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Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Gaza. L’America inutile o dannosa

La strage e il genocidio palestinese a Gaza è, per l’America, solo un fastidioso rumore di sottofondo. Ma la prospettiva, al di là dell’esito dei conflitti in corso, sarà “pianto e stridor di denti” (Matteo,25.20)

di Victor Matteucci

10 agosto 2024. Con l’assenso dell’America, continua il genocidio a Gaza; dal 7 ottobre 2023 sono 37.925 i morti, mentre i feriti 77.816, 14.500 dei quali bambini. L’ultimo raid israeliano su una scuola dell’infanzia ha prodotto altri 93 morti, di cui 11 bambini.

Parole al vento

Egitto e Iran: “Israele non vuole pace”. Francia e Italia (Tajani) dicono che è inaccettabile il bombardamento della scuola a Gaza. L’Algeria chiede una riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dopo il raid di Israele sulla scuola “Al Tabin” di Gaza City.

Philippe Lazzarini, a capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), chiede la fine degli “orrori che si stanno svolgendo sotto i nostri occhi”. Il ministero degli Esteri del Qatar ha affermato che l’attacco “costituisce un orribile massacro e un crimine brutale contro i civili disarmati sfollati” e ha rinnovato la richiesta di “un’indagine internazionale urgente”.

“Non vi è alcuna giustificazione per questi massacri”, dice Josep Borrell, a nome dell’ Ue.

Naturalmente, sono solo parole al vento e stanchi rituali che ascoltiamo da 309 giorni, tanti quanti sono quelli da cui è in atto un genocidio che è secondo solo a quello compiuto da Hitler. Il paradosso della storia è che i carnefici di oggi sono le vittime di ieri, come accade ad ogni individuo violentato che, nel 90% dei casi, diventa un violentatore.

Ma fin qui, tutto come previsto dall’inerzia della storia e dalla sociologia più ovvia. La vera notizia di cui, invece, dovremmo prendere atto è che l’America si stia rivelando inutile o dannosa per il mondo.

L’America inutile

Mentre la vicepresidente USA, Kamala Harris, ribadisce, per l’ennesima volta, che lei “non starà zitta e che serve un cessate il fuoco”, il suo Governo sblocca ulteriori 3,5 miliardi a Israele per le armi.

Se dovessimo credere alle reiterate dichiarazioni americane di moderazione e di invito al dialogo, se dovessimo considerare le decine di missioni diplomatiche del Segretario di Stato, Blinken, in Medio Oriente, mentre il massacro di civili e la pulizia etnica palestinese continuava senza tregua, dovremmo dedurne che l’America non è in grado di fermare Israele, un piccolo Stato di 10 milioni di abitanti, o se si vuole usare un altro criterio, non è in grado di dettare ordini alla potente lobby ebraico-sionista.

Perciò, dovremmo prendere atto che la pretesa USA di essere il guardiano dell’Occidente si sia rivelata del tutto inadeguata. Non solo perché tutti gli interventi di “polizia internazionale”, come li definiscono gli americani, dai Balcani all’Iraq, dall’Afghanistan alla Libia, dall’Africa subsahariana alle primavere arabe, dal Sud America all’Ucraina, hanno avuto esiti disastrosi, ma anche perché l’America sembrerebbe non in grado di determinare un indirizzo politico internazionale sostenibile e di conciliare gli intenti alle conseguenze. D’altra parte, non fanno altro che reiterare il modello della frontiera con gli indiani di turno che, in questo caso, si chiamano palestinesi, chiamati a continue deportazioni di massa, proprio come avevano fatto con i nativi.

In questo senso, si fa strada la consapevolezza che l’America, che dopo il crollo del muro di Berlino aveva preteso di guidare il mondo, unicizzato e occidentalizzato, si stia rivelando incapace di garantire almeno la parvenza di un diritto internazionale, tantomeno di garantire un sistema globale adeguato agli scambi e sostenibile per lo sviluppo.

