Gli agrumi di Sicilia sbarcano in Cina? Opportunità e ostacoli di una realtà tutta ad venire. Trasporto e controllo fitosanitario i principali nodi da sciogliere. Cosa fare? Azzardiamo qualche ipotesi con il Distretto Produttivo Agrumi di Sicilia
di Patrizia Romano
Che i cinesi fossero dei grandi estimatori del made in Sicilia, è risaputo. Ma che l’interesse per il prodotto ‘siculo’ si fosse spinto sul piano degli accordi internazionali, è una vera rivelazione.
Un esempio per tutti è rappresentato dagli agrumi siciliani: una vera ‘chicca’ per i cinesi. In Cina, lo spazio per gli agrumi siciliani sembra esserci e l’apertura verso il mercato cinese sembra essere un’opportunità tutta da scoprire. Purtroppo, le complesse contrattazioni in corso tra i due Paesi, sfociate in un accordo siglato lo scorso febbraio, passano attraverso vie molto impervie, rese ancora più complesse da un’autorità politica nazionale e regionale, poco sensibile all’interesse che il nostro prodotto stimola su scala intercontinentale.
L’unico interlocutore che la Cina trova nel settore è rappresentato dai numerosi agrumicoltori che costituiscono l’intera filiera siciliana, molti dei quali sono riuniti nel Distretto Produttivo Agrumi di Sicilia.
Ma quali sono i nodi da sciogliere? Perché tante cause ostative?
Il problema principale è quello del trasporto. Certo le distanze sono decisamente lunghe; nessuno lo nega. Ma rilegare l’intero trasporto degli agrumi soltanto alle vie navali, allunga ulteriormente le distanze, senza produrre gli effetti sperati. Sono ancora tante le difficoltà relative al trasporto con nave, previste dall’accordo siglato, lo scorso febbraio, tra il Ministero dell’Agricoltura e Foreste e l’Amministrazione generale per la supervisione della Qualità, Ispezione e Quarantena della Repubblica Popolare Cinese. Il viaggio in nave richiede circa 40 giorni. “Un viaggio troppo rischioso per il prodotto e per gli imprenditori – spiega Ivan Mazzamuto, produttore e consigliere di amministrazione del Distretto Agrumi di Sicilia – .
Una criticità sulla quale il Distretto ha inoltrato al Ministero le istanze mosse dagli imprenditori del settore, primo tra tutti, l’attivazione del trasporto aereo o in treno. Quest’ultimo, consentirebbe un viaggio non superiore ai 20 giorni, nonché la possibilità del trattamento fitosanitario durante il viaggio. “Il primo treno merci diretto Cina-Italia-Cina, annunciato lo scorso giugno e che farà capolinea al polo logistico di Mortara, potrebbe fare al caso nostro – aggiunge Mazzamuto -, perché i treni come le navi possono trasportare i container”.
Circa la richiesta di valutare altre modalità di trasporto avanzata dal Distretto al Ministero, non è ancora giunta risposta. “Invitiamo l’assessore all’Agricoltura della Regione Siciliana a spingere perché ciò avvenga – aggiunge Mazzamuto – altrimenti l’export del prodotto fresco verso la Cina resterà soltanto una possibilità sulla carta”.
Il controllo fitosanitario è un altro nodo da sciogliere. L’accordo prevede un protocollo fitosanitario standardizzato che deve essere seguito dai produttori almeno un anno prima in campagna e, poi, dopo la raccolta. “Solo poche aziende sono già pronte all’export, avendo attuato per un anno intero quanto previsto dal protocollo che, per la verità sottolinea Mazzamuto – fa richieste anche eccessive. Neanche gli americani, che sono molto pretenziosi, ci chiedono questo livello di controlli fitosanitari”.
Che i prodotti debbano essere sottoposti a seri e approfonditi controlli, ne va della salute del consumatore. Ma che il diktat di controlli rigidi e, alla fine, ostativi, venga dai cinesi, sembra, quasi, un paradosso e, francamente, fa un po’ ridere. Non se l’abbiano a male, ma non sembra che loro siano particolarmente pignoli nei controlli dei propri prodotti quando si parla di export.
A prescindere da tutto, comunque, le possibilità di sbocco degli agrumi siciliani in Cina ci sono. Cosa bisogna fare per rendere questo percorso possibile, oltre che cambiare gli accordi in materia di trasporto e controllo fitosanitario?
“Bisogna studiare bene l’intera legislazione e l’iter burocratico del Paese che accoglierà il nostro prodotto – osservava già in occasione dell’accordo di febbraio, Federica Argentati, presidente del Distretto -. Occorre attivare tutti i regolamenti sui marchi e sulle certificazioni di qualità Dop e Igp. E’ importante – aggiungeva allora – posizionarsi sul target giusto, ma anche stipulare gli accordi di distribuzione necessari. E’ opportuno, infine, sottoporsi a tutti i controlli fitosanitari previsti dall’accordo”.
Le considerazioni fatte allora sono ancora attuali. Ma ciò continua a non bastare. Teniamo conto che la Cina è enorme e il territorio è strutturato in diverse provincie con caratteristiche diverse. Bisogna avvicinarsi al mercato in modo consapevole, tenendo in considerazione una serie di parametri come le dimensioni e le risorse da dedicare all’internazionalizzazione.
Altro tema delicato è quello della tutela giuridica della proprietà intellettuale. La legge cinese offre due importanti livelli di tutela sia per i marchi sia per le certificazioni di qualità Dop e Igp. Bisognerebbe tutelarsi prima ancora di approcciare il mercato. Per chi è già in possesso di certificazioni Dop e Igp è relativamente più facile ottenere la certificazione Aqsiq, l’ente di certificazione più importante della Cina e sulla quale i cinesi ripongono massima fiducia. La certificazione diventa essenziale anche per la valorizzazione economica del nostro prodotto.