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Giovanni Totaro: auguri di buon inverno da Palermo, Italia

Happy Winter, debutto di Giovanni Totaro, senza clamori sta riscuotendo apprezzamenti in Italia e nel mondo. Ne abbiamo parlato con il regista...

di Massimo Arciresi

Happy Winter, debutto di Giovanni Totaro, senza clamori sta riscuotendo apprezzamenti in Italia e nel mondo. Ne abbiamo parlato con il regista

 

di  Massimo Arciresi

Il giovanissimo Giovanni Totaro, classe 1988, raccoglie da mesi (cioè dalla presentazione fuori concorso a Venezia 2017) i frutti del suo insolito esordio, Happy Winter, interamente ambientato nella natia Palermo, segnatamente sulla frequentatissima spiaggia di Mondello, documentario incentrato su vicende, considerazioni, desideri di alcuni bagnanti-tipo, “abitanti” delle arcinote cabine-spogliatoio, tra chiacchiere mattutine e feste serali. Uno spaccato incentrato su un canovaccio elastico, ironico, a ribadire implicitamente che il genere non è elitario. Tutt’altro.

Qual è stato il percorso di realizzazione?
«Si parte dal mio saggio di diploma – esercitazione prevista a fine corso – al Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo, indirizzo documentario… sebbene questa sia un’etichetta superata, soprattutto quando si parla – come in questo caso – di documentario creativo, ormai accostabile a un film vero e proprio.  Il titolo era Buon inverno, nasceva intorno al microcosmo balneare e alle sue cabine. L’estate del 2014 doveva essere l’ultima, dopo sarebbero state sequestrate; poi c’è stata la proroga al 2020, ma tale modalità vacanziera era già sul viale del tramonto: dalle 3-4000 capanne occupanti l’intero litorale 25 anni fa si era passati a 900; ora sono 700. Non ne ho mai affittato una, però so cosa rappresenta. Mi son detto che stava per sparire una tradizione ricca di umanità. Poi ho deciso di farne un lungo. Perciò il saggio è diventato un “quaderno d’appunti”: mi ha permesso di prepararmi alle riprese, nonché di illustrare a possibili finanziatori l’atmosfera del futuro film.»happy_winter_

Oggi il confine tra film di finzione e documentario è diventato labile, se pensiamo alle opere di Pietro Marcello o Gianfranco Rosi. Una volta scelti i personaggi, che libertà ha lasciato loro?
«Non si tratta di attori professionisti. Abbiamo adottato uno stile semi-improvvisato. Conosco bene le persone coinvolte, quindi sapevo cosa potevano regalarmi. Ho scritto un trattamento (una sceneggiatura senza dialoghi) basandomi sui protagonisti e sul loro rapporto con il luogo. Poi chiaramente li stimolavo e li guidavo verso gli argomenti che sapevo essere nelle loro corde.»

Le bellissime riprese dall’alto sono girate con un drone?
«Sì. Era importante per allargare il respiro, questa specie di palcoscenico che è la spiaggia rappresenta bene l’Italia con le sue contraddizioni.»

Il film è stato distribuito ufficialmente come evento a maggio, adesso approda su Sky.
«Ci saranno ancora numerose occasioni per vederlo. Durante l’estate, nelle arene e in altre sale che lo hanno richiesto. Poi andrà sicuramente in tv (c’è la co-produzione con RaiCinema), dove potrà vederlo molta più gente. E ha avuto un’ottima circolazione festivaliera internazionale, spesso comprensiva di acquisto e diffusione televisiva. Dopo lo svizzero Visions du Réel e Hot Docs a Toronto, a giugno c’è il prestigioso American Film Institute Docs, a Silver Spring (debutto negli USA, dove lo trasmetterà la PBS), unico italiano in concorso. I riscontri sono assai soddisfacenti.»

Bilancio positivo, quindi?
«Artisticamente è andata bene. Ho coinvolto dei compagni del CSC, la fotografia è del mio stimato docente Paolo Ferrari. Una troupe valida determina la buona riuscita del lavoro, che è collettivo. Anche l’idea più bella interpretata dai migliori attori può essere compromessa dall’assenza di feeling. Più difficile il rapporto con la produzione… Il CSC non ti prepara a certi aspetti lavorativi.»

Pensa di proseguire su questa falsariga?
«Continuerò con il documentario di creazione, sempre in Sicilia, e conto di fare ulteriori passi avanti. Naturalmente non tutto va come previsto: nel documentario c’è margine per le sorprese.»

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