Di conseguenza, dovremmo prendere atto che ormai il Paese leader dell’Occidente a cui dobbiamo uniformarci è Israele e che i cow boys americani sono incapaci e inutili, perciò i privilegi e gli eccezionalismi che consentono loro di sottrarsi alle regole al diritto internazionale, sarebbero ormai illegittimi e ingiustificati.

L’America dannosa

L’altra ipotesi, più realistica, è che dietro dichiarazioni ipocrite e di circostanza, gli USA perseguano deliberatamente, l’attuale stato di caos, disordine e di instabilità mondiale, con l’obiettivo nemmeno troppo recondito, di una guerra mondiale e che, dunque, non vi sia alcun conflitto con la lobby ebraico-sionista, ma, piuttosto, una perfetta sintonia.

L’obiettivo di una guerra mondiale, infatti, sembra essere il reset più naturale per uscire da una crisi generale storica nella quale tutti i Paesi occidentali sono alle prese con indebitamenti fuori controllo, oltre che per rimediare al deficit record di bilancio degli Stati Uniti che si prevede salirà, per l’anno fiscale 2024, a 1.915 miliardi di dollari, pari al 6,7% del Pil. Tuttavia, la guerra necessita di un pretesto, o di una scintilla, in grado di avviare la combustione, ma che gli Usa non possono correre il rischio di doversi vedere addebitata. Per questo si è provato, come prima istanza, a lasciare il cerino acceso nelle mani della Russia, il nemico storico, con l’Europa a rimorchio. Quindi, si è tentato di coinvolgere timidamente la Cina (che detiene gran parte del debito americano) con le visite di Nancy Pelosi a Taiwan, la presunta minaccia alla sicurezza dei palloni spia, con i dazi alle esportazioni e con le accuse di forniture di armi e assistenza alla Russia.

Niente da fare. I cinesi non reagiscono e tacciono, mentre la Russia resiste a non varcare la linea rossa che fornirebbe alla NATO di Stoltenberg e alla Francia di Macron, che nei mesi scorsi non avevano escluso l’invio di truppe NATO in Ucraina, il pretesto di un intervento occidentale. L’ultimo tentativo è “la provocazione su larga scala”, come lo ha definito Putin, ovvero, l’incursione  degli ucraini a Kursk (in realtà si tratta di brigate composte da mercenari e contractors provenienti da vari Paesi europei), in territorio russo, avallato dall’UE, peraltro, con armi e carri armati di fabbricazione tedesca. Tanto che il presidente della Commissione Difesa del Bundestag, Markus Faber, ha affermato che l’Ucraina ha il diritto di attaccare per difendersi e di usare tutti i mezzi disponibili. Ma il giorno dopo sono piovute bombe russe nel Donetsk e a Kiev, e c’è stato lo sganciamento sulle truppe ucraine a Kursk di una bomba termobarica da 500 kg. A parte l’aver introdotto misure di antiterrorismo in tre regioni, tutto continua come prima. Quindi, nemmeno questo tentativo, in territorio russo con mercenari europei, sembra aver funzionato. Ma naturalmente l’escalation c’è stata e la provocazione è sempre più spregiudicata.

Il terzo innesto incendiario, come sono soliti fare i piromani, dopo Russia e Cina, per far deflagrare la terza guerra mondiale, secondo i democratici americani, è di dare la miccia dell’esplosione di una possibile guerra in mano all’Iran. Anche qui, sollecitato con continue provocazioni da parte di Israele nella speranza di una reazione all’omicidio del leader palestinese a Teheran. Il che poi giustificherebbe l’intervento degli Usa per difendere Israele (la portaerei americana è già arrivata nel Golfo) dal rischio di un conflitto regionale che presumibilmente, nelle intenzioni, dovrebbe divenire  globale.

Il registro politico e quello economico

Ma in questo secondo caso, in cui l’America non fosse affatto impotente, ma, invece, mandataria, al punto che userebbe Israele in Palestina e l’Europa in Ucraina per una guerra, domandiamoci: Perché? Qual è l’idea progetto?

