travolge Emmanuel Macron e Olaf Scholz, colora di nero l’Austria ma non sfonda al Parlamento Ue, dove la cosiddetta “maggioranza Ursula”, composta dai partiti filoeuropeisti, per il momento, tiene.
Una maggioranza dei partiti di destra non c’è; tuttavia, in Germania l’ultradestra di Afd scavalca i socialdemocratici del cancelliere Scholz, mentre in Austria il partito di estrema destra Fpo è il più votato.
Lo scenario è simile a quello degli anni venti del Novecento che condussero al nazismo e alla Seconda guerra mondiale. Anche allora, alla base, c’era una profonda crisi economica e sociale, in quel caso, della Germania, umiliata dall’accordo di Versailles. Anche allora si trovò il nemico perfetto nell’altro, nel popolo ebraico, così come oggi i nemici sono gli immigrati, e anche allora si immaginarono campi fuori della Germania e ipotesi di deportazioni in Madagascar, come oggi, in Ruanda e in Albania.
Il voto in Italia
Fratelli d’Italia è al 28,8 per cento dei consensi, una percentuale più alta di quella ottenuta alle elezioni politiche del 25 settembre 2022. Rispetto a due anni fa, però, l’affluenza alle urne è stata più bassa: a queste elezioni europee ha votato il 49,7 per cento degli elettori, meno di uno su due, mentre alle politiche votò quasi il 64 per cento, la percentuale comunque più bassa di sempre nella storia repubblicana.
Al secondo posto, il Partito Democratico con il 24,1 per cento dei voti; al terzo, il Movimento 5 Stelle con il 10 per cento. Questa percentuale è più bassa rispetto al 16 per cento circa a cui era dato due settimane fa il movimento.
Rispetto alle elezioni politiche del 2022
Forza Italia supera la Lega e prende il 9,6 per cento dei voti, mentre la Lega, che nelle liste aveva alcuni candidati dell’Unione di centro (UDC), si ferma al 9 per cento.
Tra le altre liste, solo quella di Alleanza Verdi-Sinistra, ha ottenuto un buon risultato, raccogliendo il 6,7 per cento dei consensi.
La lista “Stati Uniti d’Europa”, formata da Più Europa e Italia Viva, si è fermata al 3,7 per cento, mentre Azione di Carlo Calenda al 3,4 per cento e non eleggeranno parlamentari europei visto che non hanno superato la soglia di sbarramento fissata al 4% .
Tra gli eletti, il leader di Fi Antonio Tajani, candidato in quattro delle cinque circoscrizioni, ha incassato 395.227 preferenze. Elly Schlein, che correva nelle Isole e al Centro, nella prima circoscrizione è stata scelta da 84.719 cittadini, mentre nella seconda da 121.818, per complessivi 206.537 voti. Ilaria Salis, candidata nel centronord e nelle Isole, ha avuto 176.415 preferenze.
Mimmo Lucano, infine, con 190.311 suffragi, distribuiti in quattro circoscrizioni (non era in lista solo al centro), è risultato il primo in Avs in tre circoscrizioni e, secondo, dietro a Salis, nelle Isole.
Il voto in Europa
In tutta Europa la destra e l’estrema destra avanzano pesantemente, tanto da provocare terremoti politici in molti paesi. In Francia, il presidente Emmanuel Macron scioglie l’Assemblea nazionale e indice nuove elezioni anticipate.
In Germania, la destra estrema di Alternative für Deutschland (Afd) sorpassa il Partito socialista del cancelliere Olaf Scholz, che diventa il terzo partito con il 14%. In Austria, la destra estrema è il primo partito. L’Italia elegge 76 eurodeputati su un totale di 720 componenti del Parlamento europeo
“Non erano tutti criminali“
L’ondata di estrema destra in Europa apre a revisionismi e a riabilitazioni che sembravano impensabili in Europa. Tuttavia, dopo le parole «non erano tutti criminali», pronunciate da Maximilian Krah, arriva la decisione dei francesi di “Rassemblement National” di terminare il rapporto con AfD. Lo stesso partito di estrema destra tedesco prende le distanze dal candidato e lo bandisce dai dibattici pubblici
La decisione, soprattutto per rassicurare l’elettorato, è stata presa in una riunione della presidenza federale. Ad annunciarlo, il “Rassemblement National (Rn)” di Le Pen che non vuole più collaborare con l’AfD, ovvero, in uno stesso gruppo al Parlamento europeo dopo le controverse dichiarazioni fatte da Krah sulle Ss a Repubblica.
Lo stesso Krah, che peraltro era già stato tolto dai video e dai manifesti dell’AfD a causa dell’arresto di un suo collaboratore per sospetto spionaggio in favore della Cina, ha annunciato su X che rinuncia ad altre apparizioni elettorali e che lascia il comitato esecutivo federale del suo partito.
