Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Fattori di rischio e terapie dei linfomi del giovane

Il linfoma di Hodgkin è il linfoma più frequente nel giovane tra i 20 e 30 anni. Vediamo quali sono i fattori di rischio e le terapie.

di Fondazione Italiana Linfomi

I linfomi sono neoplasie ematologiche caratterizzate dalla proliferazione incontrollata di cellule responsabili del mantenimento dell’efficienza del nostro sistema immunitario: i linfociti B, T o le cellule NK. Queste cellule si accumulano nei linfonodi e/o in altre sedi non linfonodali e si evidenziano come tumefazioni superficiali o masse profonde.  I linfomi si distinguono in Hodgkin o non Hodgkin, possono colpire diverse fasce della popolazione, compresi i giovani.

L’importanza di una tempestiva diagnosi per i linfomi del giovane

La diagnosi viene posta in seguito a biopsia linfonodale e si procede successivamente con la stadiazione, cioè con l’esecuzione di quelle indagini volte a valutare l’estensione della malattia (TAC, PET, eventualmente Biopsia osteomidollare e rachicentesi).

La diagnosi precoce, insieme allo sviluppo di terapie sempre più mirate e al contributo della ricerca scientifica, ci consentono di aumentare il numero di risposte favorevoli, rendendo questo tipo di patologia sempre più curabile e talora eradicabile.

Hodgkin

Il linfoma di Hodgkin è il linfoma più frequente nel giovane tra i 20 e 30 anni.

I fattori di rischio più conosciuti sono la pregressa infezione da EBV e situazioni di immunodepressione. Oltre al riscontro di tumefazioni linfonodali superficiali e/o masse profonde, possono essere presenti sintomi vaghi quali astenia, perdita di peso, sudorazioni prevalentemente notturne.

Gli esami di laboratorio possono evidenziare un incremento dei globuli bianchi e degli indici di infiammazione quali la VES (velocità di eritrosedimentazione) e la PCR (proteina C reattiva).

Contratare i linfomi nel giovane

La terapia di prima linea è costituita da un’associazione polichemioterapica (ABVD) negli stadi I, II e III, mentre nello stadio IV è prevista l’associazione di un anticorpo monoclonale, Brentuximab, alla polichemioterapia (AVD) che consente di migliorare i tassi di risposta completa (fino al 70-80%).

Tuttavia, esiste una piccola fetta di popolazione che si dimostra resistente al trattamento di prima linea e per la quale può rendersi necessaria una intensificazione della chemioterapia e il successivo trapianto autologo. Per i pazienti refrattari a più linee, è prevista la somministrazione di farmaci biologici che interferiscono con il microambiente tumorale quali il Nivolumab e Pembrolizumab.

Non Hodgkin

Per i linfomi non Hodgkin invece bisogna effettuare una suddivisione in linfomi aggressivi ed indolenti.

Quelli aggressivi necessitano di una rapida terapia citoriduttiva, costituita nella grande maggioranza dei casi (linfomi B) dall’associazione di chemioterapia e anticorpi monoclonali che consentono di ottenere una remissione completa fino al 70% dei casi.

Per la restante quota dei pazienti che si dimostrano refrattari alla terapia di prima linea, nei linfomi B aggressivi, se vengono rispettate alcune condizioni, vi è la possibilità di ricorrere ad una terapia particolare per il suo meccanismo, rappresentata dalle CAR-T, cellule ingegnerizzate capaci di potenziare il nostro sistema immunitario verso la distruzione delle cellule malate. Inoltre, sono ora disponibili altri approcci terapeutici con farmaci biologici quali nuovi anticorpi monoclonali (polatuzumab, tafasitamab, loncastuzimab) e anticorpi bispecifici (glofitamab e epcoritamab), tuttavia nei casi di malattia refrattaria ai trattamenti disponibili, per il paziente giovane in particolare si ricorre ancora oggi al trapianto allogenico.

I linfomi Indolenti (prevalentemente B) si caratterizzano per la bassa frazione di proliferazione e spesso non necessitano subito di una terapia citoriduttiva.
La terapia di prima linea è rappresentata dall’associazione di chemioterapia tradizionale (CHOP o Bendamustina) con un anticorpo monoclonale (Rituximab o Obinutuzumab) con possibilità di ottenere una remissione completa in oltre il 70 % dei casi.

Tuttavia, tali patologie tendono a recidivare nel tempo e alla ricaduta si utilizzano farmaci intelligenti a bersaglio, capaci di inibire i meccanismi di replicazione cellulare (Ibrutinib, Zanubrutinib)

Gli effetti collaterali delle terapie

Le terapie tradizionali e quelle a bersaglio molecolare non sono, tuttavia, prive di effetti collaterali nel breve e nel lungo termine. Le complicanze cardiovascolari (scompenso cardiaco correlato all’uso delle antracicline) rappresentano quelle più temibili e potenzialmente in grado di ridurre l’aspettativa di vita. Da qui, l’importanza di sottoporre i pazienti a regolari programmi di screening anche all’interno di protocolli di studio volti alla sorveglianza cardiologica e alla promozione di stili di vita sani (Piano di sorveglianza della lungo sopravvivenza implementato con stili di vita sani per persone lungo viventi al linfoma).

In conclusione, soprattutto nel paziente giovane, la Ricerca ha fatto grandi passi in avanti per garantire risposte sempre più profonde e durature, riducendo gli eventi avversi tradizionalmente noti ed associati alle chemioterapie (nausea, vomito, alopecia) e dirigendosi sempre più frequentemente verso una medicina di precisione.
Al fine di garantire risultati sempre più incoraggianti, la partecipazione dei pazienti affetti da linfoma all’interno di trials clinici rimane di fondamentale importanza.

Articolo curato dal Dott. Francesco Rotondo
Medico Ematologo presso l’Ospedale degli Infermi di Rimini
Componente del Comitato di Redazione FIL

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