La risposta più chiara è nel programma di Trump che, non avendo una formazione politica ma economica, ovvero, non provenendo dalla selezione dei partiti (infatti, Trump ha già delegittimato il partito repubblicano rivolgendosi direttamente al popolo), ma essendo, piuttosto, un rappresentante del mercato e del capitale privato, è certamente più esplicito e diretto di Biden. Trump punta a una deglobalizzazione populista e a una prospettiva americana improntata al protezionismo (lotta senza tregua con deportazioni per gli immigrati, tutela del lavoro americano e difesa dei valori tradizionali contro aborto e perfino il divorzio). Inoltre, Trump si oppone alla dissoluzione degli Stati in favore di una logica politico- imperiale, così come, invece, prefigurano i democratici (Critica alla NATO e disimpegno a livello internazionale).

Ma, attenzione, non per ripristinare il peso politico gli Stati. L’idea di Trump è un’altra: assicurare una subalternità della politica all’economia, per garantire il dominio del capitale privato globale sulla politica globale. È il capitale la ragione economica del mercato, l’iperliberismo, secondo Trump, il vero ariete del dominio mondiale che conquisterà il mondo e fornirà stabilità, non la politica, con le sue corruzioni e le sue ipocrisie, che la rendono inaffidabile e inefficace; tantomeno la guerra, che è connessa alla politica, con i suoi rischi imprevedibili. Infatti, ha già detto che, appena eletto, parlerà con Putin e porrà fine al conflitto in Ucraina. E non è un caso che Biden abbia replicato che non ha alcun bisogno di parlare con Putin. Infatti, mentre Biden punta ad eliminare la leadership politica russa militarmente, Trump, che ragiona con catergorie economiche, pensa di lasciar fare al mercato, senza spargimenti di sangue.

C’è un dettaglio, tuttavia, che Trump sottovaluta. La ragione politica ha un suo perché. Il capitale privato, per quanto aspiri ad essere libero, globale,  per quanto sia insofferente alle regole e voglia fare a meno della garanzia degli Stati, deve tener conto che, senza la legittimazione fornita da un superstato mondiale, da un diritto internazionale e da istituzioni sovranazionali, rischierebbe di trovarsi un ambiente selvaggio e senza regole e, quindi, a rischio che si determini un caos ancora più devastante, in particolare riguardo al riconoscimento delle transazioni, delle proprietà private e delle accumulazioni. In questo teatro americano, Trump rappresenta lo spirito dei coloni (ecco perché adora i coloni israeliani), mentre Biden quello della cavalleria in giacca azzurra.

Le grida strazianti delle vittime, solo rumori fastidiosi di sottofondo

Giacche azzurre o pionieri, in entrambi i casi, per i sioux – palestinesi e per i diritti dei popoli, non c’è alcuna speranza perché ostacolano il progresso e la conquista.

L’idea degli Stati nazionali, quindi, è un falso problema per rassicurare i vinti dalla globalizzazione (bianchi, operai, anziani e contadini), ma è un’idea del secolo scorso ed è ormai marginale nell’agenda delle priorità. Il conflitto attuale è tra due visioni globali. Una economicista, con una politica mondiale frammentata (sovranista, revivalista, autoritaria) che si occupi solo di ordine pubblico e affari sociali e che lasci campo libero al mercato, e un’altra, che preveda un comando politico globalizzato e normalizzato (imperialista, libertario ma con una parvenza di diritto, e con garanzia di sicurezza internazionale) con norme e regole certe entro cui definire lo sviluppo economico. Perciò, si tratta solo di capire quale delle due ipotesi sia più funzionale all’espansione del capitale e dell’America. Tutto il resto è solo un fastidioso rumore di sottofondo da isolare e censurare, come fa l’esercito dei nuovi servi dell’informazione -propaganda, da Gerusalemme, New York e da Kiev che racconta la storia dal punto di vista, e dal marciapiede autorizzato, come accade nel mercato della prostituzione di strada.

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