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Giuseppe Mazzamuto: vibrafonista per amore

Giuseppe Mazzamuto, compositore, arrangiatore e vibrafonista, a definirlo come uno dei migliori musicisti del panorama italiano, orgoglio della nostra terra, è lei: la musica...

di Redazione

Nato a Palermo, Giuseppe Mazzamuto ha studiato presso il Conservatorio di Stato “V. Bellini” di Palermo conseguendo il diploma in strumenti a percussione, ove adesso è docente di Batteria e Percussioni Jazz. Dal 1998, inoltre, presta la sua arte, come percussionista, presso la Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana. Compositore, arrangiatore e vibrafonista, la sua carriera e i numerosi riconoscimenti parlano da sé, ma a definirlo come uno dei migliori musicisti del panorama italiano, orgoglio della nostra terra, è lei: la musica

 

di  Liliana Serio

 

Qual è il primo ricordo legato alla musica?
La prima volta che ho suonato la batteria, ancora ricordo l’emozione. Avevo 8 anni e lo feci di nascosto da mio padre (lui suonava il basso elettrico) perché era la batteria di un suo amico batterista. Da qualche tempo avevano ripreso a suonare rimettendo in piedi il loro gruppo musicale.

A quanti anni hai iniziato a suonare e perché hai scelto gli strumenti a percussioni?
Come dicevo ho iniziato a suonare sul serio dagli 8 anni in poi, ma già da prima battevo dappertutto: pentole, vecchi fustini, secchi e altro. Non ho scelto di suonare le percussioni, loro hanno scelto me e non ho potuto far altro. È stato amore a prima vista, ho sempre avuto una passione per tutto ciò che fosse ritmico, figurati che ancor oggi quando ascolto un brano pop non riesco ad ascoltare il testo, la mia attenzione è totalmente dedita alla parte ritmica. Il ritmo è tutto, non lo dico solo io, lo diceva Mozart: “la musica è il ritmo realizzato per mezzo del suono”. Il mio percorso inizia con la batteria, sono passato ad ogni tipo di strumento a percussione, per poi approdare al mio amore con il quale voglio passare tutta la mia vita: il vibrafono.

C’è un artista a cui ti ispiri in campo musicale e perché?Giuseppe-Mazzamuto
Sono certamente due. Il primo è Milt Jackson, vibrafonista Jazz, considerato fra i migliori vibrafonisti in circolazione, che nel 1952 registra per quello che poi sarebbe diventato il mitico Modern Jazz Quartet. L’altro è Gary Burton, il più grande vibrafonista vivente, docente al Berklee College of Music di Boston, con il quale ho avuto l’onore di studiare nel 2012 e che ha scritto per me una lettera di raccomandazione. Burton è colui che ha inventato la presa delle quattro bacchette utilizzata sul vibrafono in tutto il mondo, che porta naturalmente il suo nome.

Numerosi concerti alle spalle e prestigiose collaborazioni, qual è il concerto a cui sei più legato?
Certamente quello che ho fatto con Sting, mi ha lasciato tanto e insegnato tanto. Lui per tutto il tempo è stato praticamente inavvicinabile, però durante la prova generale, mentre suonavo la marimba in Roxane sentendomi osservato ho alzato gli occhi e lui era lì, a pochi passi. Ricordo che mi disse: “Very good”! Ti lascio immaginare la mia emozione.

L’artista con cui hai suonato che ti ha in qualche modo segnato come uomo e come professionista?
A questa domanda posso certamente rispondere dicendoti che ogni artista con il quale ho collaborato mi ha lasciato e mi ha segnato tanto, facendomi crescere come artista e come persona, ma quello che ricordo maggiormente è Mike Stern. Ricordo la sua umiltà e la facilità con cui suonava la sua chitarra, musicista semplicemente superlativo.

