Oltre vent’anni fa, nel 1991, usciva un compact disc dal titolo “Li varchi a mari”. L’autore e interprete era Francesco Giunta, un artista eclettico che due anni dopo avrebbe lasciato un posto sicuro all’ENEL per dedicarsi esclusivamente alla musica
di Pippo La Barba
Quel giovane ne ha fatta di strada, avendo tra l’altro il merito di aver recuperato dieci brani eseguiti dalla grande Rosa Balistreri, che erano incisi in vinile, riconvertendoli in CD attraverso l’etichetta discografica “Teatro del Sole” da lui fondata nel 1996. La pubblicazione dei brani nel catalogo di “Teatro del Sole” procurò a Francesco Giunta un’accusa da parte del nipote della Balistreri di appropriazione dei diritti editoriali dalla quale è stato pienamente scagionato con sentenza definitiva perché “il fatto non sussiste”.
A seguire, questi i titoli più importanti di Francesco Giunta: nel 1992 “Per terre assai lontane” (BMG Ariola), nel 1994 “Porta Felice” (BMG Ariola), nel 1997 “E semu ccà” (Teatro del Sole), nel 2012 “Era nicu però mi ricordu” (Made in Sicily). Da segnalare anche: la composizione di testi e musiche di “Storia di Laura e Ludovico” sulla vicenda della Baronessa di Carini, rappresentata nel 95/96, e la pubblicazione nel 2002 con “Teatro del Sole” della suite scritta e diretta dal Maestro Ennio Morricone “De sa terra a xelu”, la cui partitura centrale è l’Ave Maria tradizionale in lingua sarda cantata da Clara Murtas. Ultimamente Giunta si sta dedicando alla composizione ed esecuzione di musiche per il teatro. A marzo al teatro Crystal di Palermo ha duettato con Michele Perricone nella piece “Coccitacca”; il 6 maggio prossimo sempre a Palermo debutterà al teatro Jolly nello spettacolo “Calia e simenza” con Giovanni Nanfa.
Incontro Francesco Giunta nella sua bella casetta al Villaggio Ruffini. “Sono nella musica – afferma – da quando avevo meno di quarant’anni e mi sono licenziato dall’ENEL per dedicarmi totalmente a questa nuova attività”.
Cosa ti ha spinto verso la musica?
Giovanissimo ho incontrato la musica siciliana, dopo una breve infatuazione per i cantautori in lingua (De Andrè, Tenco, Lauzi, Guccini, Gaber ecc…). I miei punti di riferimento sono stati Busacca e Rosa Balistreri. Così ho incominciato a scrivere in siciliano, scelta definitiva.
Perché la musica siciliana non è valorizzata?
Perché in Sicilia non ci sono state politiche adeguate a tal fine. Basti pensare che la Sicilia è l’unica regione a statuto speciale che non ha previsto lo studio del dialetto e della musica popolare. In realtà le risorse sono state, o distribuite con criteri clientelari, o destinate ai grandi eventi e alle produzioni non siciliane.
Non sarà anche perché il nostro patrimonio musicale ci è arrivato per tradizione orale?
Questo è un luogo comune che non corrisponde alla realtà. In effetti esistono fior di raccolte codificate di musiche e canti siciliani. Ti cito il Corpus di musiche popolari di Francesco Favara e prima ancora il Pitrè, il Cocchiara, Leonardo Vigo, che nel 1870 pubblicò una raccolta di canti popolari siciliani. La Sicilia ha titolo per fare del canto in dialetto la propria bandiera.
Il siciliano è una lingua o un dialetto?
Il professor Giovanni Ruffino, studioso emerito che dirige il Centro di stuti filologici e linguistici siciliani, sostiene che il dialetto è più importante della lingua. Pirandello definiva il dialetto la lingua della passione, l’italiano quella della ragione, quindi il dialetto consente di comunicare con immediatezza le emozioni.