Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Fulvio Di Piazza: L’Isola nera e la mia visione artistica

di Redazione

La condizione di ‘isolamento’ in cui la maggior parte degli  artisti vive, paragonabile all’abbandono in cui versa questa regione. Uno status descritto in una mostra conclusasi recentemente. Intervista all’autore

di Floriana Spanò*

 

Si e’ conclusa da circa  due mesi la mostra di Fulvio Di Piazza al museo “Gam” di Palermo dal titolo “L’Isola nera”.

Il nome della mostra è stato scelto dall’artista in riferimento alla scultura che  è stata installata per la mostra nell’ultima stanza della galleria e che rappresenta la nostra terra, una Sicilia vestita di nero.

E’ questa  la condizione di “isolamento” in cui la maggior parte degli  artisti vive, paragonabile all’abbandono in cui versa questa regione, abbandonata, isolata, degradata, nonostante da sempre vista  come una terra straordinaria per il suo inestimabile patrimonio culturale, particolarmente ospitale per le invidiabili condizioni climatiche che la caratterizzano

Terminata la mostra e’ tempo di bilanci. Chiediamo all’artista se “L’Isola nera” sia stato per lui un progetto “riuscito”, anche rispetto a quello che si era prefissato.

“Penso che la mostra abbia avuto un buon riscontro ed una grande affluenza durante i  tre mesi di programmazione.

Per quello che riguarda l’aspetto della comunicazione  di un messaggio di fondo, ritengo che una mostra non abbia  mai un progetto a-priori da trasmettere perche’  nasce nel luogo adibita ad  essa. Sono i miei  lavori che devono creare qualcosa che funzioni principalmente a livello visivo e credo che cio’ che e’ venuto fuori  in questa  mostra sono  i temi  a me cari come quelli ecologici.

Un percorso, pensato per questo evento, che portava l’osservatore da una dimensioni onirica e surreale delle prime sale,  dove gia’  certi temi a me cari risultavano evidenti, come quelli ecologici, fino alla terza sala espositiva in cui l’ isola nera diventava qualcosa di piu’ rispetto all’oggetto  rappresentato dall’installazione montata .

L’immagine di una Sicilia nera, stratificata, coperta di materia lavica, fangosa,  il grigio del murales  e le luci soffuse hanno reso il contesto drammatico nel suo complesso.

E’ scaturito un sentimento che sta all’origine del mio lavoro che è’ nero; potrebbe sembrare un sentimento di matrice romantica,  ma alla base c’è sicuramente una  visione nera  della realtà e del futuro .

La  realtà’ è espressa attraverso un linguaggio onirico e fantastico ma rappresenta la nostra contemporaneità, il senso di disfacimento in cui viviamo e che e’ sotto gli occhi di tutti con gli sconvolgimenti  sociali e ecologici a cui assistiamo.

Questa e’ la base della mia ricerca personale e tecnica. Cerco  di esprimere questo mio sentire attraverso   immagini sempre più’ reali ed impressionanti possibili.

 Una ricerca  che tenta di sfondare con la pittura la superficie e farle raccontare delle storie.

Penso che il messaggio che avevo in mente sia arrivato forte e chiaro. L’emozione è arrivata  e questo è quello che più mi interessa: sapere che  l’osservatore è rimasto colpito.

Il riscontro piu’ grande nel mio lavoro e’ infatti proprio quando riconosco che il fruitore i ha colto  nelle mie opere l’emozione,il sentimento che ha contraddistinto quel quadro ,il sentimento che ci sta dietro, spunti e riflessioni, anche se diversi dai miei. E’ importante  riuscire  a caricarlo di emozioni… spero che arrivi la  così’ detta  “botta allo stomaco” che ti arriva e ti spiazza.

 Sono felice di aver potuto realizzare questa installazione nella citta’ in cui vivo e lavoro, perchè tutti i riferimenti e suggerimenti visivi nascono e partono proprio da questa terra e qui’ sono tornati. Questo ha reso la mostra per me ancora piu’ sentita .