Stai preparando un album, di che si tratta?
Si tratta di una fotografia della mia vita. Questo album, dal titolo Melodyterranean, racconta la mia visione della musica con tutte quelle commistioni di genere che mi appartengono. Sono tutte mie composizioni inedite, che vanno dal Jazz al pop-rock con influenze classiche e latin e con qualche assaggio di elettronica. Ci sono tanti ospiti ma soprattutto amici come Giuseppe Milici (Armonica), Alessandro Presti (Tromba), Daniela Spalletta (Voce), Simone Ferrara (Chitarra Elettrica), Alberto Maniaci (che ha curato insieme a me e Giovanni Conte gli arrangiamenti per il quartetto d’archi) e i Sicilian String Quartet: Luciano Saladino (Violino), Johnny Guddo (Violino), Giuseppe Brunetto (Viola) e Domenico Guddo (Violoncello) e infine il mio quintetto, con il quale ho condiviso questo stupendo viaggio fatto di musica e vita: Giovanni Conte (Pianoforte), Giovanni Villafranca (Contrabbasso), Fabrizio Giambanco (Batteria) e Manfredi Caputo (Percussioni). Credo che da questi nomi si possa ben capire l’eterogeneità della mia musica. Un ringraziamento particolare va anche alla FAM Record per il lavoro fatto che ha dato al mio disco un taglio internazionale.

Qual è il brano da te composto a cui sei più legato?
Certamente Mary Love che ho dedicato a mia moglie, perché senza di lei non sarei l’uomo che sono oggi. A mio avviso nel disco è un vero capolavoro per quintetto Jazz, quartetto d’archi e tromba; anche se devo dire che tutte le mie composizioni sono importanti, perché sono parte di me. Scrivo sempre perché ho bisogno di raccontare qualcosa.

La musica ha indubbiamente un ruolo educativo, qual è la tua esperienza?
La musica ha un grande ruolo educativo! Per mia esperienza insegna tre grandi cose: disciplina, giusta democrazia (perché ognuno ha il suo ruolo, il suo spazio e uguale dignità) e soprattutto insegna ad ascoltare gli altri. Se la società avesse questi stessi valori il mondo sarebbe certamente un posto migliore.

Quali sono i tuoi prossimi impegni?
Al momento il mio agente Massimo Galli (Contempoars di Roma) sta pianificando un tour internazionale per il disco in uscita, dovrebbe esserci anche un concerto con orchestra per la presentazione a Palermo ma è ancora top secret.

Hai girato il mondo, se potessi scegliere un luogo dove vivere ed esprimere la tua arte quale sarebbe?
Che bella domanda! Oggi voglio più che mai continuare a vivere in Sicilia, io adoro Palermo, e mi sento un vero Palermitano. Vivere qui è stata una scelta, però se proprio dovessi fare una scelta i due luoghi dove vorrei esprimere la mia arte sono Stati Uniti e Cina; per esperienza concertistica fatta in questi due paesi posso dire che hanno grande rispetto per l’arte e per gli artisti.

Com’è nato il Mazzamuto’s Quintet?
È nato grazie a Giuseppe Milici il quale mi disse, nel 2010, che se mi fossi fatto un mio quintetto avrebbe assegnato il mio primo concerto alla Tonnara Bordonaro (in quel periodo lui era direttore artistico). Quello fu il nostro primo concerto ed il primo sold out.

Musica jazz e musica classica, come percussionista quali sono le differenze tra i due generi? Quale tra questi ti rappresenta di più?
Le differenze sono tante però normalmente lo spiego così: suonare Jazz è come una conversazione viva, prima di uscire di casa non sai chi incontrerai e di che cosa parlerai, poi incontri un amico lo ascolti e dici la tua opinione; mentre essere percussionista nella musica classica è come recitare un copione, è già tutto scritto, lo devi solo interpretare. Per lo più le parti di percussioni nella musica classica prevedono molte pause d’aspetto e ad un certo punto a freddo, senza mai perdere la concentrazione, devi suonare senza sbagliare nulla, per questo motivo dico che fare il percussionista classico è come essere un “cecchino”, stai appostato nella stessa posizione per molto tempo e al segnale non puoi sbagliare il colpo.
Mi rappresentano entrambi perché sono cresciuto in un ambiente musicale eterogeneo, da piccolo ascoltavo di tutto, Jazz, classica, pop, rock, reggae, grazie a mio padre, e la cosa più bella è che per me allora come adesso era solo “musica” e non fatta da differenti generi musicali. Questa differenziazione di genere l’ho appresa solo da adolescente. Penso anzi che non esista un genere musicale che rappresenti la bella musica. Lo sono tutti e nessuno, così come le persone: non è la nazionalità, la religione o l’orientamento sessuale che determina le belle persone ma l’individuo.

https://www.giuseppemazzamuto.it/

 

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