Nuova edizione de L’Inchiesta Sicilia – fondata nel Luglio del 1996 da un gruppo di giornalisti indipendenti

Giuseppe Ferrara e Garry Marshall, due autori agli antipodi

Giuseppe Ferrara e Garry Marshall, due registi quasi coetanei che hanno lasciato in sordina questo mondo durante l’estate...

di Massimo Arciresi

Quest’estate se ne sono andati due registi della stessa età, Giuseppe Ferrara e Garry Marshall, esponenti di cinema diversi. Un confronto impossibile?

di Massimo Arciresi

Il periodo attuale continua a essere doloroso, è innegabile, e il cinema fatica a trovare spazio fra le cronache. Eppure ci permettiamo ancora una volta, in previsione di tempi migliori su scala globale e in attesa di affrontare argomenti differenti, di ricordare due registi quasi coetanei che hanno lasciato in sordina questo mondo durante l’estate. In teoria non sono affatto accostabili: uno era toscano e l’altro newyorkese, i loro percorsi artistici e i loro film sono lontani, però hanno entrambi incontrato dei lusinghieri successi nelle loro lunghe carriere. Forse erano accomunati dall’analoga vocazione all’intrattenimento, dall’intento non scontato di far riflettere, l’uno puntando al dramma realistico, l’altro alla commedia dei sentimenti. I risultati che ottennero furono spesso buoni, talvolta dignitosi, talaltra appena passabili. Stiamo parlando di Giuseppe Ferrara (in foto) e di Garry Marshall.

Ferrara, classe 1932 (morto lo scorso 25 giugno), era votato all’impegno civile fin da giovane. Dopo la palestra di corti e documentari attraverso la quale erano già passati altri suoi illustri colleghi, esordisce nel lungometraggio nel 1969 con il notevole Il sasso in bocca, incentrato sul dilagante fenomeno mafioso. A questo seguono Faccia di spia (1975) e soprattutto l’instant movie Cento giorni a Palermo (1984, con Lino Ventura e Giuliana De Sio), che ripercorre la fitta attività investigativa del generale Dalla Chiesa prima del suo barbaro assassinio. Si delinea già la tendenza del cineasta alla ricostruzione storica, tanto fedele nelle intenzioni da pretendere la totale sovrapponibilità degli attori (con l’aiuto massiccio del make up) ai personaggi che interpretano. Così ne Il caso Moro (1986) Gian Maria Volontè “diventa” il presidente DC rapito dai terroristi e Omero Antonutti ne I banchieri di Dio si trasforma in Roberto Calvi in precipitosa fuga, mentre Massimo Ghini in Guido che sfidò le Brigate Rosse (2007) si muta nel coraggioso sindacalista Rossa. Anche Giovanni Falcone (1993), con Placido nel ruolo del giudice e Giannini in quello di Borsellino, viene girato – fra qualche polemica – a tamburo battente e con la medesima ricerca di aderenza. Attorno, un ingiustamente dimenticato dramma sui giovanissimi trafficanti colombiani (Narcos, 1992) e una denuncia verosimile ma romanzata sulle deviazioni del SISDE (Segreto di stato, 1995). Da tempo è pronto Roma nuda, una mini-serie tv tutt’ora inedita con Tomas Milian (pure co-sceneggiatore) a capo di un bizzarro cast.

Tutt’altra vicenda è quella di Marshall, nato nel 1934 e deceduto il 19 luglio. Creatore di serie di successo (da Happy Days a Mork & Mindy) e caratterista, fratello della collega Penny, debutta dietro la cinepresa con L’ospedale più pazzo del mondo (1982) e Flamingo Kid (1984).

Garry Marshall
Garry Marshall

È universalmente ricordato per l’exploit di Pretty Woman (1990), che rivela al mondo il talento di Julia Roberts e induce lui a una certa serialità “mascherata”: oltre a Se scappi, ti sposo (1999), di nuovo con l’attrice e Richard Gere, realizza il dittico di Pretty Princess (2001 e 2004), i corali e ingenuotti Appuntamento con l’amore (2010), Capodanno a New York (2011) e Mother’s Day (2016). Tuttavia, egli meriterebbe di essere rivalutato per la vocazione intimista e melanconica che caratterizza alcuni suoi lavori meno noti, quali Niente in comune (1986, con un giovane Tom Hanks), Spiagge (1988, con un’emozionante Bette Midler), Un amore speciale (1999) e Quando meno te lo aspetti (2004). Soprattutto preferiamo i toni gentili di Paura d’amare (1991, con Al Pacino e Michelle Pfeiffer). Gli stessi, peraltro, che applicava sovente un collega di generazione simile, Arthur Hiller (Love Story, 1970), a sua volta andatosene il 17 agosto a 92 anni. Autori che forse non figureranno mai fra i nomi di spicco ma che un’impronta, comunque, la lasceranno.

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