Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Gender gap, il gradino che le donne non riescono a salire

Aldilà delle giornate dedicate, che portano a dibattere "qui e ora", non può lasciare indifferenti il fatto che, nell’Unione europea, le donne continuano a guadagnare meno degli uomini, con un divario retributivo medio pari al 13%. Ciò significa che, per ogni euro guadagnato da un uomo, una donna riceve solo € 0,87 

di Victor Matteucci

 “Un lavoro uguale merita una retribuzione uguale: questo è un principio fondante dell’Unione europea. (…) Dobbiamo dare potere alle donne in modo che possano realizzare il loro potenziale. (…) Tutti ne beneficiano, quando tutti sono uguali“.

Lo hanno affermato Věra Jourová, vicepresidente per i Valori e la Trasparenza, e Helena Dalli, commissaria per l’Uguaglianza, in occasione della Giornata della parità retributiva, che quest’anno si è celebrata il 15 novembre, data che simboleggia il numero di giorni aggiuntivi che le donne devono lavorare fino alla fine dell’anno per guadagnare quanto gli uomini nello stesso anno.

Nell’Ue nel 2019, il tasso di occupazione per le donne senza figli è stato il 67 %, mentre gli uomini si sono attestati sul 75 %. Quando considera il lavoro con la presenza di un figlio, il tasso aumenta al 72 %, per le donne, e all’87 %, per gli uomini. Per le donne con due figli, il tasso rimane quasi invariato al 73 %, mentre quello degli uomini aumenta al 91 %. (ISTAT). Questo divario In Italia esplica e moltiplica i propri effetti anche sotto il profilo previdenziale, come denuncia l’Inps nell’ultimo Rapporto (ottobre 2023) dove si registra una gap del quasi 38%.

Il gender pay gap (grezzo) è la differenza media di retribuzione lorda oraria tra donne e uomini

Analizzando i dati Eurostat aggiornati al 2023, in Italia una donna guadagna in media il 5% per ora di lavoro in meno di un uomo. A eccezione del Lussemburgo (-0,2%), in tutti gli altri Paesi le donne guadagnano comunque meno degli uomini (in Estonia si arriva a una differenza del 20,5%). La media europea è, invece, del 12,7%.

Per avere un quadro completo bisogna, però, guardare al divario retributivo complessivo, che misura l’impatto di tre fattori combinati: retribuzione oraria media, media mensile del numero di ore retribuite e tasso di occupazione. In questi termini, la differenza salariale in Italia raggiunge il 43% (contro una media europea del 36,2%).

Come spiega un’analisi del Parlamento europeo, in alcuni Stati Ue “divari retributivi più bassi tendono a essere collegati a una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro”. Al contrario, “divari più alti tendono a essere collegati ad un’elevata percentuale di donne che svolgono un lavoro part-time o alla loro concentrazione in un numero ristretto di professioni”. Resta comunque possibile individuare cause strutturali del divario salariale di genere.

Tra carriera e famiglia

Bilanciare carriere e famiglia. Nel 2018, guardando a dati Eurostat, un terzo delle donne occupate nell’Unione europea ha subito un’interruzione dal lavoro per motivi legati alla custodia dei figli. Agli uomini è successo solamente nell’1,3% dei casi. Il lavoro di cura spesso affidato alle donne riduce così il tempo da dedicare al lavoro retribuito: quasi un terzo delle donne lavora part-time, a fronte dell’8% degli uomini.

Lavori da “donne”

E ancora, secondo la Commissione europea tra le cause del gender pay gap c’è anche una sovra-rappresentanza di donne in settori lavorativi generalmente a basso salario: assistenza, sanità, istruzione. Inoltre, nel 2020, le donne in posizioni dirigenziali nell’Ue erano il 34% (poco più di un terzo), nonostante rappresentassero la metà dei dipendenti. E in ogni caso, anche quando le donne sono manager, non guadagnano quanto i loro colleghi uomini.  Sempre secondo i dati forniti dalla Commissione Ue, ricevono il 23% in meno all’ora.

Le politiche europee contro il gender gap

Restando all’interno dei confini europei, si sta cercando in diversi modi di superare il gender pay gap. Nuove regole approvate nel 2023 vanno ad esempio a contrastare il segreto salariale: i lavoratori e le lavoratrici avranno il diritto a ricevere informazioni sulla retribuzione per la loro categoria di lavoro

E ancora: nel caso in cui la dichiarazione obbligatoria sulle retribuzioni di un’azienda, o di un’amministrazione pubblica, mostri un divario di almeno il 5%, i datori dovranno effettuare una valutazione delle retribuzioni in cooperazione con i rappresentanti dei loro dipendenti. Agli Stati membri si chiede poi di introdurre sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive per tutti i datori di lavoro che non rispettano le regole europee. Quando la violazione delle norme arreca un danno, la normativa prevede anche il diritto di chiedere un risarcimento.