Al quotidiano Welt ha poi confermato: «Prendo atto del fatto che dichiarazioni oggettive e differenziate da parte mia sono state strumentalizzate come pretesto per danneggiare il nostro partito. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è una discussione su di me. L’AfD deve mantenere la sua unità. Per questo motivo rinuncio immediatamente a ulteriori apparizioni in campagna elettorale e mi dimetto da membro del consiglio federale».
La dirigenza dell’AfD ha, invece, espresso il desiderio di continuare la cooperazione con l’Rn di Le Pen, riferisce la Dpa, ricordando che il partito è attivo al Parlamento europeo insieme a Le Pen, alla Lega e all’Fpoe (il Partito della Libertà Austriaco) nella frazione Id (Identità e Democrazia), anche se da tempo ci sarebbero disaccordi tra la formazione tedesca e quella francese.
Le cause di una deriva xenofoba e protezionistica
L’Europa che si sposta verso destra, e addirittura in alcuni casi, verso l’estrema destra, è un processo in atto da anni, ed è certamente la conseguenza di alcuni gravi errori politici della sinistra e dell’area moderata.
Ma innanzitutto, c’è il peccato originale di una Europa incompiuta, priva di legittimazione democratica, con un parlamento che non è un parlamento perché non può legiferare.
Quindi, ci sono i trent’anni di neoliberismo e di smantellamento del welfare che hanno sottratto servizi e diritti, soprattutto alla popolazione europea più vulnerabile, creando sacche estese di povertà estrema, basti pensare alle criticate riforme delle pensioni in Italia e in Francia.
Non è stata irrilevante nemmeno la costante contrazione del potere d’acquisto dei salari, soprattutto in alcuni Paesi come l’Italia, dove gli stipendi sono i più bassi d’Europa e dove non crescono dagli anni ‘90.
A tutto questo si è aggiunto una progressiva precarizzazione del lavoro, con contratti a termine, collaborazioni occasionali, o incentivando il lavoro autonomo. Con la conseguenza, peraltro, di un incremento dei morti sul lavoro, in gran parte a causa dell’inosservanza delle procedure di sicurezza pur di ridurre i tempi di produzione.
L’automazione del lavoro manuale, ma anche di quello informatico cognitivo, con la robotica e l’intelligenza artificiale, ha fatto il resto, in termini di esclusione dal lavoro e declassamento sociale.
Questa diffusa fragilità sociale in tutta Europa, ovviamente, ha sviluppato un’altissima conflittualità riscoprendo pregiudizi di razza e interreligiosi. Ad alimentarli, partiti sovranisti e populisti che hanno indirizzato la rabbia sociale contro profughi e immigrati, selezionati come capri espiatori di una crisi sociale ed economica che, in realtà, ha ben altre spiegazioni.
La globalizzazione dei mercati e la fluttuazione degli scambi, per esempio, hanno reso non competitive le imprese europee rispetto a quelle cinesi, o comunque extraeuropee. Con la conseguenza che le multinazionali hanno delocalizzato la produzione in aree e Paesi con costi del lavoro e sistemi fiscali più vantaggiosi e molti imprenditori hanno abbandonato la produzione per investire sui mercati finanziari.
L’indebitamento pubblico e la riduzione delle funzione strategiche hanno, infine, determinato una profonda crisi politica ed economica degli Stati Nazione, incapaci a garantire una redistribuzione delle risorse per i servizi pubblici.
Ultime ma non ultime… in Europa
L’ostinata volontà di protrarre la guerra in Ucraina con continui armamenti, l’avanzamento della Nato nel nord-est che ha inglobato Finlandia e Svezia, l’escalation con forniture di missili e l’ipotesi di inviare istruttori francesi in Ucraina, insieme al genocidio della popolazione palestinese a Gaza, senza che nessuno l’abbia impedito.
Queste due crisi hanno comunicato agli europei, i quali si erano inutilmente espressi contro la guerra in Ucraina e contro la strage in Palestina, che tutto fosse possibile e giustificabile con la forza delle armi ed esercitando con cinismo il potere politico.
Anche delegittimando con disinvoltura i tribunali internazionali o l’Agenzia per i diritti umani dell’ONU. Questo superamento dei limiti etici e democratici da parte degli Usa, di Israele e dei Governi europei. ha fornito la spallata finale per normalizzare le ideologie autoritarie e xenofobe che soffiano contro l’ipotesi di una Europa federale e che, invece, sollecitano la difesa degli interessi nazionali.
La constatazione che rimane da fare è che forse sia troppo tardi per tornare indietro. I venti guerra a lungo evocati, l’idea del nemico a lungo coltivato, hanno prodotto questa deriva di intolleranza e questo rischio autoritario all’orizzonte. Il dubbio è se tutto questo non lo si sia deliberatamente voluto pur di rendere accettabile una guerra, utile, soprattutto, agli USA, da cui far ripartire un possibile sviluppo e ribadire il dominio unilaterale finanziario del dollaro sulle altre monete di scambio. Ecco l’Europa, benvenuti nel deserto del reale.
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