D’altronde anche lo spazio che mi ha ospitato e’ uno spazio particolare, uno spazio museale con caratteristiche differenti da una galleria.”

Chiediamo a Fulvio se questa esperienza abbia cambiato o meno qualcosa nel suo modo di fare arte.

“Certamente. Considero la mostra una tappa di cui fare  bagaglio per il futuro e penso che dall’ inaugurazione in avanti  non potrò’ mai più’ vedere la mia pittura una cosa separata rispetto a questa ultima esperienza installativa.

Questa e’ stata la prima volta che ho creato una scultura, un’ esperimento per cominciare a  manipolare la materia tridimensionale.

Ho lavorato su di lei un intero anno, scontrandomi con le difficoltà’ del caso, ma con dinamiche non molto differenti da quelle di un quadro.

E poi ho vissuto questa mostra come un modo per confrontarmi  con gli altri. Devo sempre ringraziare  tutti quelli che mi  hanno aiutato a realizzarla, che si sono fermati ad aiutarmi a sostenermi, come Alessandro Signorino con cui spesso mi sono confidato e confrontato .

Da questa esperienza ho capito che esiste un momento in cui  ho bisogno di essere da solo e concentrarmi sul mio lavoro ma che ho anche bisogno del confronto con qualcuno che con intuito, visione pulita ed intelligenza sa farmi vedere le cose in maniera diversa, da un altro punto di vista.”

Domandiamo all’artista se, secondo lui,  c’è qualcosa che non è’ stato capito durante la mostra della sua pittura.

“Ho riflettuto molto su una certa parte della critica che ha definito la mia pittura di “superfice” piuttosto che di “profondità”.

Ho cercato di mettere insieme i tasselli dagli imput raccolti per capire meglio e sono giunto alla conclusione che e’ giusto parlare di superficie….  ma non di  superficialità’.

La superficie del quadro la  crei tu con la pittura sulla quale utilizzi i tuoi codici pittorici, metti  in moto dei meccanismi che partono dall’anima con un percorso che dal braccio giunge alla tela, con delle soluzioni  solo tue, una propria texture pittorica.

La superficie del quadro diventa la grammatica con la quale il pittore dipinge il quadro; la lettura di questo ultimo ha un importanza secondaria, perché pochi riescono a leggere in fondo come chi lo ha creato, eccetto, forse,  i pittori che possono avere gli strumenti per riuscire a capire come hai gestito il colore, il movimento sulla tela, l’attimo creativo e l’idea che diventa esperienza,l’uomo che diventa con il pennello un unico strumento.”

Concludiamo domandando a Fulvio Di Piazza se, e se è così cosa, si è  perso della pittura nella nostra epoca.

“Si e’ smarrita a poco a poco  quell’ impeto che ha caratterizzato l’arte in passato; adesso, sempre più spesso, troppo concettuale ed intellettualistica. Sembra che ciò’ che conti realmente sia stupire ed in questa ottica l’ anima ed il pensiero si sono divisi, allontanati.

L’arte e’ per me esperienza diretta delle cose, di quello che l’artista vive nel proprio territorio.

Tu vivi la tua contemporaneità nel luogo che vivi e questo rende il tuo lavoro unico. In questo sta la differenza con un’espressione di pura estetica.

Devi avvertire la drammaticità del luogo e del momento in quel luogo, non nel mondo.

Conosci il mondo in base a cosa percepisci personalmente, ti arriva,quello che avverti sulla tua pelle e’ quello che hai quà, la gente con cui ti incontri, le dinamiche sociali, concetti di un momento particolare e sono questi che ti spingono. Non fai estetica, vivi la contemporaneità’. Io non voglio  fare estetica, voglio fare  esperienza del vero.

L interiorità sta sulla superficie del quadro; devi saperlo leggere, ti devi abbandonare e lasciar perdere i tuoi pregiudizi con cui hai creato la tua immagine, lasciandoti trasportare dalle emozioni, senza costruzione di pensiero; il dato emozionale e essenziale.” 

 

*Associazione Mialò Art

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