Soprattutto nel cinema americano (ma non esclusivamente), si riscontra invece una predilezione per soggetti che trattano miratamente la terza età, a volte in maniera scanzonata però con la costante intenzione di dimostrare l’irriducibilità di ciascun individuo, pronto a combattere a dispetto di qualsiasi acciacco o indebolimento della memoria.
Massimo Arciresi
Jack Lemmon e Walter Matthau, spessissimo complici sullo schermo, soltanto nei Novanta condivisero il set almeno in cinque occasioni (escludiamo JFK – Un caso ancora aperto, in cui non avevano una scena insieme). La loro sofisticata alchimia era sempre piaciuta al pubblico, e il fatto che fossero sulla settantina passava in secondo piano. Oggi, soprattutto nel cinema americano (ma non esclusivamente), si riscontra invece una predilezione per soggetti che trattano miratamente la terza età, a volte in maniera scanzonata però con la costante intenzione di dimostrare l’irriducibilità di ciascun individuo, pronto a combattere a dispetto di qualsiasi acciacco o indebolimento della memoria. E tutto questo – con una lontana falsa partenza che si potrebbe fare risalire forse a Cocoon (1985) e al suo seguito realizzato un triennio dopo – avviene significativamente in un’epoca caratterizzata da un’incertezza prevalentemente economica che spesso colpisce con maggiore violenza proprio chi è più in là con gli anni.
Non ci riferiamo a prodotti quali Di nuovo in gioco, dove l’ultraottuagenario Clint Eastwood (che non recitava per un altro regista da un ventennio!) si riconferma abilissimo talent scout del baseball, né all’annunciato e continuamente rinviato quinto capitolo di Indiana Jones (con Harrison Ford, classe 1942), bensì a quei film che radunano di proposito due o più “vecchie glorie” (in qualche caso – lo vedremo – vuol dire dalla tarda cinquantina in su) per farle interagire, spiritosamente o meno, sul tema della senilità da sfatare. Lo stesso Eastwood, da autore, si affiancò nel 2000 a James Garner, Donald Sutherland e Tommy Lee Jones nell’avventura stellare Space Cowboys, in cui quattro astronauti attempati si rivelano insostituibili per una missione
A sfogliare i listini, tra lungometraggi in preparazione e già pronti, non si può non notare la quantità appartenente di diritto alla tematica che stiamo provando a isolare. Una canzone per Marion, per esempio, in uscita ad agosto, racconta di due coniugi inglesi diversissimi (Vanessa Redgrave e Terence Stamp), l’una votata al coro nel quale gorgheggia, l’altro ombroso e dubbioso. Nello stesso periodo arriva anche Red 2, che, richiamando il capitolo originale, costringe alcuni agenti della CIA a riposo (il cinquantottenne Willis, il cinquantanovenne Malkovich, la sessantasettenne Mirren) a rincontrarsi, armati e pericolosi. Curiose le alchimie degli imminenti Uomini di parola e Last Vegas: nel primo si parla di una rimpatriata tra criminali (Al Pacino, Christopher Walken e Alan Arkin), nel secondo si inquadrano alcuni amici “stagionati” (Robert De Niro, Morgan Freeman e Kevin Kline) in trasferta nella città del vizio per l’addio al celibato dell’ultimo scapolo rimasto nel gruppo (Michael Douglas). Ancora De Niro incrocia ironicamente i guantoni con un altro ex-pugile non esattamente inesperto, Sylvester Stallone, nella commedia sportiva Grudge Match (che da noi sarà probabilmente ribattezzata All’ultimo pugno). E tralasciamo, visto che abbiamo nominato l’attore di Rocky, il terzo capitolo delle gesta de I mercenari, attualmente in pre-produzione, nella cui banda potrebbero entrare Chan, Snipes, Seagal, Russell e Gibson; quest’ultimo, sempre in cerca di riscatto “artistico”, lo ritroveremo nei panni del malvagio pure nel seguito di Machete, diretto nuovamente da Robert Rodriguez, uno che nelle sue serie i nomi importanti li sa “frullare” bene, come testimonierà ulteriormente il prossimo Sin City – Una donna per uccidere.
Se diamo uno sguardo alla stagione cinematografica appena trascorsa, ci accorgiamo che all’argomento old people si sono dedicati in parecchi. In primis Dustin Hoffman con il suo esordio dietro la macchina da presa da settantacinquenne (paragonabile a quello di Michel Piccoli o, prima, di Zavattini), quasi a confermare la tendenza in esame: Quartet è la vicenda di quattro incanutiti cantanti lirici (una di loro, Maggie Smith, ha interpretato di recente il non troppo dissimile Marigold Hotel) che accantonano orgogli e rancori antichi per allestire un “Rigoletto” nella loro casa di riposo. Una più spontanea voglia di comunità è presente in E se vivessimo tutti insieme? con Geraldine Chaplin e Jane Fonda, mentre Robert Redford se la vede con i compagni di lotta politica (da Susan Sarandon a Nick Nolte) nel suo La regola del silenzio. Le dinamiche di coppia sono affrontate ne Il matrimonio che vorrei, con la Streep e il già citato Jones, e nel drammatico e premiato Amour di Haneke, con i superlativi Riva e Trintignant; a parte che sull’amore âgé esistono due ottimi esempi dello scorso decennio, l’argentino Intramontabile effervescenza e il tedesco Settimo cielo. C’è spazio, inoltre, per la ricostruzione di rischiose resistenze giovanili nel romanzesco Treno di notte per Lisbona; un analogo confronto tra protagonisti ventenni e invecchiati muoveva, poco tempo addietro, un thriller sul Mossad, Il debito, con la “ricorrente” Helen Mirren (indimenticata promotrice, rimanendo in zona, delle Calendar Girls).
Andando a ritroso (senza esagerare) ci si imbatte in precedenti disuguali: dai malati Nicholson e Freeman di Non è mai troppo tardi (2007) agli irriducibili Matthau e George Burns del simoniano I ragazzi irresistibili (1975, rifatto per la tv nel 1996 con l’accoppiata Allen/Falk); dai tre arzilli rapinatori (uno è appunto Burns) di Vivere alla grande (1979) ai quattro distinti gentiluomini con qualcosa da nascondere di Storie di fantasmi (1981), per arrivare al celebre Le balene d’agosto (1987), con le sorelle (nella finzione) Lillian Gish e Bette Davis.
Nel nostro Paese c’è meno materiale da rintracciare. Oltre a quello, più interessante de I nostri anni (2000), si ricorda il confronto tra gli anziani partigiani Moschin e Ferzetti in Porzûs (1997), oppure la “vendetta ebraica” di Ultimo bersaglio (1997), la reunion tra amici di Tutti gli anni una volta l’anno (1994)… Nessuno ha lasciato il segno, comunque. Eppure, attenendosi solamente alla realtà, le pagine storiche da rivisitare non mancherebbero: che sia un territorio da esplorare proficuamente? Sovente nel futuro si annida il passato…