Un’analisi storica comparata

Nel 2004 l’occupazione delle donne under 33 anni era al  44% , in Sicilia al 33%. Da considerare, a tal proposito, che il tempo pieno scolastico dei minori in Sicilia è molto al di sotto del 10%.

A livello nazionale, lo stipendio medio uomini è di 26.277 euro, mentre per le donne di 18.305. L’Italia è, inoltre, ultima in Europa per lavoro part time (33%). Dalla crisi del 2008 si è riscontrato un aumento del part time non volontario e temporaneo. Questo, soprattutto nelle imprese della grande distribuzione. Un incremento che è pari al triplo della media europea per le donne in Europa. Lo stesso incremento si è registrato per il part time uomini Italia che risulta, in questa speciale classifica, primo in Europa. In Italia, poi, le donne in part time sono il 32%,  40% in quello volontario, 60% involontario (l’OCSE ci dice che nei Paesi Bassi il part time involontario si attesta al 2%, quello volontario al 98%).

Al Sud il 75% del part time è involontario, al nord scende al 60%

Significativa la caduta della presenze delle donne nella formazione delle materie STEM (scientifiche e in matematica). Secondo la sociologa Sabbadini, “c’è uno scoraggiamento  deliberato delle donne con gli stereotipi di genere nelle scuole”. In Italia, la differenza salariale tra uomini e donne nel settore privato ha raggiunto nel 2022, quasi 8mila euro l’anno: gli ultimi dati dell’Osservatorio sui lavoratori dipendenti del settore privato dell’Inps, registrano un gender pay gap pari al 7.922 euro. La retribuzione media annua complessiva è di 22.839 euro: per gli uomini è di 26.227 euro; per le donne scende quasi del 30%, a 18.305 euro. Le disparità sono vistose, sia per età sia per territori (le retribuzioni medie al Nord sono pari a 26.933 euro, quelle al Sud e nelle Isole viaggiano a 16.959 e 16.641 euro), a conferma della ragnatela di disuguaglianze che avvolge la penisola.

Le misure che contano

«Il rapporto Inps ha finalmente sottolineato perché il dato ‘felice’ spesso riferito all’Italia sul gender pay gap sia stato finora completamente falsato», commenta Costanza Hermanin, presidente di EquALL che, nella Giornata europea per la parità retributiva, lo scorso 15 novembre, ha coinvolto tante altre associazioni (tra cui The Good Lobby, Comitato Ventotene, Road to 50, Period Think Tank, Tocca a Noi, Pari Merito, BASE Italia, Libera di Abortire) per la manifestazione “Le Misure che Contano”, in piazza del Pantheon. Una maratona con flash mob contro le disparità salariali, di genere e tra generazioni.

La fotografia del divario

«Finora – spiega Hermanin – siamo sempre stati piazzati nella parte alta delle classifiche europee sulle disparità salariali, ma solo perché come riferimento prendevamo i contratti collettivi del settore pubblico e in particolare, come spesso ha spiegato anche la dirigente Istat, Linda Laura Sabbadini, quelli dei contratti dirigenziali dove ci sono molte donne super istruite». Adesso, finalmente, è stata fatta chiarezza, dando «misure più verosimili e precise del divario enorme che esiste in Italia basate anche sulle tipologie dei contratti, che per le donne sono molto più spesso part time che per gli uomini, quindi retribuiti meno in assoluto e in media oraria». Contratti part time, caratterizzati da pause significative tra l’uno e l’altro, che portano a un gap pensionistico del 40 per cento.

La zavorra del lavoro non retribuito

Anche i nuovi dati, tuttavia, non danno la misura completa delle diseguaglianze di genere in Italia, che passano in parte significativa dal non-lavoro e dal lavoro non retribuito.

«Siamo stabilmente il Paese d’Europa con il più basso tasso di partecipazione femminile e con il più grande scarto tra uomini e donne (circa 60-40) che lavorano o sono alla ricerca d’impiego», ricorda la presidente di EquaLL, Costanza Hermanin, aggiungendo che «invece, quando si tratta di lavoro di cura non retribuito, siamo in testa alle classifiche: fino a quattro volte in più il tempo dedicato dalle italiane ad anziani, figli e casa rispetto agli uomini».

Una protesta contro tutte le disparità

Siccome questi dati peggiorano, invece che migliorare (lo scorso anno l’Italia ha perso 16 posizioni nel Global Gender Gap Index del World Economic Forum), EquaLL ha coinvolto anche realtà che non hanno la parità di genere o salariale come prima missione nella raccolta dei dati alla base delle “misure che contano”. L’obiettivo è sottolineare tutte le disparità.

«Quelle Camere – conclude Hermanin nell’intervista rilasciata il 13 novembre a Manuela Perrone, del “Sole 24 Ore”– che misure dovrebbero adottare e attuare, dato che il 15 novembre segna simbolicamente il giorno in cui le donne europee, e assieme a loro le italiane, smetteranno di guadagnare per l’anno in corso, mentre i loro compagni uomini saranno retribuiti fino al 31 dicembre».

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